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Retail omnichannel: come fare buone campagne data-driven

07 Novembre 2019

Retail omnichannel: come fare buone campagne data-driven

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I mezzi di comunicazione digitali costituiscono per il punto vendita fisico una eccezionale opportunità di sviluppo dell’attività, per raggiungere nuovi clienti e coccolare quelli consolidati.

Un customer journey promettente e impegnativo

Che cosa succede tra l’idea di acquisto e il viaggio del compratore fino al punto di vendita? Nel modello del marketing analogico, l’intervallo spazio-temporale tra lo stimolo pubblicitario e l’acquisto era sconosciuto: il cliente – presumibilmente intercettato da mezzi analogici – si materializzava all’interno del negozio, dove poi veniva blandito da novità e offerte speciali.

Era possibile ottenere correlazioni (più che causalità) tra pressione pubblicitaria e numero di persone arrivate in negozio, riportate in report trimestrali, ma non di più. La presenza ubiqua dello smartphone come concierge per gli acquisti può portare in superficie il percorso di acquisto e rendere molto meno aleatoria la misurazione delle performance.

Primo: essere trovabili

Far sollevare le persone dal divano e spingerle alla visita in negozio è comunque tra i compiti più difficili a cui il digitale possa essere chiamato. Oggi le mappe online sono il principale strumento utilizzato dalle persone per stabilire percorsi e per ricercare negozi, attività, attrazioni. Non essere trovabili significa interrompere il customer journey sul più bello, e deludere il consumatore nel momento in cui poteva trovarci. Inoltre, più la quantità di dati ottenuta con property di prima parte (sito, app, newsletter) sarà ampia, migliore sarà la pulizia del dato e minore la dipendenza verso operatori esterni.

Il retail gode di un punto di forza eccezionale: i dati raccolti continuativamente sul proprio cliente abituale. Detto in parole povere, è molto più efficace ed efficiente targetizzare la propria campagna online di cibo per cani sui propri clienti che hanno già acquistato cibo per cani rispetto all’uso della analoga targetizzazione per interessi come pet lovers o pet owner di Google o Facebook.

Naturalmente non avremo i dati di tutti i nostri clienti – una parte di acquisti avviene anonimamente – e quindi dobbiamo rivolgerci agli operatori pubblicitari online per targetizzare campagne sui non clienti, o meglio sui non registrati, che in parte saranno clienti non ancora iscritti al nostro programma fedeltà.

Intercettare i compratori sconosciuti

Una campagna sui target sconosciuti dovrebbe quindi sempre avere come obiettivo finale la conversione in utente registrato, il completamento del profilo del cliente con i dati personali e un contatto diretto come email, numero di telefono, login in app.

Il punto è che qualsiasi campagna digitale – al contrario di quelle classiche di stampa e TV – deve seguire un percorso dinamico di contenuti, targeting e dati: utilizzare quindi la flessibilità del digitale per declinare la campagna non secondo un calendario media prestabilito, ma rispetto ai momenti chiave in cui i singoli destinatari della campagna entrano in contatto e interagiscono con i contenuti.

È il cosiddetto sequencing di messaggi: proporre in sequenza contenuti per ogni possibile utente. La campagna deve prevedere messaggi e targeting differenti che accompagnano il cliente verso la registrazione: intercettare l’attenzione, informare, convertire lo sconosciuto in cliente registrato. La campagna digitale non ha più un’inizio e una fine, ma deve continuare a interessare nuovi utenti senza soluzione di continuità e non ha un calendario fisso di flight, ma si tara per ogni singolo utente.

Si comincia intercettando l’attenzione

Il primo gruppo di contenuti a cui l’utente viene sottoposto ha l’obiettivo di intercettare l’attenzione, non creare drive-to-store o vendita: del resto è quella in cui il retailer interagisce con segmenti non particolarmente propensi alla visita e che non conoscono precisamente l’offerta distintiva del retailer. Il targeting è formato da audience ampie che si basano su interessi generali.

I confini delle audience sono quindi basati su informazioni di comportamento, localizzazione e interessi tratte da Google, Facebook e dalle piattaforme di programmatic. Oltre agli interessi, possono essere utilizzati audience di lookalike che vengono ricavate da Facebook e Google per affinità da clienti di cui abbiamo dati diretti (email, numero di telefono). Si possono quindi creare audience composte da utenti simili per comportamento online ai clienti registrati.

La creatività deve essere ancorata ai bisogni del cliente, più che all’offerta dell’azienda, e offrire valore (utilità, intrattenimento eccetera). I messaggi sono quindi di solito basati più sull’emozione che sulla razionalità, utilizzando il mezzo video come preferito.

Il messaggio è fondamentale

È possibile creare dunque varie creatività associate a differenti audience partendo dai bisogni di ognuno dei target predefiniti (a volte identificati in user personas: distribuendo il messaggio solamente all’interno di un’area di riferimento, grazie al targeting geolocalizzato. Il messaggio è fondamentale in questa fase: tentare di portare in store gli sconosciuti potrebbe non sortire alcun risultato (il target non è in fase di acquisto). Il contenuto vincente si focalizza sull’utilità, il divertimento o aspetti del suo stile di vita.

Un esempio per illustrare meglio il processo: una catena di pet food usa in questa fase, per promuovere la propria linea di alimenti funzionali, un video con protagonista un gatto che nonostante gli sforzi del padrone (versione per uomini) o della padrona (versione per donne) sembra soffrire di inappetenza.

Prima del prodotto dobbiamo ottenere attenzione

Il video viene distribuito su Instagram, Facebook e YouTube ai target caratterizzati da interesse per i gatti domestici, all’interno di una zona geografica. Il messaggio non è diretto alla vendita, il prodotto quasi non compare, e paradossalmente il suo effetto è migliore. Non deve vendere direttamente a queste persone che non la conoscono, ma farli avanzare nel processo verso la conversione. I KPI misurano l’attenzione (testimoniata dalle visualizzazioni). I dati anonimi ma individuali di chi concede attenzione al video sono riutilizzabili per fasi successive della campagna.

Nel momento successivo, con un gruppo di contenuti ad hoc, dobbiamo aiutare nella decisione il target già entrato in contatto fornendo utilità e risposte ai suoi dubbi e cercando di aumentare l’affinità nei nostri confronti. Come nel caso del video descritto in precedenza, l’utente è ancora per larga parte sconosciuto, ma sappiamo che ha fruito del nostro contenuto e quindi che ha dimostrato interesse. Per riprendere l’esempio, il target di questa fase è quindi chi ha continuato a guardare buona parte del video su Instagram, Facebook o su YouTube.

Prima della conversione, raccogliamo informazioni

La fase seguente vede solitamente come protagonista la ricerca di informazioni: e anche nell’ecosistema di Google è possibile effettuare sequencing di contenuti. Questi arricchiscono via via di informazioni il profilo dell’utente, per esempio intercettando le ricerche di chi ha guardato il video del gatto su YouTube con annunci a pagamento su Google e contenuti sul sito che rispondano alla ricerca di soluzioni al problema dell’inappetenza del gatto (sia con risposte mediche che farmaceutiche: per esempio, potremmo creare un articolo esaustivo sui motivi per cui il gatto è inappetente). Potremmo successivamente proporre banner su siti web agli utenti che hanno visitato una particolare area del sito o la nostra linea funzionale di alimenti per gatti, in modalità remarketing.

La fase finale di conversione (drive-to-store) si deve basare su un targeting ancora più chirurgico e personalizzato possibile, basato sullo storico del suo comportamento precedente in rete, sui contenuti fruiti, sui prodotti visitati sul nostro sito e sul posizionamento geografico, e il messaggio deve contribuire a creare uno stimolo irresistibile per effettuare il primo acquisto e la registrazione attraverso un’offerta irripetibile. Ecco – nel nostro esempio – l’imperdibile promozione a tempo limitato per i bocconcini per i gatti inappetenti. Naturalmente sarà necessario registrarsi o sottoscrivere la carta fedeltà, anche online.

In una fase successiva, dobbiamo valutare la campagna anche sulla base della capacità di attrarre clienti premium: alta frequenza e alto scontrino medio. In questo ci vengono in aiuto Google, Facebook e altri operatori come DoveConviene e Beintoo, che stanno raffinando formati in grado di misurare le visite in store attraverso GPS e dispositivi in store (beacon, Wi-Fi eccetera). Il marketer del retailer sarà quindi in grado di chiudere il cerchio tra spesa in pubblicità e numero di visite generate. Nella figura è riportato il riassunto della campagna completa.

Una campagna per intercettare gli sconosciuti

Una campagna per intercettare gli sconosciuti.

Campagna di engagement per i clienti registrati

Il piano deve ovviamente privilegiare i canali di proprietà, anche incentivando il loro uso con vantaggi ad hoc. In questa ottica anche il sito è un touchpoint importante, ma deve essere sempre più considerato un punto di atterraggio per informazioni rapide e risposte ai micromomenti (siete aperti?,avete quel prodotto?,quando scade la raccolta punti?), più che un reinnesco del contatto, più abilitato dalla app (attraverso le push notification) e dall’email (nonché dalla messaggistica e dai chatbot di Facebook Messenger, WhatsApp eccetera).

Quando il marketing system è strutturato nel modo corretto, si è visto che la Customer Data Platform può distribuire qualsiasi comunicazione personalizzata basata su di un paniere di comportamenti e inviarla attraverso mezzi proprietari digitali. In pratica, può ricordare al cliente via email o push notification (solo se contestuale, rilevante, personalizzata!) che non acquista da tempo e offrire un incentivo al ritorno, può indicare nuovi prodotti affini ai suoi gusti, può proporre prodotti complementari.

Può al tempo stesso clusterizzare meglio i contenuti aziendali e inviarli via email o push notification a microsegmenti rilevanti di clienti (esempio: hipster, classici, eleganti, sportivi, per il fashion; vegetariani, vegani, ma anche amanti del cibo locale, italiano, bio, senza glutine eccetera per il food).

Il dilemma delle custom audience

Naturalmente non sarà possibile raggiungere tutti i clienti su piattaforme proprietarie: in questo caso si fa uso delle cosiddette custom audience, cioè target selezionati a partire dall’ID del cliente in possesso del retailer (email, numero di cellulare, ID della app eccetera), che servono per individuare lo stesso utente in Facebook, Google, Linkedin, a patto che questi sia registrato sulle piattaforme con gli stessi dati.

Se, come detto, da una parte sembra difficilmente possibile rinunciare totalmente a utilizzare questi strumenti (naturalmente a pagamento per ogni view o clic), il loro uso esclusivo, come spesso accade, dipende dalla scarsa cura dei retailer verso i propri canali proprietari. È un modello inefficiente per il futuro: l’impegno economico attraverso terze parti sui clienti conosciuti dovrà essere residuale e legato solamente ai clienti di cui abbiamo perso il contatto diretto (per esempio, non rispondono più alle nostre email o alle nostre push notification) per cercare di riaprire il canale di comunicazione.

Il mantenimento del contatto diretto sarà sempre più legato alla personalizzazione della comunicazione del retailer, che potrà essere ottenuta solo utilizzando nei messaggi il comportamento di acquisto e di visita del cliente. L’efficienza che il retailer otterrà dai mezzi proprietari come app, email e sito sarà importantissima per il business.

unsplash-logoImmagine di Shifaaz shamoon

L'autore

  • Gianluca Diegoli
    Gianluca Diegoli si occupa dal 1997 di business online e di marketing. Dopo l'esperienza manageriale in grandi aziende, dal 2010 è consulente per il retail e co-founder di Digital Update. Insegna all’Università IULM e in Executive Master.

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