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Employer Branding vs. Advertising: la sfida del presente, le sfide del futuro

14 Maggio 2020

Employer Branding vs. Advertising: la sfida del presente, le sfide del futuro

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Armonizzare risorse umane e marketing per fare scelte più strategiche per entrambi.

Altre forme di virus

Se fino a qualche giorno fa ne aleggiava – nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori – il vago sospetto, ora la certezza è diventata di pubblico dominio: gli italiani non sembrano avere particolarmente gradito lo tsunami di spot ispirati (d)al Coronavirus che si è abbattuto su schermi e display durante la prima fase di lockdown. A confermarlo è una ricerca condotta da Hokuto-Conic per sondare l’impatto di sentiment provocato dall’adv degli ultimi due mesi, che ha portato a galla un 60 percento di persone esasperato quantitativamente (troppa pubblicità) e un 50 percento qualitativamente (tono troppo drammatico).

Incrociando questi dati con la comparativa Every Covid-19 Commercial is exactly the same pubblicata su YouTube, viene inevitabile concludere che, in generale, il mondo del marketing abbia reagito a una situazione di crisi provocandone un’altra: quella delle scelte strategiche. Laddove era lecito aspettarsi azione, molti brand hanno invece preferito la comunicazione. Che, poco o tanto che sia stato l’investimento sostenuto, ha generato come ritorno tangibile quello di rendere indistinti tra loro brand, valori, purpose e mission propri.

Comunicare è importante. In tempi difficili, tuttavia, la differenziazione più efficace sta nell’agire.

Fare bene è fare meglio

D’altra parte, chi invece ha preferito l’azione non ha avuto bisogno di (altra) comunicazione. Un esempio su tutti, Giovanni Rana. Era ancora metà marzo quando, in silenziosa controtendenza rispetto al crepitio delle campagne #iorestoacasa, l’azienda ha deciso di aumentare del 25 percento lo stipendio dei suoi 700 dipendenti che – per garantire la regolarità degli approvvigionamenti alimentari – dovevano continuare a recarsi in sede, aggiungendo un ticket mensile di 400 euro per spese di babysitting e attivando una polizza assicurativa per tutti, incluso chi era in smart working, in caso di contagio.
Per il resto, nessuna rèclame in televisione, nessuna edizione straordinaria sui giornali e nessuna Fear of Missing Out sui social media.

Con quale ritorno tangibile sull’investimento? Possiamo facilmente immaginarlo: un incremento della reputazione, un incremento dell’attrattività verso l’esterno, un incremento del company pride al proprio interno e, verosimilmente, anche un incremento del business. Perché, in un ipotetico processo di acquisto, saremo più condizionati a preferire i prodotti di un’azienda che ha un’attitudine produttiva all’Employer Branding rispetto a quelli di una che ha un’attitudine speculativa al Marketing.

E se, in tempi di Status Quo, comparare risultati di marketing e risultati di Employer Branding poteva suonare profano (i reciproci KPI rispondono, chiaramente, a misurazioni distinte), in tempi di New Normal diventa quasi obbligatorio, nell’imperativo categorico di ripensare in modo sostanziale l’allocazione dei budget.

Be part of something more: l’approccio Dentsu

In realtà, però, è proprio dal mondo del marketing che arriva un’altra best practice di Employer Branding da cui trarre insegnamento: quella di Dentsu Aegis Network. La divisione italiana del gruppo, uno dei più importanti su scala globale per servizi di digital economy, ha infatti affrontato la situazione di emergenza promuovendo una serie di iniziative virtuose e perfettamente coerenti con l’Employer Value Proposition Be part of something more, dove ciascun collaboratore viene messo al centro di un’esperienza personale e professionale con una marcia in più: più Accelerazione, più Opportunità, più Impatto.

Forte di un approccio volto a soddisfare, in parallelo, obiettivi di attraction, performance, retention ed engagement, Dentsu ha creato un ecosistema di attività di caring che costituiscono, a pieno titolo, un modello di progetto pilota anche per il futuro. Abbiamo chiesto a Laura Serra, HR Business Partner e Pietro Sansone, Internal and External Communications Director, di raccontarcele.

Quali attività di Employer Branding ha svolto il vostro gruppo durante il periodo di lockdown per rafforzare il senso di coesione e di appartenenza dei dipendenti verso l’azienda?

Il progetto principale che ha preso il via durante l’emergenza Covid-19 si chiama Colleghi Collegati. Ogni settimana è stato proposto un palinsesto di eventi organizzati e gestiti dai dipendenti per i dipendenti, che volontariamente hanno condiviso esperienze, conoscenze, competenze e abilità non solo all’interno del contesto lavorativo ma anche del loro quotidiano, andando a creare un giusto mix di work-life-knowledge.

Nel palinsesto di Colleghi Collegati è possibile trovare un webinar sul Search Engine Marketing; una lezione di storia della pubblicità; la presentazione di studi e ricerche svolti da team interni all’azienda; un corso per preparare la pastiera e il casatiello; una lezione di artigianato per costruire braccialetti e collane o giochi a premi come il Trivial Pursuit, il tutto gestito tramite la piattaforma di comunicazione a distanza che ci ha tenuto compagnia in queste settimane: Microsoft Teams. Essendo un gruppo internazionale, poi, abbiamo potuto arricchire il progetto anche con le iniziative degli altri Paesi.

Oggi stiamo gestendo la Fase 2 riadattando la nostra modalità operativa alla cosiddetta nuova normalità con una prima fase di un rientro graduale in ufficio – le nostre sedi di Milano e Roma sono pronte ad accogliere un gruppo di persone selezionate su base volontaria che rientreranno per prime, con tutta la flessibilità del caso – e nel giro di tre-quattro mesi saremo pronti a riaccogliere tutti. Vista l’esperienza positiva di questi mesi continueremo anche quando saremo di nuovo tutti in ufficio, adattando il programma al nuovo contesto lavorativo.

C’è stata poi un’intensissima attività di caring più di retrovia, volta a gestire le problematiche contingenti delle persone costrette alla quarantena, e un flusso continuo di comunicazioni dal CEO verso i manager e verso tutta la popolazione interna (meeting del giovedì e email della domenica) per aggiornare su tutti i delicati passaggi che abbiamo vissuto, non solo come azienda ma anche come Paese nel suo insieme.

Infine, un altro progetto nato in queste settimane e destinato a rimanere – e forse anche a diventare più grande – è quello denominato Dentsu Deals. È nato come progetto di caring verso i clienti, in particolare quelle aziende che stanno soffrendo la crisi anche nei canali e-commerce (pensiamo ad esempio all’abbigliamento, al travel e al beauty), poi è diventato un ulteriore elemento di attenzione verso il nostro pubblico interno. Su Dentsu Deals raccogliamo le offerte più interessanti presenti sugli e-commerce dei nostri clienti, oltre a quelle costruite in convenzione o in esclusiva per noi, e le presentiamo sulle pagine della nostra intranet, selezionando le più interessanti in una newsletter quindicinale.

Da quali obiettivi strategici sono mosse tali iniziative, e che tipo di risposta hanno generato in termini di clima interno, di sentiment e produttività?

Gli obiettivi di tutte queste iniziative sono coinvolgere e dimostrare vicinanza. Ci siamo detti che, in queste settimane, il collegamento era uno dei valori più grandi e importanti per le persone, e abbiamo lavorato per moltiplicare le occasioni di collegamento tra noi: collegare esperienze diverse, brand e culture diverse presenti all’interno del gruppo e, soprattutto, collegare persone.

Abbiamo registrato un generale gradimento per il modo con cui è stata affrontata la gestione del lavoro da casa, da tutti i punti di vista. In queste settimane sono stati fatti progetti, vinte gare, creati team trasversali, sviluppate grandi sinergie interne, solide collaborazioni e una generale ottimizzazione delle attività. È un’esperienza che rimarrà, che valorizzeremo e che aiuterà il nostro gruppo ad essere più efficiente e a farci tornare alla normalità più forti e più uniti.

Come proseguiranno, sulla scia di quanto fatto finora, le attività di Employer Branding nel vostro gruppo dal graduale ritorno alla normalità in avanti?

Molto dipende da quanto saranno lunghe e graduali le varie fasi del rientro in ufficio. Sicuramente, in tutti ci sarà una grande voglia di riprendere le attività più legate alla socialità e socializzazione, quelle che prevedono incontri, eventi live e chiacchierate di persona. Questo riguarda le attività per l’interno ma anche quelle rivolte all’esterno. Già adesso per noi è importante mantenere vivo il rapporto con le università, ma lo sarà ancora di più tornare a confrontarsi con il pubblico che sta entrando nel mondo del lavoro, laddove al momento è stato possibile farlo solo in maniera virtuale.

Probabilmente cambierà il nostro modo di essere presenti, ma come azienda abbiamo il dovere di fornire segnali di fiducia e di positività a quei tanti ragazzi che hanno continuato a studiare, a dare esami, a laurearsi.

Vogliamo dare il nostro contributo non solo a far capire che il mondo del lavoro c’è, non è stato cancellato dalla pandemia, ma avere un ruolo fondamentale nello spiegare come questo stia evolvendo e si stia modificando, essere pionieristici, agili e innovativi non solo nel nostro settore di riferimento ma anche in un contesto sociale più ampio.

Nemici complici amanti

È cosa nota: tra HR e Marketing, quando si tratta di convergere verso strategie comuni di Employer Branding, non sempre corre esattamente buon sangue. Eppure, tutte le migliori iniziative di Employer Branding correlate al coronavirus (quella di Giovanni Rana, quella di Dentsu Aegis Network e quelle di molte altre aziende in tutto il mondo) dimostrano che è solo da una loro piena integrazione che derivano performance profittevoli per entrambi.

Allora, forse, l’ipotesi di armonizzarle anche in termini di budget potrebbe non essere così peregrina, stimolando gli HR a una visione più ampia in ottica di business e i Marketer a scelte di comunicazione più responsabili, accorte e vantaggiose per le persone.

Una provocazione? Un’utopia? Forse. O forse semplicemente – si fa per dire – una voglia di cambiamento autentico e consapevole, per quanto indotto da una situazione di emergenza.

Del resto, da qualche parte bisogna pur cominciare. Allora, per una volta, proviamo a cominciare dai risultati.

Immagine di apertura di Chuttersnap su Unsplash.

L'autore

  • Antonio Incorvaia
    Antonio Incorvaia svolge attività di consulenza e formazione per agenzie e aziende in materia di Digital Media Management, Content Marketing ed Employer Branding. Tra gli altri, ha curato progetti di comunicazione per cameo, Eni, Ferrero, Il Sole 24 Ore, Lottomatica, Max Mara, SKY, Snam, TIM, Volkswagen e Whirlpool. Con Apogeo ha pubblicato Employer Branding. È coautore del best seller Generazione mille euro, da cui è stato tratto l’omonimo film del 2009.

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