A differenza di molte aziende, lei ha le idee ben chiare rispetto a ciò che vuole fare: Ho bisogno di pubblicizzare l’apertura della scuola e promuovere un nuovo corso dedicato agli adulti, e vorrei tentare la strada di Facebook. Marta, questo il nome dell’amica, si è già portata avanti con il lavoro creativo, proponendoci un paio di video con lei che danza nel suo nuovo spazio e alcuni copy dedicati al corpo, al benessere, al ritrovare l’armonia e la coordinazione. Marta però non ha ancora ben capito come funziona la domanda latente, e come lei un sacco di imprenditori a cui il dottore di Facebook non ha spiegato alcuni meccanismi di un organismo, uno dei più complessi, tanto giovane quanto delicato.
Domanda diretta, domanda latente
Pensateci: i nostri percorsi cognitivi (digitali) per anni sono stati programmati su mercati di domanda diretta, su mercati dove il motore è sempre stato l’espressione di un’esigenza, di una necessità. Leggasi alla voce Google. Mentre la letteratura e l’esperienza degli anni sanno come rispondere a una domanda di corso di danza per adulti, è invece ancora molta immatura l’analisi del percorso strategico che ci porta a promuovere un corso di danza verso un pubblico che non ha espresso alcuna richiesta in tal senso. La domanda latente non è una scoperta recente. Ma di certo è esplosa con i social media e soprattutto col principale interprete della domanda latente, ovvero l’advertising sui social media.
Facebook come frame
Le persone su Facebook non sono mai alla ricerca di prodotti o servizi: le persone su Facebook sono lì soprattutto per farsi gli affari propri o quelli degli altri. Perché ti dà fastidio una telefonata di telemarketing? Perché interrompe il tuo frame quotidiano. Bene, immagina Facebook come uno dei più abituali frame quotidiani. Se non si impara a riconoscere la propria domanda latente, le campagne marketing avranno lo stesso identico valore del telemarketing: interrompere e infastidire.
Ma cosa vuol dire domanda latente?
Se voglio comunicare un corso di danza per adulti rivolgendomi a qualcuno che ancora non ha la più pallida idea di volere un corso di danza per adulti, non posso usare le immagini di Marta che danza, perché mi allontano dall’empatia, genero distacco, porto a un sì, ok, ma io non sarò mai così. Un interesse eco-green potrebbe suscitare una domanda di agriturismo con il noleggio di una bici elettrica. Un interesse verso MasterChef potrebbe suscitare una domanda di una masterclass di cucina nel nostro villaggio vacanze. Un interesse per Yoga Journal potrebbe suscitare una domanda di un corso di introduzione alla mindfulness. Un copy che parla di corpo, benessere, armonia è debole, vago e, insistiamo, a bassissimo livello di empatia, perché è impostato intorno all’autore del messaggio, Marta, troppo protagonista di ciò che fa e ciò che vende ai proprio aspiranti corsisti. Lavorando sulla domanda latente la regia va ribaltata: lo sguardo della macchina da presa del marketing deve puntare sempre e solo verso il pubblico, provando a interpretarne interessi, abitudini, gusti. Come si fa a ribaltarlo? Lo vedete nella figura qui sotto.
Il nostro target non cerca armonia del corpo; il nostro target è fatto soprattutto di donne che son cascate nel tranello delle palestre low cost, quelle in cui paghi l’anno intero una pipa di tabacco, salvo poi non andarci mai. Il marketing dell’empatia mi permette di entrare nei loro percorsi cognitivi e sapere che la maggior parte di loro ha pagato un anno di palestra e non c’è mai andata; interpretare una domanda latente non è altro che percorrere la strada di un marketing legato in modo indissolubile al concetto di empatia. Il pubblico non sta esprimendo necessità ma ha comportamenti, caratteristiche, hobby, manie tali per cui potrebbe avere bisogno del nostro prodotto ma ancora non lo sa. Non è nemmeno l’induzione di un bisogno in stile persuasore occulto di Vance Packard. No, è qualcosa di molto più semplice ed etico: si tratta di agevolarne l’emersione, perché quelle caratteristiche, quelle abitudini portano già con sé un bisogno, solo che è latente. E questo, per Marta, si traduce in risultati:
- le campagne marketing antecedenti il lavoro sulla domanda latente hanno un tasso di clic dell’1%;
- le campagne basate sull’empatia ed esposte allo stesso identico pubblico hanno un tasso di clic del 6%.
In questo caso, l’interpretazione corretta delle caratteristiche di un pubblico ha migliorato le performance di sei volte: è bastato spostare l’inquadratura da Marta alla sua audience. Marta ha riempito i corsi ed è chiaro che non l’ha fatto solo grazie a questa campagna, perché senza qualità e reputazione del prodotto non c’è marketing dell’empatia che tenga. Questo articolo riprende parti del capitolo 3 di Marketing in un mondo digitale.
L'autore
Corsi che potrebbero interessarti
Facebook e Instagram: la pubblicità che funziona
Content Design - Fare una Strategia
Fare una strategia di marketing con Google Ads