Pierre Lévy
“Cyberculture. Rapport au Conseil de l’Europe”
Editions Odile Jacob/Editions du Conseil de l’Europe, novembre 1997
ISBN: 2-7381-0512-2
“Cyberculture”, l’ultimo libro in cui Lévy parla delle implicazioni culturali dello sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitale, è decisamente un libro ottimista.
Ottimista, però, nel senso che a questo vocabolo dà lo stesso autore quando, nell’introduzione, si autodefinisce tale non perché, egli dice, ritiene che Internet risolverà magicamente tutti i problemi sociali e culturali del pianeta, ma perché riconosce, in Internet, l’apertura di uno spazio di comunicazione del quale sta a noi esplorare e valorizzare le potenzialità.
In “Cyberculture”, Rapporto commissionato dal Consiglio d’Europa, ritroviamo molte cose già note a chi frequenta la Rete e parecchi concetti già dallo stesso Lévy espressi ed approfonditi nei suoi precedenti lavori (1); e che qui vengono riassunti, ridefiniti e ulteriormente precisati. Questo vale, in particolare, per quanto riguarda la ripresa delle definizioni dei concetti di cyberspazio, di realtà virtuale e di comunità virtuali.
Il nucleo concettualmente forte e originale del libro è, invece, costituito dalla definizione di cybercultura intesa come un “universale senza totalità” basato su quella che viene definita la “telepresenza generale” dovuta alle interconnessioni e che ha come valori costitutivi l’autonomia e l’apertura all’alterità.
Un “universale” inteso come estensione, interattività, connessione contro una “totalità” intesa come chiusura semantica, unità della ragione, riduzionismo, semplificazione di fenomeni complessi.
Con il concetto di “universale senza totalità” si supera il pensiero filosofico post-modernista che, confondendo l’universale con la totalizzazione, ha commesso l’errore di gettar via il bambino assieme all’acqua sporca.
Valorizzando, inoltre, la partecipazione a comunità di discussione e materializzando tecnologicamente (attraverso la simulazione ed il trattamento dei dati) idee moderne, la cybercultura può essere considerata, da una parte, la legittima erede del progetto progressista dei filosofi del XVIII secolo e, in qualche modo, la stupefacente realizzazione dell’obiettivo marxista dell’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei produttori stessi.
Il cyberspazio non è dunque sinonimo di disordine e caos: l’uso di queste parole per definirlo, sostiene Lévy, indica solo conservatorismo, nostalgia della chiusura e non comprensione del fatto che è solo accettando di perdere una certa forma di potere che potremo comprendere come il cyberspazio, lungi dall’essere solo disordine e caos esprime invece, in tutta la sua pienezza, la diversità dell’umano.
Ma “Cyberculture” in cui, come in tutte le altre opere di Lévy, si sente l’influenza del pensiero di Cornélius Castoriadis, l’autore de “L’istitution imaginaire de la societé”, (2) presenta parecchi altri spunti molto interessanti e che non è possibile qui elencare tutti.
Solo qualche esempio.
- L’affermazione (in contrapposizione ad Heidegger) della ambivalenza e della molteplicità dei significati della tecnica e dell’inestricabile intreccio che esiste tra società (la gente, le relazioni, i rapporti di forza), cultura (la dinamica delle rappresentazioni simboliche) e tecnologia (gli artefatti di individui o gruppi) ed in cui la tecnica rappresenta uno e solo uno dei poli dell’analisi dei sistemi sociotecnici globali;
- L’ampia parte dedicata alla cybercultura come costitutiva di un nuovo rapporto con il sapere e di nuovi paradigmi di acquisizione delle conoscenze ed in cui la nuova modalità di apprendere si fonda principalmente sulla simulazione (3). Lévy mette in guardia il mondo delle istituzioni scolastiche ed accademiche dal rischio di non recepire questi segnali.
- L’analisi della valenza simbolica espressa da metafore come ad esempio quella (a proposito dei nuovi paradigmi dei processi di apprendimento e di conoscenza), di un “oceano” in cui si “naviga” in contrapposizione alla metafora piramidale e scalare (implicante l’idea di linearità e gerarchia) del sistema educativo e formativo tradizionale.
E cosa rappresenta la metafora “autostrada dell’informazione”, che riduce la comunicazione telematica al solo aspetto della infrastruttura fisica, se non l’evocazione di una comunicazione di massa intesa come estremamente canalizzata, piuttosto che come relazione interattiva? Il cyberspazio, dice Lévy, non è una infrastruttura, ma “un certo modo” di servirsi dell’infrastruttura - Lo scardinamento che la nuova pragmatica della comunicazione costituita dalle opere (d’arte) che, ponendosi in rete come “evento” e “processo”; interattive ed anamorfiche, sta operando su quei due grandi fattori di totalizzazione rappresentati dall'”in -tensione” da parte dell’autore “es-tensione” che si realizza attraverso il copyright.
Pesante ed esplicita, infine, la critica rivolta agli intellettuali che demonizzano Internet.
Di fronte alla crescita di questo fenomeno mondiale, destabilizzante, irreversibile, che rimette in discussione molte posizioni acquisite, abitudini e rappresentazioni mentali, bisogna certo mantenere una lucidità intellettuale e capacità di analisi critica. Ma molti dei discorsi di condanna dei nuovi mezzi di comunicazione interattivi e trasversali che viene fatta da alcuni intellettuali e critici di professione spesso non sono altro che l’eco nostalgico di ordine e di autorità.
E chi demonizza il virtuale per conservare immutata una totalità pesantemente istituita e legittimata dal cosiddetto “buon senso” svolge, di fatto, una funzione conservatrice e reazionaria.
- In particolare in “L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace”, Paris, la Découverte, 1994 e “Qu’est-ce que le virtuel?”, Paris, La Découverte, 1995.
- Il testo “L’istitution imaginaire de la société ” di Cornélius Castoriadis, Paris, Editions du Seuil, 1975, costituisce una lunga elaborazione filosofica della nozione di immaginario.
- Come d’altra parte hanno ampiamente dimostrato anche Sherry Turkle in “La vita sullo schermo”, Apogeo, 1997 e Rosanne Alloucquére Stone in “Desiderio e tecnologia”, Feltrinelli, 1997.
“Cyberculture” si può acquistare online presso il sito della Fnac, la grande libreria parigina.