L’esposizione chiara e convincente dei nostri argomenti può fare la differenza tra un cliente in più e uno in meno, tra un avanzamento professionale e l’indifferenza dei superiori, tra l’attenzione e la distrazione del target. I consigli che seguono qui sono pochi e semplici; bastano a migliorare in misura notevole l’effetto di una presentazione, se seguiti con cura.
Poco prima della presentazione: provate gli strumenti, controllate che le slide funzionino sul computer e che la resa sia accettabile. Se è possibile, fate una piccola ricognizione sul luogo in cui parlerete e valutate se siete comodi rispetto allo schermo o agli strumenti che dovete usare o se preferite spostare qualcosa.
Quando iniziate, presentate subito quello che direte. Salvo che non siate maghi della suspense, attori di teatro o intrattenitori professionisti, andate immediatamente al punto e seguite il testo che vi siete preparati. Nel caso di un intervento lungo o di una lezione, potete anticiparne i contenuti, mostrando un indice o il percorso che seguirete. Svelarne la struttura aiuterà il pubblico a prepararsi e orientarsi mentalmente. Per le presentazioni brevi non è necessario.
Nel riquadro che segue è presentato un tipo di struttura che si basa sulla ripetizione dei concetti nelle diverse fasi del testo (Alessandro Lucchini, Business writing). Serve per dare molta enfasi alle cose, indicazioni e istruzioni che si stanno dando.
Il discorso del sergente
Dico ciò che dirò. Attenzione: ora vi dirò che cosa dovrete mettere nello zaino domattina quando partiremo per la marcia.
Lo dico. Nello zaino dovete mettere: il sacco a pelo, il telo tenda, la carta topografica, la giacca a vento, la biancheria di ricambio, la gavetta, il gavettino.
Ridico ciò che ho detto. Dunque, abbiamo visto come dev’essere composto lo zaino. Attenti: a chi si presenterà con l’equipaggiamento incompleto darò due giorni di punizione.
Vietato improvvisare
L’improvvisazione non dovrebbe essere contemplata in una presentazione. Dovete essere preparati per sentirvi sicuri e dovete sentirvi sicuri per essere naturali. Se siete a vostro agio, la vostra voce sarà limpida e chiara, la postura disponibile e sicura, il pensiero fluido e vivace, l’attenzione concentrata sui dettagli. Raggiungerete il massimo della sicurezza e della brillantezza se avete fatto qualche prova generale a casa cronometrandovi.
Quando dominate la struttura della narrazione, potete anche permettervi un fuori programma: una battuta o uno scherzo, perché non vi distoglierà dai vostri obiettivi e non dispiacerà al pubblico, ma non sforzatevi di essere simpatici per forza. Se capita l’occasione, dite pure un’idiozia, altrimenti non forzate la situazione: non c’è niente di peggio di una battuta venuta male.
Il giusto ritmo
Non parlate troppo velocemente, non affastellate parole e idee: succede se siete agitati. Fate delle pause tra una frase e l’altra. Respirate. Non mangiatevi le parole: succede se siete stanchi. Cercate il giusto ritmo. Parlare troppo lentamente può annoiare. Non è necessaria una pausa di riflessione dopo ogni parola. In Italia purtroppo annoiare con un discorso pubblico è considerato normale. I convegni sono narcotizzanti per definizione. Vado a un convegno = vado ad annoiarmi a morte. E tutti aspettano il momento del buffet. Un peccato davvero.
Molta della noia è dovuta alla maniera obsoleta e spesso incomprensibile di parlare dei relatori, i quali non di rado si esprimono come se confabulassero con se stessi o come se leggessero un libro. Si tratta di cattive abitudini cui dobbiamo porre fine. Non vuol dire che siccome finora le cose sono state fatte così, anche noi dobbiamo per forza perpetuare questo orrendo format sedante.
Cercate allora di essere voi i primi ad apparire vivi e attivi, usate un tono sicuro e amichevole, il giusto ritmo, e se riuscite alternate i momenti più pesanti con qualcosa che svegli l’attenzione. Mentre parlate, guardare le persone vi farà sentire più vicini al vostro pubblico, vi verrà spontaneo farlo, ma non chiedetevi troppo cosa stiano pensando di quel che dite: non serve, perché non potete cambiarlo.
Tre cose da non dire
La prima: non dite mai che avreste avuto bisogno di più tempo per una presentazione esaustiva. Si tratta di scuse inutili e banali: la vostra lezione è quello che potete dire in 20/40/60 minuti, secondo il tempo previsto. Se pensate che il tempo non basti per una presentazione adeguata non siete la persona giusta per farla, e se lo dite potrebbe pensarlo anche il pubblico. È naturale che ci sia molto altro da dire.
È sempre così: una lezione o un intervento sono per definizione solo una porzione di sapere, ma ciò che non è detto non deve apparire più importante di ciò che è detto o necessariamente a esso propedeutico. Il legame tra la porzione del sapere che avete scelto di raccontare e il resto della conoscenza cui esso si collega siete voi, con la vostra presenza e il vostro sapere. I limiti sono importanti perché vi costringono all’essenziale. Potrete sciogliere dubbi o proporre approfondimenti a fine intervento rispondendo alle domande, ma anche successivamente, in altri scritti, in altri interventi, in altre maniere.
La seconda: non dite mai la frase come sicuramente sapete o peggio ancora come mi insegnate. Sono frasi che non dicono il vero, che ammazzano l’empatia e che non servono a nulla. Vi faranno solo risultare antipatici.
La terza: non dite diciamo. Vale anche per le altre parole prendi tempo, come vorrei dire, cioè, effettivamente. Sono un campanello d’allarme: se ne dite troppe non avete dimestichezza con il testo, vuol dire che dovete ancora esercitarvi. Se riuscite a evitarle vuol dire che avete ben chiaro il percorso da seguire.
I minuti per il pubblico
È diffusa la buona abitudine di chiedere ai relatori di lasciare un margine di pochi minuti alla fine del loro intervento per dare spazio a domande o riflessioni da parte del pubblico. La risposta tutta italiana a questa richiesta è spesso quella di considerare questi minuti come un optional, la cui reale destinazione viene ignorata dal relatore che li usa per finire il suo discorso. Sbagliatissimo, per ragioni che hanno a che fare con il rispetto delle regole e con l’eleganza, ma soprattutto perché si perde l’occasione di raccogliere spunti e stimoli.
I relatori spesso se lo dimenticano, ma il pubblico con le sue osservazioni può aprire nuovi scenari e arricchire quanto detto fino a quel momento. Il relatore dovrebbe vivere quei minuti come la ricompensa alla fatica fatta nell’esposizione perché potrebbe portarsi a casa l’argomento per un’altra buona presentazione o per un articolo, o l’idea per un prodotto o la soluzione a un problema. Il mio consiglio è: se sono previsti 5 minuti, voi lasciatene 8. Non ve ne pentirete.
Poi c’è il dopo
Il dopo è fatto da tutte le idee che vi sono venute ma che avete dovuto cassare, dalle prospettive che non avete potuto esplorare per non divagare, dai temi che avete dovuto escludere per mancanza di tempo, dagli esempi che avete sacrificato ma che vi piacevano tanto. Insomma, tutto l’avanzato è il dopo, insieme con le epifanie, le osservazioni, i temi che la platea farà emergere durante l’intervento.
Quello è tutto materiale su cui lavorare, utile per altre presentazioni, articoli, lavori. Inoltre se l’intervento funziona, prima di archiviarlo potete riproporlo in occasioni diverse e a pubblici differenti. Vi accorgerete anche di come l’intervento o la lezione migliorino di volta in volta; anche voi li conoscerete meglio, capirete quali sono i punti di forza e che effetto fanno su chi li ascolta.
Questo articolo riprende alcune parti del Capitolo 7 di Language Design.