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Social e asocial network, dentro la rete dei giovani

12 Maggio 2010

Social e asocial network, dentro la rete dei giovani

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Gli adolescenti e il web sociale: una serie di nuove ricerche fanno il punto su un rapporto delicato e ricco di opportunità e insidie

Dimenticate le lunghe chiacchierate al telefono con gli amici più stretti: i ragazzi, oggi, crescono a pane, sms e social network. Uno studio pubblicato di recente dal Pew Research Center rivela che la metà degli adolescenti americani tra i 12 e i 17 anni invia dai 50 sms in su al giorno e che un terzo di loro arriva a scriverne più di 100. Ma del crescente utilizzo dei media digitali da parte dei giovani di questa generazione se ne era già parlato, e spesso: ora l’attenzione degli studiosi si sposta più sull’aspetto sociale. Come cambia la qualità dell’interazione tra i nativi digitali? Le nuove tecnologie possono avere ripercussioni sulla natura emotiva delle relazioni?

Capitale sociale

Il New York Times, in un articolo intitolato Antisocial Networking, prova a farne il punto. Secondo alcuni, la facilità della comunicazione elettronica potrebbe spingere i giovani a essere sempre meno interessati alle interazioni faccia a faccia con i loro amici, il che si tradurrebbe in rapporti più superficiali con forti implicazioni nello sviluppo dell’empatia tra i giovani e nella comprensione delle espressioni facciali e del linguaggio del corpo. D’altra parte però, c’è chi sostiene che la tecnologia possa avvicinare i ragazzi tra loro, garantendo rapporti più duraturi: «Penso sia possibile affermare che i media digitali stiano aiutando i bambini a rimanere in contatto maggiormente e più a lungo» dichiara Elizabeth Hartley-Brewer, autrice del libro Making Friends: A Guide to Understanding and Nurturing Your Child’s Friendships. E per alcuni ragazzi può anche essere uno strumento utile per organizzare la vita sociale, oppure può aiutare i più timidi a fare amicizia. «Credo che Facebook sia stato in gran parte benefico per mio figlio», racconta Robert Wilson, padre di Evan, un adolescente di 14 anni molto timido e introverso, che attraverso il social network è riuscito a parlare con una ragazza della scuola. «Lo sta aiutando a uscire dalla sua corazza e a sviluppare le capacità sociali che non stava imparando a causa della sua timidezza» rivela Wilson.

Ma andiamo più a fondo. Stando ai risultati di una recente ricerca, le attività rese possibili dall’utilizzo dei social network (dal tweeting all’aggiornamento dello stato personale, solo per citarne alcune) potrebbero favorire il nostro benessere psicologico, la nostra salute fisica e le relazioni di persona. (dal vivo) «Abbiamo scoperto che più le persone erano impegnate con Facebook e meglio si sentivano» osserva Moira Burke, ricercatrice dello Human-Computer Institute alla Carnegie Mellon University. In realtà, le sensazioni positive derivano da ciò che i sociologi chiamano capitale sociale, ovvero il supporto informativo ed emotivo che famiglia, amici e conoscenti ci forniscono. Secondo gli studiosi maggiore è il capitale sociale  cui si crede di avere accesso, maggiore è il senso di benessere avvertito. E Facebook, per esempio, attraverso le varie modalità di interazione possibili (come il like o gli inviti ad eventi o gruppi) accresce questa sensazione: «Stai conoscendo nuovi, intimi amici? Probabilmente no», afferma Nicole Ellison, professoressa alla Michigan University, «ma i social network abbassano le barriere per inserirti nelle reti di amici che possiedi». Non solo. Pare che Facebook aiuti a placare lo stress, come evidenzia uno studio: «Guardare il proprio profilo è auto-affermante (self affirming), quindi quando sei sotto stress, sei più in grado di gestirlo» spiega Burke.

Oltre la solitudine

E se da una parte alcuni riflettono sulla possibilità che l’utilizzo dei social network (e, più in generale, dei dispositivi multimediali) ci stia conducendo verso la solitudine, altri invece osservano i benefici dell’always on. Come James Fowler e Nicholas Christakis dell’Harvard University, autori del libro Connected, nel quale analizzano come anche nei social network le persone che incontriamo possano influenzare i nostri atteggiamenti e stati d’animo. «Se pubblichi i tuoi video, autori e gruppi preferiti sul tuo profilo, c’è una buona possibilità che tra un anno anche i tuoi amici li avranno pubblicati sui loro profili» spiega Fowler, aggiungendo che le interazioni online possono migliorare le relazioni faccia a faccia.

Secondo Jane Burns, dell’ Orygen Youth Health and the Inspire Foundation, i genitori credono che tutta la tecnologia sia negativa per i propri figli, ma «quando i giovani usano i social network in maniera positiva, le loro relazioni (della vita reale) migliorano» ed è più utile mantenere la comunicazione aperta con gli adolescenti e guidarli verso la giusta direzione Inoltre, chi ha la tendenza ad isolarsi o chi è affetto da malattie croniche o da infermità, tramite i social network, può costruirsi uno spazio in cui sentirsi a proprio agio. Ma ciò che probabilmente i ragazzi sottovalutano è il confine tra pubblico e privato. Dall’ultima indagine Consumer Reports State of the Net emerge un dato preoccupante: molti utenti non sono a conoscenza o semplicemente non sono interessati alla configurazione della privacy nei social network.

Senso di controllo

Danah Boyd, ricercatrice di social media alla Microsoft Research New England, ha pubblicato un interessante post dal titolo Public by Default, Private when Necessary. Recentemente, scrive la studiosa, Facebook ha dato la possibilità agli utenti di rendere pubblici i loro contenuti: quando è stato chiesto di modificare le opzioni della privacy, nell’indecisione, molti hanno saltato lo step, non realizzando che in quel momento tutte le loro informazioni stavano per diventare visibili a tutti. Ma «solo perché i ragazzi scelgono di condividere alcuni contenuti non significa che desiderino che renderli universalmente accessibili. Quello che vogliono è un senso di controllo» spiega Danah Boyd. E Facebook sta destabilizzando il sistema. Ma il discorso si potrebbe estendere anche agli adulti: banalizzando, quanti hanno condiviso immagini di quando erano ubriachi non preoccupandosi che potesse vederle il capo? E quanti genitori hanno pubblicato le foto dei loro bambini senza aver prima settato le opzioni della privacy?

Intanto, in rete circolano i primi commenti in risposta all’articolo del New York Times: bisognerebbe chiedersi perché i giovani (e i bambini) utilizzano molto questa tecnologia. Forse, una delle ragioni deriva proprio dall’agitazione degli adulti sui possibili rischi, ma d’altra parte questa generazione di bambini trascorre molto più tempo con i genitori rispetto alle generazioni passate. E i social media rappresentano l’ultimo spazio (non mediato dai genitori) che i giovani hanno per loro stessi. «Loro usano i social media allo stesso modo in cui noi utilizzavano il telefono.» scrive Alan Patrick, «Gironzolano/bazzicano di meno? Forse fisicamente, ma in generale direi che sono molto più in contatto di quanto lo fosse la mia generazione».

Vivere la rivoluzione

Mario Tedeschini, riprendendo una teorizzazione di Deresiewicz sul concetto (e sul futuro) dell’amicizia, ci fa riflettere su come in realtà il problema non siano i social network, ma il modo in cui li usiamo. Preoccupazioni simili erano già nate in passato: con il telefono, con la televisione o anche con i «luoghi di aggregazione sociale “analogici” (le discoteche, i “muretti”, i centri sociali)» come nota Tedeschini. «FB e i social network non sono solo “un altro telefono” o “un altro muretto”, sono – in modo che ci è ancora difficile valutare – l’inizio di una rivoluzione sociale della quale non possiamo ancora stabilire la portata. Avrà solo effetti “positivi”? Non credo – quante rivoluzioni hanno portato anche effetti disastrosi! –  ma dalla rivoluzione francese oltre al Terrore sono venuti anche la democrazia rappresentativa e l’idea dei diritti dei cittadini» afferma il giornalista. E poi conclude: «l’unica cosa che non possiamo fare è negare che essa sia tale, pensare che sia possibile ignorarla se non addirittura respingerla. Dobbiamo viverla, con tutti i nostri dubbi e con tutte le precauzioni necessarie».

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