Sto passeggiando a Londra, dietro a King’s Cross, e il mio amico Enzo mi mostra tutto il nuovo palazzo che Google si sta costruendo nei pressi della stazione. Un paio d’anni che non ci vediamo e, tempo nemmeno una decina di minuti di convenevoli, il discorso cade sul lavoro. Enzo dirige un team che si occupa di migliorare la User Experience per alcuni software in ambito farmaceutico.
Sai, è da qualche tempo che piano piano sto abbandonando la teoria UX delle Personas.
Ferma tutto.
Spieghiamo un attimo cos’è: tu progetti un sito, un software, un ambiente digitale concentrandoti sul comportamento di un certo personaggio-archetipo del quale hai tratteggiato identità e bisogni, chiamato appunto Personas.
Esattamente come siamo ormai abituati a fare nel marketing online, progettiamo una campagna pensando alle caratteristiche di un target-modello. Ed Enzo mi sta appena dicendo che si sta allontanando da questo approccio.
Molto interessante.
Lavoro sempre di più in modalità Jobs-To-Be-Done – continua Enzo – in cui ti concentri non tanto sulle Personas quanto più sul task che l’utente sta cercando di compiere attraverso un determinato servizio o attraverso l’acquisto di un determinato prodotto. Anche perché, se ci pensi, uno stesso utente può indossare diversi cappelli-persona durante diversi momenti del suo viaggio-interazione con un servizio/prodotto.
Illuminazione.
Ma quello che mi sta dicendo Enzo è così diverso dal mio lavoro quotidiano su Facebook e Instagram? Nel 2019 è ancora così valido il mantra del marketing online di basare la propria strategia su archetipi di persone tipo Eugenia, 29 anni, single, senza figli, con una grande passione per l’email marketing?
Non è che forse siamo di fronte a un pilastro della progettazione strategica che va un po’ ridimensionato?
La gelateria e l’audience algoritmica
Immagina di essere il proprietario di una nota gelateria nella provincia di Udine. Hai partecipato a uno di quei convegni gratuiti della Confcommercio dedicato alla pubblicità online, e dopo poco rimani a bocca asciutta scoprendo le potenzialità delle inserzioni su Facebook e il costo così contenuto per raggiungere così tante persone. Ok, proviamo a ripeterlo a casa.
Scrivi un bellissimo post, scegli un target per interesse, magari scegli qualcosa come slowfood perché il tuo gelato è particolarmente gourmet, decidi di investire 10 euro di budget per una settimana e lanci la campagna.
Non c’è da sorridere per questo esempio; è un tipo di approccio che rappresenta il 90% delle campagne della Piccola e Media Impresa Italiana. Cos’ha che non va nel 2019? Tre cose fondamentalmente:
- La strategia dipende da un post e non da una campagna. Il post è un mezzo, l’obiettivo della campagna è un fine. Il post deve essere figlio dell’idea di campagna Facebook e Instagram che hai in mente.
Cosa vuoi da Facebook? Clic? Interazioni? Allora prima costruisci una campagna che rispecchi l’obiettivo aziendale, poi pensi al post, al contenuto. - Se ragioni dipendendo da un post sei legato alla vita di quel post, che ha un inizio e una fine. Nel 2019 i post hanno un inizio e una fine, ma le campagne sono always on, cioè sono sempre attive. Un’azienda non fa una campagna Facebook, un’azienda è sempre in campagna Facebook. Cambiano i post, ma l’obiettivo di business aziendale è sempre presente, perché mai dovrebbe fermarsi? Perché mai un’azienda dovrebbe smettere di fare advertising solo perché è terminata la vita di un post?
- Siamo così sicuri che gli interessi di Facebook siano ancora così validi per la targetizzazione? Non è forse meglio sostituirli con degli obiettivi che a me piace chiamare algoritmici?
Facciamo un esempio: questa campagna.
Questa è la campagna per una gelateria e si può notare subito come stia spendendo 3 euro al giorno, per sempre. Perché è always on, cioè sempre attiva nei giorni della stagione di apertura della gelateria, non si ferma mai.
In questo caso la gelateria non ha scelto un post da promuovere, ma ha scelto una campagna, trasformando un obiettivo aziendale come avere più gente in negozio in obiettivo compatibile con Facebook e Instagram. I post verranno dopo, con calma.
Nel caso di una gelateria abbiamo scelto un obiettivo aziendale particolare che, a differenza di quanto accade nella realtà, andrebbe usato con estrema parsimonia perché i casi in cui possiamo applicarlo sono molto rari: scegliamo interazione perché crediamo nella portata sociale del gelato, nella sua forza di creare ingaggio, nell’idea che la domanda di gelato nasca principalmente o perché ne abbiamo voglia o perché vediamo qualcuno che lo mangia. Noi giochiamo proprio su questo, sulla portata sociale del gelato.
Il mio target
E che target utilizziamo?
Il primo è composto dai fan perché come ogni attività del mondo, il miglior cliente è sempre qualcuno che ha già comprato. Online chi ha comprato non lo possiamo rintracciare, però possiamo andarci vicino provando a stimolare chi ci ha già testimoniato interesse fidelizzandosi a noi.
Il secondo dai friends of fan, che vedranno l’inserzione perché sono amici di chi è già fan della pagina. E il gelato è un oggetto ecumenico, che piace a tutti, a maggior ragione se vedo un contenuto gelato perché ci ha già interagito prima di me un mio amico.
Qui non ci sono interessi, non c’è slowfood, non c’è gelato, non c’è persone che amano il tempo libero. Stiamo parlando di un semplicissimo target persone fidelizzate e un target di amici di persone fidelizzate; stiamo pian piano abbandonando le Personas per avvicinarci a target relazionali.
La cosa interessante è che qualche amico dei fan potrebbe diventare fan, spalancando alla campagna i propri amici e far diventare il tutto un sistema che si autoalimenta.
Ah sì, se siamo una gelateria, non dimentichiamoci di geolocalizzare il tutto, mi raccomando.
E il contenuto?
E il contenuto è l’ultima cosa a cui si deve pensare in ordine strategico.
Prima la campagna, poi i target, poi i contenuti.
Due elementi rimangono fissi, la campagna e il target, a ruotare sono i contenuti.
Se teniamo stabili campagne e target, Facebook ha tutto il tempo di imparare meglio a riconoscere il proprio target e ottimizzarlo al 100%.
OK, ma noi non siamo una gelateria
Un vizio tutto italiano è quello di credere di essere sempre unici.
Non puoi avere idea di quante volte io mi sia sentito rispondere eh, il mio business è differente.
Certo, ma io non sto parlando del tuo business, io ti sto parlando di dove sta andando l’algoritmo.
Come per la gelateria di Udine, così come per ogni altro business è molto probabile che la targetizzazione per interesse, un grande classico delle campagne Facebook, possa essere integrata e forse sostituita da altre tipologie di target decise principalmente in modo algoritmico.
Nel mio caso, in questo preciso momento, più del 70% delle mie campagne ha come target un pubblico non costruito per interesse, ma per somiglianza: le lookalike audience.
E come ci fossimo allontanati dall’immaginare un archetipo di un consumatore per approdare a una fase in cui diciamo a Facebook OK, sei più bravo di me, fai tu.
E quindi invece di immaginare Eugenia, 29 anni, single, senza figli, con una grande passione per l’email marketing, prendiamo il nostro traffico web, oppure la lista dei contatti presenti nel nostro database, oppure il numero degli acquisti dell’ultimo mese sul nostro e-commerce e costruiamo una lookalike, una audience somigliante a chi è già nostro cliente.
In cosa somiglia? Non lo sappiamo. Ma dobbiamo fidarci dell’algoritmo perché è più bravo di noi.
La morale della chiacchierata
Enzo, ma sai che anch’io sto pian piano abbandonando la costruzione di profili di consumatori? Anzi, ti dirò, da quando faccio fare a Facebook ho un sacco di soddisfazioni in più.
Perché se mi concentro sempre meno sul profilare le persone, posso concentrarmi sempre di più sulle cose che davvero fanno la differenza, la strategia e i contenuti. La prima perché mi permetta di scegliere un obiettivo di Facebook, il più simile possibile al mio obiettivo di marketing; i secondi perché devono vincere la guerra dell’attenzione ed è la cosa più difficile in assoluto.
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