L’11 settembre scorso la Corte di Cassazione ha finalmente dato massima dignità giuridica al diritto di rimborso del sistema operativo preinstallato sui cosiddetti computer OEM (Original Equipment Manufacturer).
È una storiaccia vecchia come il mondo; basti ricordare l’esperienza di Paolo Attivissimo raccontata nel lontano 1999 su queste pagine. E dall’epoca, nonostante numerose campagne e azioni da parte delle associazioni di tutela dei consumatori, la questione non è migliorata molto, complice anche una deriva del mercato della tecnologia che porta sempre più a integrare hardware e software in prodotti ben sigillati.
Dovete rifiutare le condizioni di contratto alla prima accensione del computer appena acquistato, preferibilmente il giorno stesso dell’acquisto, cliccando sul pulsante Rifiuto. Se cliccate sul pulsante Accetto, è troppo tardi.
Qualcuno ha fatto notare che, stanti i principî del diritto contrattuale, nessuno deve essere costretto ad accettare quei termini se poi effettivamente non userà quel sistema operativo. E, attenzione, non è solo un problema dei “bizzarri” utenti Linux; coloro che hanno già una regolare licenza Windows potrebbero tranquillamente utilizzarla su una nuova macchina, senza dover per forza pagare il copyright una seconda volta.
La faccenda è ingarbugliata perché comunque quella seconda licenza l’abbiamo in realtà già pagata nel prezzo del dispositivo. Dunque restano solo due opzioni: o comprare solo macchine prive di sistema operativo (merce davvero rara sul mercato), o chiedere un rimborso per quanto indebitamente versato. Attivissimo aveva dimostrato che, muniti di caparbietà e pazienza, si riusciva effettivamente ad ottenere il rimborso; tuttavia le risorse spese tra tempo, telefonate, lettere raccomandate, fax e tempo impiegato rendevano l’operazione davvero poco conveniente. Diventa quindi solo una questione principio? No, è anche una questione di diritto; e a dirlo forte e chiaro è anche la Cassazione.
Ahimè, come spesso accade, stabilire un principio di diritto non è sufficiente a che gli operatori del mercato si adeguino mansuetamente, specie quando abbiamo a che fare con giganti multinazionali che sanno trovare il modo per ignorare le decisioni di giudici nazionali.
Ecco che, proprio sulla base del solenne principio sancito dalla Cassazione, l’Italian Linux Society ha lanciato Sistemainoperativo.it, un sito che fornisce tutte le informazioni necessarie per ottenere il rimborso e coglie l’occasione per sensibilizzare sul tema e mirare ad ottenere concrete tutele per i consumatori. Gli obiettivi che il progetto vuole raggiungere si estrinsecano in tre punti essenziali:
- che il valore della licenza del software pre-installato sia esplicito, ed in linea con il comune prezzo di mercato;
- che il rimborso non sia subordinato a procedure superflue o onerose, come l’invio del computer ad un centro assistenza per la rimozione del software;
- che sui siti dei produttori siano pubblicate, in modo chiaro, le modalità per chiedere ed ottenere il rimborso.
Sì, perché il rischio è che appunto il principio rimanga solo sulla carta per mancanza di chiarezza e per lungaggini burocratiche; o ancor peggio, che si arrivi a ingiustificati aumenti di prezzi e a strani accordi tra produttori e distributori che ovviamente si ripercuoterebbero sugli utenti.
Vi invitiamo quindi a tenere alta la guardia su questo aspetto e a segnalare alle associazioni di consumatori situazioni anomale.
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