Per il secondo anno If Book Then ha concentrato su Milano il dibattito sul futuro dell’editoria. Tentare una sintesi non è semplice. Ci proviamo partendo da una citazione su cui anche Giuseppe Granieri (@gg), direttore dell’editore nativo digitale 40Kbooks, è ritornato nel suo intervento di chiusura dell’evento:
Complexity and obscurity are the true publishers enemies.
Che nomi ha quindi questa complessità? E cosa significa oscurità?
La complessità è quella dei formati per ebook: aperti come EPUB; proprietari come KF8 (di Amazon), IBA e IBOOKS (di Apple); consolidati come PDF; poveri ma fondamentali (per Amazon) come MOBI. Ma anche quella dei metadati – per farla semplice le strutture che veicolano le informazioni bibliografiche – quasi sempre diversi tra negozio e negozio. Oppure quella del DRM, la protezione anticopia, diversa tra Amazon, Apple e Adobe, nata per combattere una pirateria su cui si discute da tempo (ma veramente le copie pirata sono vendite perse?). E ancora quella dei prezzi, la cui logica di applicazione potrebbe essere diversa in digitale dove conta per prima cosa emergere, e allora il prezzo delle novità potrebbe essere basso, e poi crescere via via che un titolo diventa popolare, uscendo dall’oscurità.
Già perché in un mondo sovraccarico di contenuti, fatto di pagine web e senza vetrine e scaffali delle librerie, un mondo dove la pubblicazione è potenzialmente per tutti, forse non bisogna temere la pirateria, ma il non essere visti, conosciuti, considerati, “sfogliati”.
Ma l’oscurità non è solo questo. Oscurità è anche non esserci, aver deciso di non pubblicare in digitale, non “aver fatto l’ebook”. Allora cosa potrebbe succedere? Per esempio i lettori in cerca di pane per i loro ereader potrebbero scegliere un altro titolo, o peggio cercare una copia illegale, “piratata” da chi il libro lo ha comprato su carta ma possiede sufficiente know-how per produrne una versione digitale da condividere in Rete.
La parola d’ordine diventa allora esserci, e quindi farsi notare: per il prezzo e per l’assenza di DRM, prima che per il contenuto e la copertina.
Ma prima di esserci è necessario pensare in che forma e ritornare alla complessità. Se l’editoria digitale diventa (o diventerà) mainstream, non è possibile aspettarsi dai lettori tolleranza verso errori e imprecisioni tipografiche. La complessità qui riguarda la difficoltà di controllare il rendering dei contenuti in più formati, su vari device, su schermi diversi. Un lavoro non da poco perché la tipografia degli ebook ha un’esperienza paragonabile ai primi anni della stampa a caratteri mobili, e le buone pratiche che si stanno definendo si scontrano con problemi strutturali interni ed esterni all’editore di non semplice controllo e individuazione.
E in uno scenario così fluido sempre in termini di complessità è necessario ripensare il ruolo dell’editore. Un mercato nuovo tutto da comprendere e padroneggiare, dove “gli euro del fisico potrebbero diventare centesimi del digitale”, e dove nuovi attori si affacciano con aggressività, impone di allargare il campo, ridefinire e ottimizzare i workflow, ampliando i servizi intorno al contenuto ma anche le possibilità commerciali che, in un’economia di scala come quella possibile in Rete, diventano globali.
Oggi più che mai gli editori devono essere i primi a mostrare il valore aggiunto che portano, creando ecosistemi intorno a lettori e autori e ridefinendo di conseguenza il ROI, il ritorno dell’investimento.
Le parole di Granieri chiudono e rilanciano la sfida:
L’editoria oggi – come non mai – è un settore ad alta innovazione.