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“Dipende!”: comunicazione e marketing per Rocco Rossitto

05 Aprile 2024

“Dipende!”: comunicazione e marketing per Rocco Rossitto

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L’autore di Dire qualcosa non vuol dire avere qualcosa da dire prende posizione sul lavoro di unire bisogni delle persone e obiettivi aziendali.

Prima di comunicare bisogna fare, prima di fare bisogna crederci

Apogeonline: Il panorama social sembra in flusso rispetto a pochi anni fa. Arrivano nomi nuovi come Threads, BlueSky, Mastodon, che non sembrano destinati all’oblio di Clubhouse. Come vedi l’evoluzione complessiva dei social in proiezione futura?

Rocco Rossitto: Il rischio di fare previsioni sul mondo del digital è quello di pestare un merdone (ça va sans dire) immenso. Però non mi voglio sottrarre. Anni fa, nel 2014, twittai che su Twitter sarebbe stato bello avere la possibilità di parlare, di sfruttare la voce: a quei tempi i podcast non erano quello che sono ora e neanche i vocali di Whatsapp. Allora ci provo: da una parte ci sarà sempre più una spinta al Broadcasting, dove la socialità è ridotta al minimo. I creator sempre più presenti perché rilevanti, gli influencer sempre meno importanti perché totalmente assimilati alle celebrities. Dall’altra però si andrà sempre più in forme chiuse, con poca voglia di trasmettere ma più di dialogare, fare relazione, basare gli scambi su punti di contatto elettivi.

Questa in parte è la fotografia attuale, ma sempre lo sarà negli anni a venire. Basti vedere cosa succede intorno al mondo delle newsletter, per spostare lo sguardo. In quest’ottica da un lato i monopoli si rafforzeranno e alcune nicchie potrebbero trovare una loro stabilità. Si parla spesso della morte di Facebook, ma è uno specchietto per le allodole. Facebook non è morto, si sta evolvendo, posizionandosi diversamente. Non penso ci saranno dei crack come fu per Myspace prima o Clubhouse poi. Penso che Threads possa crescere proprio perché appartenente all’ecosistema Meta. BlueSky e Mastodon sono destinati all’irrilevanza: e non lo dico certo con felicità. Tra qualche anno, rileggendo questa risposta chissà quante risate mi farò non avendone beccata manco una.

In un esercizio del tuo libro proponi di riflettere sulla differenza tra marketing e comunicazione. Come la risolveresti e come la declineresti a livello social?

Leggendo il libro la risposta è chiara: non la si risolve facilmente, perché dipende (eh!) sempre da chi sei, da cosa fai, da quanto tempo lo fai, dal tuo posizionamento nel mercato (e questo vale non solo per le aziende, ma anche per le persone). Però a grandi linee posso dire che la confusione tra marketing e comunicazione genera mostri che fanno diventare Instagram il catalogo prodotti della nostra azienda da un lato e, dall’altro, Ecommerce che vengono creati sulla spinta di agenzie volenterose che non hanno mai parlato però con il reparto marketing. A livello social è semplice (corsivo non a caso): la tua azienda non è lì per parlare (solo) dei tuoi prodotti; dovrebbe smetterla di fare monologhi e provare a dialogare.

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L’inevitabile domanda sulla AI. Non tanto per sapere se usarla o meno (dipende), ma per sapere come ti ci trovi e che cosa ne pensi.

Io sto in mezzo tra chi si arrocca nella difesa dell’intelligenza umana e chi spinge in maniera entusiastica alla novità assoluta come panacea di tutti i problemi. Sto in mezzo cercando di comprendere il fenomeno e come personalmente può tornarmi utile: parlo di intelligenze artificiali generative. Soprattutto spero che, così come fu per l’elettricità prima e Internet poi, le intelligenze artificiali diventino quanto più trasparenti possibile (in parte lo sono già). Che facciano parte della nostra routine senza doverci più fare caso.

Se tu potessi progettare una attività di comunicazione assolutamente libera da condizionamenti e pressioni da parte del committente, quali sarebbero i tuoi KPI principali?

Ovviamente: Dipende! I KPI sono degli indicatori di performance, quindi a seconda delle situazioni variano. Io, personalmente, mi trovo a mio agio sia con la relazione (brand) che con la conversione (vendita) e cerco di lavorare il più possibile affinché questi due mondi si ibridino e non siano separati. Quindi per me – rido mentre penso a questa metafora – la situazione ideale è la gita in bus con vendita di pentole & padelle: un primo KPI sarebbe quante canzoni cantano i partecipanti durante il tragitto d’andata e quanto si divertono a farlo. Da lì capirei se il gruppo è affiatato, se c’è un bel clima. Il secondo è quante domande fanno mentre illustro loro le catteristiche del prodotto durante il tragitto di andata.

Che cosa ti ha fatto scattare la molla per dire scrivo un libro?

Per anni la mia bio sui social è stata Non ho scritto nessun libro. Non ho mai pensato fosse utile raccontare ciò che stava succedendo. Per indole però mi piace tornare sui mei passi e così un po’ di tempo fa, con tanti dubbi, ho pensato fosse il momento di fermare alcuni concetti maturati sul campo negli anni. Ho pensato fosse il momento di mettermi in discussione e vedere l’effetto che fa. Così ho raccolto, appunti, slide, articoli e li ho riordinati in dieci capitoli che potessero generare più dubbi che certezze.

Quali sono i segni inequivocabili di una comunicazione aziendale fine a sé stessa?

Uno dei tanti segnali potrebbe essere il mancato allineamento tra quello che vogliamo dire e il modo in cui lo diciamo. Un altro la poca attenzione e cura nel progettare e dare importanza al messaggio implicito che sta dietro a quello esplicito.

Come scrivi, là fuori abbondano i corsi di social media marketing e addentellati che promettono meraviglie, garantiscono di andare in controtendenza, rivelano segreti eccetera. È davvero una buona strada per un aspirante social media manager / communication manager frequentare un corso online? Quali segnali ci aiutano a discernere tra le offerte? Non è meglio fare pratica, magari con un buon libro sulla scrivania?

Dirò una cosa banale: un buon libro è più utile di un pessimo corso, un ottimo corso è migliore di un pessimo libro. Cosa voglio dire: scegliete i corsi e i libri che non propongono meraviglie, soluzioni facili, scorciatoie, ma quelli che si pongono come obiettivo quello di stimolare riflessioni e competenze, che innescano un pensiero critico. Che tracciano un percorso, non che ti propongono la meta. Come? Beh, sui libri leggendo sempre le parti che gli editori mettono a disposizione in maniera gratuita, come indici e introduzioni, quarte di copertina e via dicendo. Sui corsi valutando i programmi e i docenti, seguendo la loro presenza in Rete, leggendo quello che scrivono.

Qual è l’aspetto che ami di più del tuo lavoro?

Coniugare i bisogni delle persone e gli obiettivi delle aziende. Le azioni di comunicazione che progetto hanno sempre questo fine, puntano a soddisfare entrambi gli attori in scena.

Nel libro c’è un capitolo in cui parli anche di attivismo di marca, di aziende che possono prendere parte al cambiamento. Qual è la ricetta giusta?

Non c’è nessuna ricetta giusta, ma un punto di partenza comune per quelle aziende che, piccole medie o grandi che siano, vogliano avere una ricaduta sociale: prima di comunicare bisogna fare, prima di fare bisogna crederci. Altrimenti è solo una operazione di facciata che prima o poi verrà smascherata e tornerà indietro come un boomerang.

Dire qualcosa non vuol dire avere qualcosa da dire, di Rocco Rossitto

Queste pagine sono un campanello d’allarme pronto a risuonare ogni qualvolta pensiamo che qualcosa di nuovo sia automaticamente sinonimo di utile e in parallelo quando pensiamo che il si è sempre fatto così sia sinonimo di funzionamento perfetto.

La risposta è dipende, ma certe aziende non riescono a stare senza il piano, il prospetto, la programmazione anticipata allo spasimo. Come si fanno convivere queste due anime, il dipende e la programmazione ossessiva, per tendere al miglior risultato?

Sì, la risposta è proprio dipende, però mi posso anche serenamente sbilanciare dicendo che un equilibrio vi è quando le parti riescono a bilanciarsi, quando una non prevale su altra. Allora, quali sono i tuoi obiettivi? Da lì capisci se spingere l’acceleratore più su un tasto o su un altro. Faccio anche un esempio: periodo natalizio o di sconti, o di altri momenti di vendita forte per la tua azienda. Quello sarà il momento in cui spingere sulla conversione. Per farlo però magari nei mesi precedenti devi aver creato un terreno fertile. Allora il miglior risultato in sé non esiste, la vendita non è il miglior risultato sempre e comunque.

Rispetto all’ossessione di pianificare tutto, con piani editoriali rigidi, programmazione attività annuale militare e via dicendo: beh, buono per chi riesce a farlo senza poi fare una gara ad ostacoli. La realtà ci porta ad avere sempre dei piani B, che come scrivo nel libro, sono gli unici a funzionare.

Come ci si aggiorna, nel tuo lavoro? Si passa dagli stessi canali usati per la comunicazione oppure si seguono strade diverse come libri, feed RSS, newsletter specialistiche…?

Un po’ di tutto quel che dici certamente e aggiungo anche un lavoro di ingegneria inversa, ovvero studiare ciò che gli altri fanno, provare a capire perché lo fanno. Poi personalmente trovo molto utile cercare stimoli altrove rispetto ai luoghi in cui ci aspettiamo di trovarli. Mi piace stimolare il piacere della scoperta casuale e lì bisogna andare molto a zonzo, a zig zag nel caos.

Immagine di apertura originale della redazione di Apogeonline.

L'autore

  • Rocco Rossitto
    Rocco Rossitto, al lavoro di advisor e consulente di comunicazione freelance, affianca interventi in convegni di settore, in corsi di formazione, in master universitari. Insegna Storia e Teoria dei Nuovi Media presso Abadir, Accademia di Design e Comunicazione Visiva a Catania. Dal 2014 cura "Una cosa al giorno", una longeva newsletter per persone curiose; nel 2023 ha pubblicato Perdersi in Rete.

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