A Mountain View, sede di Google, non si danno pace se non s’inventano iniziative per modernizzare e rendere più veloce il web. Han fatto la parte del leone quando s’è trattato di riscrivere il protocollo http; sono la voce grossa quando c’è da decidere cosa diventa (o non diventa) parte del linguaggio HTML5; con Chrome sono all’avanguardia nell’implementazione delle novità; puniscono chi non rende responsive (ben leggibile su schermi piccoli e grandi) le proprie pagine. Negli USA, lavorano anche per estendere la rete in fibra e portare con altri mezzi l’Internet veloce nelle zone rurali. L’idea è che un’Internet più veloce viene usata di più, quindi più pubblicità viene guardata e più quattrini finiscono nei forzieri di Google.
Dunque, in linea di principio non stupisce l’ultima novità, le Accelerated Mobile Pages, in sigla AMP. Il progetto stavolta richiede ai webmaster di riscrivere daccapo i siti per ottenere una velocizzazione (sino a quattro volte) dei tempi richiesti a un moderno smartphone per visualizzarne le pagine. Non sono però molte le aziende i cui tecnici stavano seduti sulle mani ad aspettare che qualcuno si inventasse qualcosa da fare sul sito nei prossimi due mesi; tra il dire e il rifare c’è di mezzo il mare e molto da remare. Così, big G mette sul piatto una ambita ricompensa per chi avrà la pazienza di sviluppare in AMP: il motore di ricerca Google ne farà svettare i siti nelle sue classifiche. Di quanto, però, al momento non è dato sapere. C’è di più: le pagine AMP possono finire in una rete di distribuzione (CDN) dedicata, il che alleggerisce notevolmente il carico sui server aziendali e li protegge dagli attacchi DDoS degli hacker.
Va anche detto che l’iniziativa non è mirata, almeno inizialmente, a tutti i siti, ma in particolare a quelli di case editrici e testate giornalistiche. E infatti, i primi ad adottare AMP sono nomi come Time, BBC, Financial Times e Wall Street Journal. Particolare attenzione devono prestare alla tecnologia AMP i siti inclusi in Google News, che presto darà particolare rilevanza a chi adempie e, c’è da contarci, prima o poi vorrà escludere chi resta indietro.
Tecnicamente, AMP prescrive al web designer una serie di regole tutte mirate a velocizzare il trasferimento della pagina web. Alcune istruzioni HTML non si possono usare, la pagina deve essere la stessa identica per tutti i visitatori, JavaScript deve venire eseguito dopo che la pagina è stata caricata e quindi ci sono molte limitazioni su ciò che può fare, i contenuti della pagina che non appaiono immediatamente vanno caricati solo al momento del bisogno (lazy loading). È una batteria di richieste abbastanza pesanti, al punto che gli autori della proposta suggeriscono che ogni pagina venga offerta in due versioni – classica e AMP – con un meccanismo che manda quest’ultima ai soli smartphone.
Pur togliendo molto allo HTML, sempre ripetendo il mantra della velocità, AMP aggiunge anche. Vengono messi a disposizione dei web designer alcuni tag aggiuntivi, qualcuno per gestire i contenuti multimediali, altri per consentire la pubblicità. Google sta anche rinnovando i suoi strumenti per webmaster, Analytics innanzitutto, per integrare al meglio AMP. Assistiamo anche alla risposta degli autori di sistemi di gestione contenuti: in molti stanno cominciando a muoversi. Il solito WordPress ha già annunciato il proprio supporto anche se, in quel caso, il proprietario del sito dovrà attendere che vengano rivisti per AMP non solo WordPress ma anche il template e tutti i plugin in uso — campa cavallo…