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È sale? È zucchero? No, è una biotecnologia

02 Agosto 2005

È sale? È zucchero? No, è una biotecnologia

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Per rendere i cibi più appetibili, con meno sale e calorie, forse la strada non è manipolare i cibi: si può invece manipolare l’essere umano (e fare un pozzo di quattrini)

Per milioni di anni gli esseri umani si sono affidati ai propri sensi per determinare se un cibo fosse commestibile o meno. Ad associare un gusto dolce con un cibo nutriente, un gusto amaro con un cibo (forse) pericoloso.

Migliaia di anni fa abbiamo però imparato a modificare il sapore dei cibi attraverso degli additivi. Primo fra tutti il sale, che ha dato origine a business (per l’epoca) di dimensioni planetarie; e poi miele, spezie (altro business dalle dimensioni globali e dai fatturati astronomici), olii e aceti…

In tempi più recenti il cambiare delle abitudini di vita e il sempre maggiore ricorso a cibi pronti ha dato un ulteriore impulso alla ricerca di agenti in grado di migliorare il sapore dei prodotti. Permettendo una migliore conservazione, creando gusti sempre più ricchi e irresistibili… portandoci ad ingrassare come maialini e facendoci saltare in aria le coronarie e tutti gli annessi, visto che nel frattempo siamo passati a vite sedentarie mantenendo apporti calorici da boscaioli siberiani.

Di conseguenza, come reazione ai problemi di salute causati da una dieta discutibile, si è aperto un enorme mercato per ulteriori additivi, sostitutivi di ingredienti (naturali) percepiti come negativi.

Dei micidiali grassi idrogenati che sostituiscono il burro abbiamo già brevemente scritto su Apogeo, ma si potrebbero comporre libri interi sui dolcificanti che hanno sostituito gli zuccheri, sul “cooking spray” che in padella sostituisce l’olio e così via.

La chiave di volta di un business miliardario è proprio quella di creare sapori ricchi e gratificanti, ma con poche calorie, con pochi zuccheri, con pochi sali, pochi carboidrati. E, ovviamente, con molti additivi.

Non cambiare il cibo, cambia l’umano

Mentre continua nei laboratori chimici la ricerca (e la verifica tossicologica) di nuovi composti in grado di alterare il sapore dei cibi, c’è chi sta invece seguendo una strada diversa: ricorrere alle scoperte dell’ingegneria genetica per modificare i nostri stessi recettori del gusto, ingannando (si spera temporaneamente) le nostre papille. Facendoci credere di provare un gusto che non c’è in quello che stiamo mangiando.

Il potenziale di mercato per questi composti è più che fantastico, promettendo profitti straordinari: basta pensare ai supermercati svaligiati da orde di consumatori sedotti da torte a zero calorie, da patatine saporite ma senza sale, da snack appetitosi ma bassi in grassi e senza il criticatissimo Monoglutammato.

In gioco ci sono molti, molti soldi.

L’ingegneria genetica sulla punta della lingua

Intenzionatissima a mettere le mani su una fetta consistente di questo bottino è Senomyx, un’azienda biotecnologica che sta sviluppando sostanze in grado di ingannare i nostri organi del gusto e di farci avvertire un gusto dolce in completa assenza di zucchero e di altri dolcificanti. Oppure di farci sembrare molto salato un brodino che il sale l’ha solo visto da lontano. O di esaltare il sapore senza monoglutammati o simili. E di farlo in dosi così infinitesimali da bypassare tutta una serie di leggi e regolamenti.

Su Senomyx stanno scommettendo giganti dell’alimentare come Campbell (quelli della zuppa), Nestlè, Coca-Cola o Kraft, che hanno chiarissimo in mente cosa vorrebbe dire abbassare drasticamente le calorie, gli zuccheri, i dolcificanti, il sale: volumi più elevati e prodotti che supportano un premium price. Fatturati, margini e quote di mercato.

A fronte dell’opportunità di lanciare prodotti irresistibili per i consumatori cresciuti ad additivi, poco disposti a rinunciare al gusto ma prontissimi ad aprire il portafoglio per comprare prodotti “zero” o “low”, grandi aziende del food hanno finanziato le attività di Senomyx con milioni di dollari e sono pronte a pagare il prodotto finito non un tanto al grammo ma con delle royalties sulle vendite tra l’uno e il quattro per cento.

Un’inattesa applicazione della mappa del genoma

Senomyx lavora analizzando la mappa del genoma umano, in maniera analoga a come oggi si opera per lo sviluppo di farmaci ad alta tecnologia: si identificano i recettori e si sviluppa una molecola ad hoc in grado di alterarne il funzionamento.

In questo caso si agisce quelli del gusto, e ce ne sono a centinaia differenti, responsabili delle reazioni chimiche che ci fanno percepire un certo sapore; e si creano in laboratorio composti in grado di stimolare alcuni recettori e di bloccarne altri, in una formula mirata. Così, invece di fare la fatica di modificare il cibo, si va direttamente a ingannare il cervello e facendogli sperimentare delle vere e proprie illusioni gustative.

Sarà sicuro? Sì, sicuro che ci tirano un bidone…

Alcuni di questi prodotti sono ormai in dirittura d’arrivo e dovrebbero arrivare, nascosti nei cibi, sugli scaffali statunitensi nel corso del prossimo anno o giù di lì.

L’uso del termine “nascosti” non è casuale, almeno secondo la legislazione americana, l’infinitesima quantità di additivo necessaria per avere l’effetto sulle papille fa sì che si possa fare a meno di indicarlo esplicitamente in etichetta, riportandolo genericamente come “aromi artificiali”.

Quel che è ancora più interessante è che, per lo stesso motivo, il processo di approvazione per l’uso in prodotti destinati al consumo umano ha una sorta di corsia preferenziale.

Prodotti come i dolcificanti, impiegati in dosi piccole ma non piccolissime (200 – 500 parti per milione) hanno impiegato fino a 11 anni di ricerca e sperimentazione prima di avere il benestare della Food and Drugs Administration.

Nel caso di questi nuovi additivi che taroccano le nostre papille sono bastati 18 mesi (di cui solo tre spesi a testare il prodotto su topi di laboratorio) per concludere il processo; basandosi sul principio che, a quelle dosi, la probabilità di reazioni negative per la salute sarebbe molto bassa (basandosi su questo ragionamento si potrebbe anche legalizzare il Plutonio nel latte…?).

Non mancano quindi le critiche: sia perché tutto ciò che si porta dietro l’etichetta “ingegneria genetica” fa paura, sia perché si teme che a testarli meglio magari qualcosa saltava fuori, sia perché (e questo è lo scenario più probabile) l’uso di questi composti apra la porta a vere e proprie truffe.

La differenza tra un ingrediente fresco ed uno scaduto, tra un ingrediente costoso ed uno organoletticamente scadente sta proprio, infatti, nel sapore (ok, anche nel “day after”, d’accordo…).

Modificando il sapore, tutto diventa possibile.

Rifilarci il bianco da supermercato al prezzo dello champagne. Farci pagare il caffè dimenticato ad ammuffire in un magazzino come il più pregiato Blue Mountain Giamaicano.

Alla faccia dei sommellier, dei “nasi” e degli esperti alimentari – permettendo ad aziende senza scrupoli di rifilarci prodotti andati a male o con ingredienti di pessima qualità.

Scenari futuribilmente gastronomici

Ma è d’uopo mantenersi sempre ottimisti. Non è dunque difficile immaginare un futuro in cui ci nutriremo con cibi ottimizzati, privi di grassi, con tutte le vitamine, le fibre e i nutrienti giusti al posto giusto… (mi immagino delle pappette verdi, qualcuno ricorda il Soylent Green?). Nutrimenti bilanciati, dal gusto intrinsecamente orrendo – ma che grazie a questi nuovi composti ci permetteranno di mangiare cose sanissime avvertendo sapori deliziosi.

Un futuro in cui gli spinaci sapranno di chewing gum e la minestra di crema al cioccolato, terminando le discussioni coi bambini capricciosi.

Un futuro in cui dovremo fidarci delle aziende alimentari e non dei nostri sensi (vedi alla voce “l’impossibilità di conoscere la realtà”).

Un futuro cui mi sto preparando festeggiando con una specialità spagnola sanissima (cotenne di maiale fritte nel burro – le vendono al supermercato in sacchetti tipo patatine), in attesa che, con lo scemare del caldo, ritorni la stagione del cotechino con la polenta, delle torte alla panna, della crema brulé, dei pesciolini sotto sale,del lardo valdostano e di Colonnata.

Tutta roba naturale, e di conseguenza, probabilmente, destinata a non durare…

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