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Uno spettro si aggira per le (nostre) arterie

16 Marzo 2005

Uno spettro si aggira per le (nostre) arterie

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La FDA dichiara che non ne esiste una dose minima sicura. Radiazioni? No, i grassi "trans" che ingeriamo ogni giorno. E l'industria alimentare ha un grasso problema fra le mani

Una notizia molto grossa. O, piuttosto, molto grassa.
Quelli che fino a ieri sembravano salutari sostituti dei grassi naturali, sono oggi additati come degli implacabili killer.

Noi continuiamo, inconsapevoli, a ingerirne a palate ogni giorno. E le industrie alimentari si trovano di fronte al rischio di vedere sparire non solo delle quote di mercato ma addirittura intere categorie merceologiche.

Una bella conversione a U

Devo dire, è da tempo che avevo voglia di scrivere un articolo di stampo catastrofistico, del tipo “meteorite si dirige, inarrestabile, verso lo stadio di San Siro ma Bruce Willis si piazza in porta”. Quindi se da un lato sono molto contento dell’opportunità, dall’altro sono molto irritato perché io e la mia famiglia ci siamo dentro in pieno.

La notizia, raccontiamola così: c’erano una volta il burro e l’olio, specialmente quello di piante tropicali, ingredienti base di milioni di prodotti confezionati e di piatti serviti in ristoranti e fat food, pardon, intendevo dire fast food (per non parlare del sego di bue che veniva usato per le patatine fritte…).

Medici e dietologi un bel giorno iniziano però a parlare di colesterolo buono, brutto e cattivo e di quello intelligente ma che non si applica.
Qualcuno (cioè praticamente tutti) negli anni ’80 passa a sparare a zero su questi grassi naturali ma insaturi, identificati come i killer delle arterie.

L’umanità viene a questo punto salvata dall’industria alimentare, che inventa dei grassi artificiali, detti “trans”, ottenuti dall’idrogenazione di oli vegetali in presenza di un catalizzatore metallico. Molecole che non esistono in natura ma che non sono così insature come quelle dei grassi fino ad allora usati nell’industria alimentare.

Osanna nell’alto della dietetica, abbasso i burri, viva i grassi idrogenati.

Passano venti anni, si rifanno non so che conti ed esami e si scopre invece che con la loro struttura artificiale i grassi “trans” abbasserebbero il colesterolo buono (HDL, per i pignoli) alzando parallelamente quello cattivo (LDL), con un micidiale “uno-due” ai fianchi delle nostre arterie.

Scatta l’allarme.
Interviene la FDA, l’ente governativo americano che ha per missione di “proteggere la salute pubblica, assicurando la sicurezza e l’efficacia di farmaci, prodotti biologici, apparecchiature mediche, alimenti, cosmetici e prodotti che emettono radiazioni.”

Così la Food and Drug Administration stabilisce ora che per i grassi “trans” non esiste un livello di sicurezza (letteralmente “no healthy level”). E che da gennaio 2006 sarà obbligatorio negli US indicare in etichetta la quantità di questi grassi.

Perché non proibirli? Non è mica così facile…

In primo luogo il business dietro a questi grassi “trans” è di dimensioni importanti. Il business dei grassi, gestito da veri colossi, anche se invisibile al passante è molto robusto e con forti implicazioni su orientamenti geopolitici ed agroalimentari.

In secondo luogo, il problema è che questi grassi sono un po’ dappertutto, in moltissimi prodotti che consumiamo abitualmente – mica facile sostituire un ingrediente così diffuso. E, ovviamente, li si dovrebbe sostituire con ingredienti più cari, che farebbero salire il prezzo e diminuire le vendite.

In ultimo luogo perché esistono dei prodotti che le industrie alimentari proprio non riuscirebbero a fare usando altri grassi: a puro titolo di esempio, le ciambelline col buco di Homer Simpson, senza i grassi idrogenati, verrebbero una schifezza.

Arrendetevi, le vostre arterie sono circondate

Come leggo la notizia che la FDA allerta, in maniera velata, della pericolosità dei grassi in questione, attivo il piano di emergenza.

Cerco conferme sul sito della prestigiosa clinica Mayo, su siti di informazione medico scientifica, sull’almanacco di Frate Indovino. Scopro che il Canada sta laboriosamente tentando di arrivare al bando totale.

Mi allarmo ancora di più e passo alla Fase 2: sigillo le porte, indosso l’elmetto e passo al setaccio la dispensa.

Fase 3, come tre sono i sacchi della spazzatura pieni di prodotti che hanno preso la via dell’inceneritore. E quel che è peggio, in buona parte destinati ai bambini o da loro potenzialmente consumabili. Della serie le coronarie ce le giochiamo da piccoli. Spero che da grandi mi perdoneranno, agivo in buona fede.

Sentito al telefono per conforto morale, il mio migliore amico (quello fobico, che ha ad esempio il terrore del banking online) invece di soffiare sul fuoco delle mie paure mi rassicura, dicendo che in Europa a lui non risulta siano state prese misure così drastiche contro questi grassi, che gli scienziati oggi dicono una cosa e domani un’altra, che se fossero davvero così pericolosi, qui Spagna e lì in Italia li avrebbero già proibiti.

Poi mi saluta e riappende, essendo giunta l’ora della sua compressa di Melatonina per dormire. Non ho avuto cuore di raccontargli che altri scienziati sostengono che quel composto rimpicciolisca i testicoli. Che dorma tranquillo, almeno lui.

Fuga dal grasso idrogenato

Scatta la Fase 4.
Dovendo rifornire la dispensa bruscamente alleggerita, parto in missione per il supermercato.
Passo in rassegna confezione dopo confezione, sui lineari di ben tre iper da cui mi servo. Risultati abbastanza imbarazzanti.

Le keyword del presunto killer sono “grassi idrogenati” o “grassi parzialmente idrogenati” – ma ho il sospetto, pescando nei ricordi di gioventù di quando facevo il product manager in una società dell’alimentare, che forse anche “grassi alimentari” o “grassi vegetali” possa essere un alias che qui venga a volte impiegato per coprire i perfidi trans (ne ho più tardi la conferma… ma non vi svelo i dettagli per non andarmi a ficcare in casini legali caso mai qualche grande azienda decidesse di farmi causa…). Così leggo le etichette. E mi inquieto.

Qualche esempio: le creme da spalmare in vendita qui in Spagna, se le voglio senza trans me le devo comprare al negozietto biologico. I biscotti farciti… meglio lasciar stare. Merendine ricche… qualcuna sì, qualcuna no. Ciambelline… classificabili come armi di distruzione di massa. E poi trans infiltrati in primi e secondi pronti, creme, dolcetti e snack, pasticcini, sughi, barrette coi cereali, gelati, tavolette di cioccolato ripiene, salse ed ogni ben di dio.

Stroncato dalla fatica e dallo stress dell’indagine faccio una pausa in un fast food locale. E commetto l’errore di leggere la lista degli ingredienti. Fuggo inorridito – temo che una sola patatina contenga il livello letale per un’intera nazione.

Ripiegherei su cappuccio e brioche al caffè italiano mandolini-e-gondole dove ogni tanto vado… chiedo la lista dei componenti delle brioche surgelate modello “Replica del cornetto” e capitolo su un cappuccino e basta. Senza schiuma e decaffeinato.

Mi consolo pensando che, in fondo, noi europei, con i nostri gusti alimentari più “naturali” in fondo siamo fortunati; a pensarci bene, sono in effetti riuscito a trovare un buon numero di prodotti liberi da questo ingrediente… mentre, secondo una ricerca effettuata dalla Food and Drug Administration, nel 1999 i grassi trans erano presenti nel 95% dei biscotti e nel 100% degli snack venduti nei supermercati americani…non sorprende quindi che, a giudicare da quanto asserisce il Department of Health and Human Services, l’80 per cento dei grassi assunti dall’americano medio sarebbe proprio costituito da questi terroristi del sistema cardiocircolatorio.

L’industria si industria

Questa faccenda si sta trasformando in un menage a trois tra consumatori, stakeholders della salute e aziende dell’alimentare. Con un convitato di pietra: gli avvocati.

È chiaro che negli States, dove il mercato è particolarmente sensibile a mode dietetiche, se parte l’onda del panico nel consumatore l’industria alimentare si ritrova di botto in una brutta situazione. D’altra parte, per il comparto dell’alimentare, il grasso idrogenato è un ingrediente magico: costa poco, è stabile, rende buoni e cremosi i prodotti.

Dall’altro lato, qualcuno nel governo US e nel mondo delle assicurazioni mediche ha fatto i conti con i costi per il sistema derivanti dai livelli di problemi coronarici presenti nella popolazione nordamericana.
Nel 1999 una ricerca condotta dalla Harvard School of Public Health e dal Brigham and Women’s Hospital stimava che la sostituzione nella dieta dei grassi trans con grassi più sani avrebbe potuto evitare negli US tra i 30.000 e i 100.000 decessi all’anno per attacco cardiaco – su una popolazione di quasi 290 milioni di abitanti. Figurarsi i costi che il sistema e le assicurazioni devono sostenere per curare tutti quelli che invece sopravvivono…

Per ultimo, gruppi di difesa dei consumatori hanno cominciato ad agitarsi seriamente. Boicottaggi, denunce, pressioni, manifestazioni oceaniche…

E, silenziosamente, si stanno muovendo anche gli avvocati: esiste una straordinaria opportunità di business per gli studi legali, che starebbero analizzando il business potenziale derivante dal far partire cause miliardarie per danni, analoghe a quelle contro i produttori di sigarette.

Anche se è probabile che una buona parte dei consumatori non ne venga mai a sapere nulla o semplicemente se ne freghi di questa faccenda dei grassi idrogenati, l’industria alimentare non intende correre rischi e sta investendo pesantemente per correre ai ripari, chiedendo a gran voce alle aziende del comparto oli e grassi di far uscire una valida alternativa: aziende che si trovano per le mani una bella gatta da pelare ma una gran bella opportunità di business. Si stanno, in effetti, iniziando a trovare delle soluzioni alternative ai grassi trans per l’industria alimentare e della ristorazione. Temo però che, in molti casi, queste soluzioni si basino di sementi geneticamente modificate…

In un modo o nell’altro, comunque, grandi aziende e marchi famosi sono già riuscite a eliminare i grassi trans dalle proprie linee di prodotti – e molte altre ci stanno lavorando, con l’obiettivo di arrivare “puliti” all’appuntamento con le nuove etichette.

In alcuni casi la riconfigurazione della ricetta, per eliminare l’ingrediente pericoloso (mantenendo al contempo un sapore paragonabile e caratteristiche organolettiche di cremosità, di compattezza, di stabilità nel tempo) ha richiesto due o anche tre anni di ricerche. E il risultato sono prodotti che possono salire di prezzo anche del 30, 40 o del 50 per cento.

Non che fosse una novità

La denuncia della pericolosità di questi grassi girava in realtà già da molto tempo, sia sui media della controinformazione che nel mondo dell’investigazione scientifica più “ortodossa”; già nel 2002 l’Istituto di Medicina della National Academy of Sciences aveva dichiarato che non era riuscita ad identificare (a differenza di quanto successo per altri grassi alimentari) un “healthful limit” per i grassi trans…

E l’industria alimentare, ampiamente preallertata dell’arrivo del temporale, già da tempo è ricorsa ai ripari con acute azioni di lobbying volte a dimostrare l’impossibilità del comparto agro/alimentare/ristorazione statunitense di eliminare in breve tempo le sostanze incriminate.

E così il ministero dell’Agricoltura si è lasciato convincere ad ammorbidire la propria posizione e a pubblicare delle guidelines alimentari per i cittadini, parecchio più soft sui grassi idrogenati di quanto raccomandato dai propri consulenti scientifici.
Specificamente, la raccomandazione è “consumatene meno che potete”.
E meno male che li hanno ammorbiditi…

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