In concomitanza con il semestre di presidenza UE da parte della Gran Bretagna, il governo Blair ha commissionato uno studio sull’accessibilità dei siti Internet delle Pubbliche Amministrazioni europee.
Il campione, rappresentante 436 siti Web del Pubblico dei 25 stati membri, ha permesso di verificare un dato preoccupante: solamente il 3% dei siti analizzati è stato giudicato accessibile.
Se si considera che 39 milioni di europei sono a pieno titolo considerati disabili, il risultato di questo report è un campanello d’allarme che trova comunque al proprio interno scusanti, e va interpretato in moderata chiave negativa.
Ad esempio, il sistema che fornisce un immediato strumento online per verificare l’accessibilità di qualunque sito si trova, assieme alle linee guida per l’accessibilità, all’interno del portale del W3C.
Le guidelines, però, sono disponibili solo in alcune delle lingue dell’unione Europea e le traduzioni derivano dall’attività di volontari. Non esiste ancora la versione cipriota, lettone, maltese e slovena, e, ben più grave, nemmeno quella in lingua greca o ceca. Dal W3C informano che si sta lavorando su quelle in polacco e slovacco.
Sulla base di queste premesse, la scarsa performance dei siti pubblici europei rispecchia il meccanismo e lo stato di integrazione delle 25 nazioni che compongono l’Unione, in cui le barriere linguistiche comportano gioco forza rallentamenti e colli di bottiglia.
È vero comunque che buona parte degli Stati Membri (solo 6 di questi hanno fornito stime sulla propria performance di accessibilità) sopravvaluta fortemente i propri risultati in termini di accessibilità, sbandierando qualità che ricerche come questa dimostrano poco fondate.
La scala valutativa del W3C prevede i gradi A, AA e AAA come sinonimi di garanzia di accessibilità. Lo studio, svolto tra maggio e luglio 2005, ha permesso di verificare, attraverso verifiche automatiche e manuali, che il 3% dei siti pubblici europei ha ottenuto un A (nessuno ha ottenuto AA o AAA), e un ulteriore 27% vi è andato vicino. Il restante 70% di siti del Pubblico ha chiaramente fallito nel dimostrarsi accessibile.
L’unico sito pubblico italiano segnalato come buona prassi è UniVerso, il portale orientativo del Ministero dell’Istruzione per i giovani che si affaccino al mondo dell’Università.
La realtà italiana in termini di rispetto dei criteri di accessibilità prevede comunque che i nuovi contratti firmati dalla PA per lo sviluppo di siti Web istituzionali prevedano clausole secondo cui la non conformità agli standard W3C sia una potenziale condizione di invalidità del contratto.
Resistenze e dubbi sul sistema di valutazione del W3C e sul concetto in sé di accessibilità sono da sempre un lietmotif di Internet.
Alcuni recenti studi hanno definitivamente affiancato il concetto di accessibilità a quello di usabilità (come ad esempio il Web Access and Inclusion for Disabled People sviluppato nel 2003-04 dalla Disability Rights Commission britannica), aumentando i malumori di grafici e pubblicitari che vedono vessate le proprie proposte creative da rigidi standard che impattano su una percentuale bassa di potenziali utenti Internet.
I curatori di UniVerso, quando affermano: “Abbiamo posto ogni cura per rendere questo ambiente facile da usare anche per non vedenti o ipovedenti, ma l’accessibilità è ancora una ‘scienza’ nuova”, sottolineano involontariamente la complessità di questa prospettiva, ma la forte valenza sociale dei concetti sottesi si spera modifichi o attenui approcci al Web che pongono il ROI prima dell’Inclusività.