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Web in agonia, ma non per gli italiani…

06 Luglio 2001

Web in agonia, ma non per gli italiani…

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Ora che su Internet si paga e ci si annoia, cresce l'utenza italiana online: ironia della sorte?

Quasi un quarto degli italiani è online. Secondo l’ultimissima ricerca, curata da Cnel ed Eurisko, sarebbero circa 11 milioni le persone che negli ultimi tre mesi hanno scorrazzato su Internet. Sembra che la percentuale italiana (23,4) sia ormai a ridosso delle medie europee: 25 per cento in Francia, 28 per cento in Germania. Anche se tuttora lontane dai paesi con elevata diffusione di Internet — Svezia, Canada e Stati Uniti in cui navigherebbero online, rispettivamente il 65, il 60 e il 59 per cento dei cittadini. Senza però dimenticare la tipica disomogeneità dell’utenza (penalizzati sono anziani, meridionali e donne) e ancor più le solite molle con cui vanno prese simili indagini.

Una crescita sostanziale, non manca di sottolineare qualcuno, che però appare tardiva e fors’anche inutile. Nel senso che esaminando l’andazzo di Internet a livello globale, oggi le prospettive del medium appaiono sempre più rivolte verso la centralizzazione e il commercio, dalla parte delle grandi corporation anziché di quella degli utenti. Come illustrato più volte su queste ‘colonne’, la new economy è in caduta libera, la cultura digitale sembra moribonda e il modello aperto di Internet procede verso la sconfitta – a cominciare dalla culla del pianeta elettronico, gli Stati Uniti. Ergo, l’Internet che raggiunge oggi le sponde più decentrate del pianeta ha perso gran parte della brillantezza comunicativa dei suoi albori. E si porta appresso enormi spazi di bieca pubblicità e monopoli sparati, promettendo un futuro tutt’altro che roseo.

Qualche esempio? È noto che un buon 50 per cento del tempo trascorso online dai navigatori mondiali viene spartito tra appena quattro siti: AOL Time Warner, Microsoft, Yahoo, Napster. Secondo gli esperti del Cybermedia Group tra non molto AOL Time Warner e Microsoft conquisteranno insieme il 70-80 per cento di tutto il web, accesso, utilizzo, servizi e quant’altro. Ovvero: “oggi quel che conta non è più il tipo e la qualità dei contenuti offerti, ma la funzionalità complessiva.” In altri termini, chi controlla l’accesso online (AOL vanta 30 milioni di abbonati al mondo) e il software necessario (leggi: Microsoft) detterà leggi e modalità della navigazione degli utenti, ignari o meno che siano. Chiaro il concetto, no?

Se ancora non bastasse, nessuno più s’illude sulla fruibilità gratuita del web per come lo conosciamo. E ci si rassegna ad aprire il portafogli per opzioni fino a poco tempo considerate “free” per definizione. Motori di ricerca quali LookSmart, Goto.com e About.com hanno iniziato a chieder compensi per evidenziare certi siti in posizione privilegiata e/o diffondere newsletter specializzate. Società che offrivano web-hosting o accesso a Internet gratis ora impongono le comuni tariffe. Pubblicazioni elettroniche che spaziano dalla Encyclopaedia Britannica a Salon a Variety.com si fanno pagare variamente informazioni prima liberamente disponibili. Perfino il super-popolare eBay prevede tariffe d’abbonamento mensile (da 4,99 a 15,99 dollari) per l’utilizzo di un software ad hoc capace di snellisce la gestione delle aste più trafficate — manovra quest’ultima che tuttavia ha suscitato le lagnanze degli utenti del sito. Per non parlare degli annosi problemi di quotidiani e riviste, insieme ad esperimenti di “micropagamenti” da applicare ai clic effettuati su determinati link; esperimenti in corso ad esempio nei siti di ESPN SportsZone e Playboy, per cifre cha vanno dai 10 cent a 10 dollari per clic.

Certo, ci rammentano alcune fonti, alla fin fine è probabile che finiremo col ritrovarci in uno scenario simile a quello della televisione. La cui offerta è passata, dagli iniziali programmi completamente gratuiti, a diversi livelli di abbonamento, con alcuni canali (vedi il via cavo) a pagamento e altri comunque “free”. Anche il web, insomma, dovrebbe continuare a garantire entrambe le opzioni. Come pure non ci piove sul fatto che in ogni caso chiunque sarà libero di metter su un sito in cui discutere di pesci marziani o conchiglie del deserto. Altrettanto ovvio però che, visto la situazione di cui sopra, elementi-chiave rimangono il controllo della tecnologia e dell’utenza, il consolidamento dei soggetti operanti e la visibilità dei siti più potenti.

Al contempo, l’arrivo oramai prossimo (almeno negli USA) della banda larga iperveloce per fasce consistenti di utenza, potenzialmente sembra creare nuovi servizi ed opportunità per l’industria — riproponendo altresì quella figura del “middleman” che la natura stessa dell’e-commerce sosteneva di aver mandato definitivamente in soffitta Costoro potrebbero infatti gestire quei micropagamenti a nome degli utenti o rimediare contratti esclusivi per eventi speciali. Ad esempio, recentemente RealNetworks ha firmato accordi con la National Basketball Association e la Major League Baseball per fornire il webcast dei due campionati in esclusiva. Ancora una volta si copia il modello TV, stavolta tipo pay-per-view.

Un’evoluzione forse inevitabile ma che indubbiamente relega negli angoletti l’informazione indipendente, la cultura intelligente. Con annesse perplessità e finanche abbandoni da parte dell’utenza meno superficiale. E se ciò è quel che va accadendo al di fuori della penisola, appare quanto meno ironico notare che invece qui l’utenza tenda a crescere in maniera decisa. Proprio ora che, sotto diversi punti aspetti, l’epoca d’oro di Internet è inesorabilmente finita. Forse allora hanno ragione i curatori della ricerca italiana del Cnel quando affermano: “L’analisi evidenzia che il nostro paese ha cominciato a muoversi in questa realtà ma molto resta da fare per valorizzare la competitività e colmare il divario territoriale e la distanza con le economie più evolute”. Quel che resta da fare online è infatti competere, commerciare, controllare — del resto, la comunicazione inter-attiva e la cultura online, meglio fregarsene.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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