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Vittoria legale per i cybersquatter, lanciati alle presidenziali USA

17 Giugno 1999

Vittoria legale per i cybersquatter, lanciati alle presidenziali USA

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Respinto a sorpresa dai giudici federali di Washington l’esposto della Porsche nord-americana contro 138 URL che ne utilizzano illegalmente il nome e relative variazioni. Come riportato in una precedente news, …

Respinto a sorpresa dai giudici federali di Washington l’esposto della Porsche nord-americana contro 138 URL che ne utilizzano illegalmente il nome e relative variazioni. Come riportato in una precedente news, si trattava della prima denuncia legale contro i cosiddetti “cybersquatter” (siti Web contenenti somiglianze e storpiature di nomi noti, sia per farne parodie sia per attirarvi navigatori sprovveduti) che portava in aula i domini registrati, non i proprietari degli stessi. Ciò per aggirare il tipico ostacolo su cui andavano finora a infrangersi le procedure legali in casi simili: dover reperire fisicamente i singoli registranti per notificare loro la denuncia in corso (oltre a nomi e indirizzi falsi, molti dichiarano residenze in paesi extra-statunitensi).

Proprio su questo punto la corte federale ha deciso che il nuovo approccio tentato dai legali della Porsche non può essere applicato. Occorre sempre e comunque citare in giudizio i singoli proprietari del dominio, e metterli al corrente della denuncia in corso. Ciò anche per evitare grossolane intimidazioni delle corporation e a tutela del diritto di critica delle grandi aziende, incluse chiare prese in giro, da parte dei consumatori online. Oltre ad evitare che nella grande rete gettata contro i siti virtuali, finiscano poi anche singoli individui che non c’entrano nulla.

Mentre la Porsche ha già presentato ricorso in appello, la sentenza ha dato altro sprone al fenomeno “cybersquatter” in grande stile, o meglio in vista delle presidenziali USA del novembre 2000. Il candidato repubblicano Steve Forbes ha sborsato 6.500 dollari per far suo www.forbes2000.com, già registrato da due studenti dell’Arizona. Il collega George W. Bush si è visto chiedere la bellezza di 350.000 bigliettoni dal consulente informatico di Boston che gli ha soffiato www.gwbush.com (e pure quello in “.org”), dopo averlo riempito di informazioni negative con conseguente denuncia dei legali di Bush. Il quale ha comunque occupato per tempo altri domain specifici, al contrario invece del candidato democratico Al Gore: dopo aver spinto tanto la “information superhighway”, si va muovendo con enorme ritardo sul Web, dove buona parte dei nomi-chiave sono stati registrati oltre due anni fa da un’azienda di Kansas City, che ora li usa per vendervi adesivi e spille, pur se a favore di Al Gore.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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