In una sua “lettera dalla Silicon Valley”, pubblicata su Affari&Finanza de La Repubblica, Federico Rampini si chiedeva perché gli editori di software, Microsoft in testa, non possono essere portati in tribunale per le falle nei loro prodotti. Si riferiva, in pratica, agli attacchi di virus informatici e alla vulnerabilità degli utenti che usano questi programmi.
Adesso, presso la Corte suprema della California è depositata un’azione collettiva contro Microsoft. Se confermata, potrebbe cambiare radicalmente i prodotti Windows e l’atteggiamento delle aziende del settore.
La causa verte sulle falle di sicurezza di Windows che, su scala mondiale, possono causare blocchi giganteschi. Inoltre, il sistema di aggiornamento di Windows e di altri software sarebbe insufficiente.
Le circolari sulla sicurezza e i patch sarebbero troppo complessi per essere compresi e installati dalla maggior parte degli utenti e, poi, sarebbero il terreno di partenza per i pirati informatici per concepire virus e worm elettronici che sfruttano i bug dei prodotti Microsoft.
Insomma, se la Corte accettasse questa azione collettiva, milioni di consumatori sarebbero chiamati in causa contro l’azienda.
Microsoft, conscia dell’enorme pericolo, è corsa ai ripari e intende difendersi per far rigettare l’azione legale.
Il punto principale di difesa dell’azienda è stato illustrato da un portavoce: “Questa causa manca il punto essenziale. I problemi causati dai virus sono il risultato di atti criminali perpetrati dalle persone che li hanno creati”.
Dunque Microsoft si chiama fuori e ributta la palla agli avversari, che dovranno provare la responsabilità dell’azienda nei casi di attacchi massicci di virus informatici, come successo quest’estate.