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Troppi brevetti fanno male all’innovazione e al pubblico dominio

15 Luglio 2004

Troppi brevetti fanno male all’innovazione e al pubblico dominio

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"Patent Busting Project" della EFF contro i brevetti inutili e dannosi, mentre Microsoft brevetta il "personal area network" basato sulla conduttività della pelle

Gli effetti della mania da brevetto si fanno sempre più pesanti. Ormai non esiste ambito high-tech che non sia coperto da un qualche diamine di brevetto, e una delle conseguenze è la marea di denuncie e controdenuncie per violazioni d’ogni tipo. Un trend che sta portando al blocco dell’innovazione, come insiste una parte della stessa industria, soprattutto in ambito software e internet. Mentre Richard Stallman ci rammenta che le questioni relative ai brevetti sono completamente diverse da quelle sul copyright (meglio cioè non far confusione inglobandoli in una generica “proprietà intellettuale”), pur se entrambe le normative andrebbero sicuramente rese meno rigide o intricate e più aperte. Allo stesso modo la pensa una buona fetta degli utenti internet, soprattutto le centinaia che nelle scorse settimane hanno inviato segnalazioni per il Patent Busting Project, organizzato dalla Electronic Frontier Foundation per smascherare quei brevetti che “pongono la minaccia maggiore al pubblico dominio”.

Mirata proprio a mettere in luce come i brevetti limitino l’innovazione e creino un inutile peso per lo sviluppo di Internet, l’associazione a tutela dei diritti civili digitali si è concentrata sui “10 Most Wanted Patents.” La cui stessa esistenza rappresenta un grave danno per il pubblico. Perché mai? In sintesi, l’ampio numero di piccole aziende, enti non-profit e singoli utenti che usa quotidianamente le nuove tecnologie, e internet in particolare, va diventando sempre più vulnerabile alle mire e ai ‘ricatti’ dei possessori di brevetti — robe che prima rimanevano invece una sorta di affare interno tra le grandi aziende. Le quali non casualmente avevano messo su appositi dipartimenti e risorse, essendo le uniche che potevano permettersi le esose spese legali per affrontare le relative cause giudiziarie. Il contrario di quanto accade, manco a dirlo, con la moltitudine di “pesci piccoli” presi di mira oggi. Come spiega il documento della EFF: “Storicamente il sistema statunitense dei brevetti si basava sulle risorse di importanti corporation tese a impedire l’approvazione di brevetti dannosi per loro; oggi questi nuovi imputati vengono lasciati con nessuna o poche opzioni per difendersi.” Sul banco degli imputati l’ampia portata delle richieste e la facilità d’assegnazione di recenti brevetti in aree ormai di uso comune quali streaming, pagamenti via carta credito, hyperlink, finestre pop-up. Nell’insieme tutto ciò, insiste la EFF, minaccia la libertà d’espressione e la libera circolazione delle idee.

In questo contesto, quali sarebbero allora i 10 brevetti più dannosi? In testa alla (disonorevole) classifica c’è l’ormai noto brevetto di Acacia Research che copre lo streaming audio-video, tecnologia super-diffusa sul web. Fatto ancor più grave, l’azienda ha preso a minacciare le piccole strutture, tipo siti che diffondono home video o filmati per adulti prodotto in proprio. E comunque, la replica di Acacia non si è fatta attendere: il “tribunale ha dimostrato la piena legittimità del nostro brevetto”, e quindi a nulla potranno simili iniziative. Sotto accusa anche il “metodo per amministrare i test su internet“, di cui è titolare Test.com: il metodo riguarda test, lezioni e sondaggi, per cui potrebbe efficacemente bloccare progressi importanti nella didattica a distanza, nella certificazione online e nei test di software. Senza contare che Test.com ha fatto pressione contro svariate università tra cui la Regis University e la University of Tulsa. A onor del vero va tuttavia aggiunto che i dirigenti di Test.com hanno rapidamente fatto sapere di voler lavorare in accordo con la EFF, non avendo intenzione di applicare quel brevetto contro realtà non-profit.
Tra gli altri nomi dei “most wanted patents” si trovano poi Firepond (brevetto sui sistemi informativi di linguaggio naturale), Ideaflood (brevetto sull’assegnazione di domini di terzo livello nei Wide Area Network), Nintendo (brevetto su un software che emula una piattaforma di video game tipo Game Boy).

Intanto, ci si prepara al prossimo passo: una commissione di esperti, avvocati e ricercatori metterà alla prova tali brevetti, mentre prosegue la raccolta di specifici riscontri e commenti dagli utenti. In particolare ci si muove alla ricerca di “prior art”, le prove dell’esistenza precedente di quelle tecnologie. Dopo di che la EFF conta di adire le vie legali per bloccare o far ripensare il possibile, insistendo sull’eccessiva facilità con cui il Patent and Trademark Office accetta simili richieste.

Sul tutto va infine segnalato un recente brevetto tipico di questo filone “piglia-tutto”, ottenuto addirittura da Microsoft: l’uso della pelle del corpo umano come conduttore di elettricità e di dati. Citando la proliferazione di sistemi elettronici indossabili (pager, telefonini, PDA), Microsoft avrebbe messo a punto un metodo per l’intercomunicazione di tali sistemi avvantaggiandosi, appunto, di un fenomeno antico e naturale come quello conduttività della pelle. In pratica, il brevetto prevede la creazione di un “personal area network” che consenta ad unico centro-dati di essere usato dai vari apparecchi portatili. Ciò nel caso in cui questi ultimi, come già avviene, siano troppo piccoli per avere alcun tipo di interfaccia oppure delle batterie.

Qualcosa che a ben vedere non è così nuovo, considerando i segnali-radio di Bluetooth, ad esempio, o il lavoro sulla comunicazione intra-corporea avviata da qualche anno presso i Almaden Research Labs di IBM. Anche qui, insomma, si scopre sostanzialmente l’acqua calda (la conduttività della pelle umana) e se ne “prenota” ogni possibile impegno in campo high-tech per il prossimo futuro. Il nuovo brevetto conferma d’altronde l’aggressiva campagna avviata da qualche tempo da Microsoft, mirata ad ampliare le entrate scavando ben bene nel terreno della cosiddetta “proprietà intellettuale”. Lo confermano recenti assegnazioni di brevetti altrettanto ampi e generici, come il doppio-clic e i metodi di script in XML. E c’è da scommettere che la mania da brevetto proseguirà imperterrita — a meno che non si moltiplichino iniziative come quella della EFF di pari passo con le documentate, vibranti proteste di aziende e utenti.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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