Lo slamming, come è noto, è una forma di truffa online utilizzata da alcuni rivenditori di nomi di dominio, diretta a trarre in inganno gli utenti della rete, per farsi affidare la gestione dei loro domain names.
I dati vengono reperiti dalle banche dati WHOIS, che indicano i nominativi corrispondenti ai nomi di dominio registrati presso altre società e la data di scadenza dei relativi contratti.
Ai destinatari selezionati viene quindi inviata una lettera che li avverte del fatto che il loro nome di dominio è prossimo alla scadenza e li invita ad affrettarsi a rinnovare il contratto per uno, due o addirittura cinque anni, per di più a tariffe spesso superiori a quelle di mercato.
Accettando di pagare, l’ignaro utente trasferisce, senza saperlo, la gestione del proprio nome di dominio automaticamente a chi l’ha contattato, abbandonando la precedente società presso la quale il nome di dominio in scadenza era stato registrato. Quest’ultima, dal canto suo, subisce uno sviamento di clientela.
Nel caso esaminato dalla Corte Federale Australiana, i convenuti avevano contattato circa 50 mila clienti del registrar britannico Nominet, nell’arco di due anni.
La vicenda australiana non è che un esempio di una pratica assai diffusa, che si sta evolvendo.
Le società di slamming hanno incominciato a contattare le aziende titolari di nomi di dominio per convincerle a registrare un nuovo nome, parzialmente modificato, sulla base della falsa affermazione che l’attuale indirizzo rischia di venire confuso con quello di un nuovo, inesistente, concorrente.