Il rapporto tra arte e tecnologia, ai tempi dell’informatica dilagante e di Internet, vive un suo particolare momento, legato alla progettazione degli oggetti hi-tech, all’estetica delle pagine web, alla grafica digitale e ai suoi infiniti sviluppi. La scelta di inserire la dimensione artistica nella produzione tecnologica risale tuttavia alla concezione stessa del moderno design e ha già sviluppato, nell’arco di tutto il XX secolo, un imponente bagaglio di conoscenze e una notevole forza economica.
Collegata a questo argomento, in un settore particolarissimo e di grande rilievo culturale, si è determinata una vera e propria tendenza al riuso dei manufatti industriali, che coinvolge da un lato la dimensione produttiva nella sua struttura di base, dall’altro la dimensione artistica nel suo aspetto più tangibile e popolare, quello museale. L’idea di riconvertire le vecchie fabbriche si è imposta come economicamente conservativa e architettonicamente suggestiva, e trova tuttora un obbligato punto di riferimento progettuale nella stazione ferroviaria trasformata nel Museo d’Orsay di Parigi nel 1986. Vi si sono ispirati numerosissimi grandi progetti, tra cui, per limitarci all’Italia e citando a caso, le riconversioni del Lingotto a Torino (Fiere di Torino), delle Officine Riva & Calzoni a Milano (Fondazione Arnaldo Pomodoro), dei Seccatoi del tabacco a Città di Castello (Museo Burri), della Birreria Peroni a Roma (Museo d’Arte Contemporanea Macro).
Sulle strutture abbandonate di grandi centrali elettriche urbane sono nate la Centrale Montemartini, sezione dei Musei Capitolini inaugurata a Roma nel 1997 e la Tate Modern, sezione della Tate Collection inaugurata a Londra nel 2000. I due musei sono oggi presenti in modo diverso nel contesto culturale delle due capitali: la Tate Modern, che si è insediata nelle strutture della Bankside Power Station, è diventata uno dei poli culturali e uno dei musei londinesi più amati e visitati, mentre la Centrale Montemartini è ancora poco nota e poco inserita nel circuito delle visite turistiche romane. Non si tratta solo di una differenza di dimensioni, per cui la Tate è obiettivamente molto più grande della Montemartini, ma anche di un destino all’origine diverso, l’ex-centrale inglese trasformata per ospitare straripanti collezioni e mostre temporanee di livello internazionale, l’ex-centrale italiana per esibire più se stessa che le opere antiche che vi erano state collocate in via dapprima provvisoria e poi definitiva. E se il visitatore della Tate deve armarsi di pazienza per ammirare il grande museo in mezzo a una folla debordante, il visitatore della Montemartini può gustare la bellezza classica delle statue e il fascino futurista degli enormi macchinari con una certa tranquillità.
C’era bisogno di questi musei? La Tate Collection è composta da decine di migliaia di opere e l’edificio di Millbank in cui risiedeva ne poteva esporre una ridotta percentuale; oggi la Tate Modern, di cui già si prevede un ingrandimento, ha aggiunto varie migliaia di metri quadrati alla superficie complessiva delle sedi in cui la collezione Tate è stata suddivisa. L’allestimento della Centrale Montemartini, che ospita centinaia di rilevanti opere scultoree dell’antica Roma, risponde sia a una necessità espositiva dei Musei Capitolini, anch’essi sommersi di materiale, sia a un’esigenza di sopravvivenza e di visibilità del complesso industriale stesso, ritenuto una testimonianza culturale alla pari di un edificio monumentale o religioso. Ecco allora che nella Montemartini le immense turbine, i macchinari, la caldaie, i ponti, le travature ci sono ancora e allacciano un dialogo imprevedibilmente amichevole e costruttivo con i marmi antichi, sapientemente collocati dagli allestitori, mentre nella Tate la sala delle turbine è stata svuotata, una navata sterminata in altezza e lunghezza, decorata soltanto dai nuovi bizzarri cilindri metallici che scendono dalle balconate laterali, fantasiosi e fantastici scivoli per i visitatori più giovani.
La visita effettiva dei due musei si impone, ed è da consigliare a chiunque si rechi in visita nelle due capitali europee, ma nell’attesa vale la pena di soffermarsi sui siti web delle due istituzioni. Le pagine web sono di fatto un luogo in cui l’incontro costruttivo tra arte e tecnologia è auspicato e fertile. Lo scarto che esiste nella dimensione dei due musei diventa qui ancora più sensibile, ma del resto il primato di informazione e di attualità degli statunitensi e degli anglosassoni nel web è fuori discussione. Il sito della Centrale Montenartini è elegante e ben fatto, offre tutte le informazioni relative a prezzi, orari, mostre temporanee, riferimenti locali, ma nel suo insieme è estremamente sintetico e dispone di una galleria fotografica di appena 25 immagini. L’aspetto più desolante poi risiede nella scarsa interattività; se è possibile infatti l’acquisto online dei biglietti, non si può per il resto ottenere altro. In altri termini: lo studioso di scultura romana da questo sito può in pratica ottenere solo alcune immagini e alcune notizie minime, più o meno quelle di un depliant, davvero poco in definitiva, anche se siamo nella norma dei siti istituzionali italiani.
Il sito della Tate Modern, che fa parte di quello globale della Tate Collection, è invece talmente esteso da provocare semmai una reazione del tutto opposta, e cioè di smarrimento per l’eccesso di notizie. Il navigatore esperto però non metterà molto a organizzarsi e a trovare una quantità davvero impressionante di notizie e di immagini, insieme alla possibilità di acquistare online i prodotti del negozio interno o i volumi della grande libreria d’arte che occupa un’ala al piano terra del museo. L’esplorazione della collezione, insieme alle approfondite e aggiornate notizie sulle mostre temporanee, spesso corredate di video, è estremamente accurata grazie a un’efficiente sistema grafico. È possibile, con pochi clic, eseguire la ricerca di un’opera o di un autore, oppurevisitare una sezione, le sale, e infine vedere tutte le opere presenti in una sala, complete di descrizione e dati informativi. La vera soddisfazione per lo studioso sta però nelle immagini e nelle notizie delle opere di proprietà del museo non visibili nelle sale, ma visibili sul web. Si prenda a puro titolo di esempio il caso di Francis Bacon, il grande pittore inglese scomparso nel 1992, di cui la Tate Collection possiede parecchi oli e alcune decine di disegni, non esposti. Sono tutti presenti nel sito alla voce Bacon, i quadri a olio regolarmente esposti nella Tate Modern e nella Tate British e altri quadri e disegni conservati negli archivi, con una ottima definizione delle immagini. Prelevando i file jpg, i dati e i commenti forniti on line è possibile costruire del pittore un catalogo self-made di buon livello, simile a quello di una mostra. E gli artisti presenti nel sito della Tate Collection sono centinaia…
Una nota sul titolo, che cita Antonio Sant’Elia in uno degli straripanti paragrafi del Manifesto dell’Architettura Futurista. Se da un lato egli ci sembra dotato di preveggenza, dall’altro lo vedremmo certamente inorridire davanti all’uso museale di quei meravigliosi manufatti dell’età moderna: «Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista, simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca».