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Sempre nebuloso il futuro dell’e-vote

28 Luglio 2004

Sempre nebuloso il futuro dell’e-vote

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A poco più di tre mesi dalle presidenziali, tutt'altro che risolte in USA le questioni sul voto elettronico

Nonostante l’approssimarsi delle elezioni di novembre, riaffiorano con forza negli Stati Uniti le problematiche relative alle procedure per l’e-vote. Tre contee dell’Ohio che si apprestavano a implementare macchine fornite dall’ormai famigerata Diebold sono state costrette a un improvviso dietro-front. Motivo? Gli ultimi test sul campo hanno evidenziato di problemi di sicurezza irrisolvibili entro la scadenza delle presidenziali. Sono stati intanto rese pubbliche le motivazioni della denuncia presentata lo scorso anno da alcuni cittadini californiani contro la stessa Diebold: a causa di equipaggiamento e programmi scadenti e non certificati, le macchine usate nella tornata per il ‘recall’del governatore sarebbero rimaste alla mercé di hacker e ‘bachi’ nel software. In replica a simili problemi, offre invece qualche speranza la nuova tecnologia di VoteHere che verrà usata da un altro produttore di macchine per e-vote, la Advanced Voting Solutions: grazie a sistemi e codici di riferimento crittati, l’elettore potrà verificare l’esattezza del proprio voto direttamente online.

Partendo da quest’ultima notizia, le due aziende hanno appena annunciato che integreranno tale tecnologia nei terminali ‘touch-screen’ WINvote per metterla alla prova proprio durante le presidenziali del prossimo novembre. Anziché puntare sul riconteggio centralizzato, il sistema offre agli elettori la possibilità di verificare sul web l’esattezza delle scelte effettuate, una volta identificato il codice numerico della ricevuta corrispondente nel database elettorale. Il tutto ovviamente basato su software sicuro e crittato. Secondo il comunicato-stampa firmato da Jim Adler, fondatore di VoteHere, “prima agli elettori verrà rilasciata una ricevuta cartacea onde essere certi che il proprio voto sia stato conteggiato, e in seguito ciascuno potrà verificarne la correttezza.” Il tutto per ovviare al possibile ripetersi del caos seguito alle presidenziali del 2000 in Florida, quando in alcuni seggi gli addetti verificarono integrità e correttezza delle schede solo manualmente, con risultati spesso differenti. Oltre che per superare l’ovvia mancanza di tali schede cartacee, visto il ricorso ormai generalizzato a macchine tipo ‘touch-screen’, note come Direct Recording Electronic.

Pur se il sistema di verifica più sicuro in assoluto rimane quello dell’immediata ricevuta cartacea rilasciata dalla macchina all’elettore, il metodo di VoteHere rende innanzitutto cifrata la scelta apposta sulla scheda, consegnandone il relativo codice a chi vota. Una volta a casa, quest’ultimo potrà controllare il tutto in un apposito database protetto online, de-codificando quel codice unico. Una tecnologia che viene già sperimentata nel settore privato, come nel caso di elezioni interne per gli azionisti di grandi aziende, mentre a livello pubblico il metodo di VoteHere è stato adottato lo scorso anno da un’altra società, Sequoia Voting Systems. Il cui diretto concorrente Diebold Inc., continua invece a navigare in acque agitate. A partire dal rilancio della querela presentata in California dal programmatore Jim March e dalla nota attivista Bev Harris, i quali chiedono il rimborso delle spese sostenute dallo stato per l’acquisto di quelle macchine. Spese che sono almeno pari ad otto milioni di dollari, anche se sembra che soltanto la Alameda County (in cui rientrano Oakland e Berkeley) avesse investito per il ‘recall’del novembre 2003 quasi 11 milioni di dollari in nuove macchine ‘touch-screen.’

La denuncia accusa specificamente la Diebold di aver usato hardware e software privo della necessaria autenticazione statale, oltre che di aver dotato le macchine di modem tramite i quali gli addetti e/o altre persone avrebbero potuto pubblicare online i risultati prima della chiusura dei seggi. I querelanti hanno altresì richiesto allo stato della California di associarsi in tale denuncia (la decisione in merito non è stata ancora presa), con March e Harris che potrebbero vedersi assegnato fino al 30 per cento di ogni eventuale rimborso. La manovra, basata sul cosiddetto ‘whistleblower statute’, stavolta si concentra sul denaro perché, come spiega Jim March, “purtroppo le norme sui prodotti elettorali non sono chiare, mentre lo sono molto quelle che permettono di defraudare le strutture governative… imboccare la strada economica è più semplice che richiedere procedure adeguate.” Diversa l’opinione dell’Open Voting Consortium Inc., il cui sistema si basa su software non-proprietario. “Preferirei vedere gente che sostiene soluzioni concrete piuttosto che soltanto cercare di farci dei soldi,” ha spiegato Alan Dechert, fondatore del consorzio.

Comunque sia, la Diebold si becca un’altra mazzata in Ohio: le contee di Hardin, Lorain e Trumbull non ne useranno le nuove macchine a novembre, come invece previsto, mentre la Mercer County aveva già deciso di tenere in vigore il sistema attuale, pur se basato sulle ‘punch-card’ di triste memoria in Florida. Secondo il portavoce del segretario di Stato Kenneth Blackwell, le altre contee che già usano sistemi di e-vote non prevedono alcuna modifica. Nel complesso, la gran parte delle 31 contee che si apprestavano a sostituire le proprie macchine per novembre, hanno fatto marcia indietro. Una prima serie di test operativi ha portato alla luce 57 diversi tipi di problemi nei sistemi prodotti da tre aziende (Diebold, Electronic Systems and Software, e Hart Intercivic). Anche se le macchine della Diebold saranno le uniche ad essere sottoposte una seconda serie di test sul campo, l’indagine non verrà completata in tempo per le prossime presidenziali. “C’è stata delusione per il fatto che quei sistemi non abbiano raggiunto i nostri requisiti di sicurezza,” ha aggiunto lo stesso Blackwell, “ma si è anche compreso che tali sistemi devono essere assolutamente sicuri.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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