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Sei passi verso la narrazione ultratestuale

21 Maggio 2009

Sei passi verso la narrazione ultratestuale

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Penguin Books sceglie sei autori per sperimentare nuove frontiere tecnologiche della narrazione. Un colpo di pubbliche relazioni, ma anche un'investigazione sul futuro

L’arrivo dell’ipertesto (la possibilità di inserire dei link in un testo, collegandosi ad altri testi, in un infinito rimando di approfondimenti, citazioni, incapsulamenti) ha dato agli scrittori uno strumento in più per arricchire la propria narrativa e aprire nuove frontiere nella propria arte. Per estensione questo ha aperto a tutti noi un modo nuovo di scrivere, che lentamente abbiamo metabolizzato, tanto che per chi blogga (e non solo) è diventata quasi una seconda natura.

La tecnologia, internet, ha quindi cambiato il modo di scrivere, introdotto nuovi stili. E la tecnologia cambierà ancora il modo di scrivere – questo è il parere (che condivido) di Penguin, la casa editrice dei tascabili più amati al mondo, perlomeno da me. Come tutte le case editrici vive in primissima persona il dramma del publish or perish e si scontra in prima fila contro questo brutto pasticcio della smaterializzazione del testo, della digitalizzazione del libro (e del giornale, anche in italia, si veda l’ebook reader de La Stampa).

Complessa convergenza

Se il testo diventa elettronico e non atomico cambia il mestiere della casa editrice? Forse no, ma cambia di certo il modo di svolgerlo, nel tentativo di restare vivi e di continuare a vendere testi in cambio di denaro – anche se le persone iniziano a chiedere testi che non sono riprodotti su un pezzo di carta ma che fluttuano dentro cavi e circuiti elettronici. (Doveroso citare una tendenza controtendente – la stampa di libri fuori commercio fatta direttamente on demand, oggi una realtà concreta anche in librerie di media taglia, come in questo esempio londinese dove in cinque minuti vi stampano un libro su commissione).

Potremo (e molti di voi temo lo faranno) disquisire se sia meglio la carta o l’elettronica; io tendenzialmente preferisco la prima a casa e la seconda fuori – anche se ancora devo trovare un’anima buona che mi faccia provare un Kindle o un Rex. Ma la visione di Penguin pare essere che se il futuro è qui, val la pena di affrontarlo anche in termini di approccio di business. Un business, quello del libro elettronico, che al momento non è certo enorme: nel Regno Unito è stimato su un massimo di 12 milioni di sterline (un pochissimo per cento del mercato), ma con tassi di crescita stimati a due cifre.

Tanto per cominciare, Penguin ha immesso sul mercato una sessantina di titoli acquistabili in forma digitale (sono pochini, mi sa di “sperimentazione”), ma soprattutto ha lanciato un progetto di investigazione di nuove forme di narrativa, di uso delle nuove tecnologie per raccontare le storie in forma radicalmente nuova. È quindi nato il progetto We Tell Stories, un ambiziosissimo progetto di scrittura digitale. Realizzato con la partecipazione di sei autori e di Six To Start, un gruppo di disegnatori di giochi, sono state realizzate sei (più una settima) storie ispirate a dei grandi classici, pensate per sfruttare Internet come strumento abilitante per leggere, anzi interagire, partecipare al processo narrativo da parte del lettore che diventa attore, in una fruizione che vuole essere immersiva.

Sei storie, sei piattaforme

Ogni storia ha un meccanismo ed una tecnologia differente. Ed è stata pubblicata in una settimana differente per creare un lungo processo di engaging. The 21 Steps è una narrazione che si snoda all’interno di Google Maps, dove si segue il protagonista nel suo spostamento per Londra, partendo dalla Stazione di S.Pancras, con una narrazione geocontestuale. Slice è una specie di storia di fantasmi – che il lettore poteva seguire, giorno per giorno, sul blog della protagonista e su quello dei suoi genitori (e attraverso i loro Tweet). Fairy Tales è una forma forse un po’ meno innovativa, in cui il lettore è chiamato a decidere dello svolgimento della storia scegliendo una serie di opzioni e personalizzando alcuni testi.

Your Place and Mine è stata una storia scritta in diretta: per una settimana una coppia di scrittori ha prodotto, per un’ora ogni notte, una storia. E il pubblico ha potuto seguire, dal vivo, in real time, il processo di scrittura, lo svolgersi della storia dalla tastiera della coppia creativa. Hard Times non è né un libro né un racconto, ma un esercizio di infografica che usa la grafica per far passare delle informazioni e dei dati, per far riflettere. Infine The (Former) General è una storia navigabile, un po’ sulla metafora di un dungeon, una storia da scorrere ed esplorare usando le frecce della tastiera, in un movimento spaziale che ci porta da un punto all’altro della narrazione.

Una settima storia è stata infine nascosta nel progetto di comunicazione, con indizi sparsi online e offline, ed è stata legata a un concorso che metteva in palio un sostanzioso buono libri. Ma questa è la parte meno interessante. La parte più interessante è vedere come un editore si sia posto delle buone domande e stia seriamente (si spera) guardando al futuro e ai modi in cui riuscirà, come intermediario a valore aggiunto, a trovare un ruolo sensato fra l’autore e il pubblico.

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