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Perché l’epidurale non può dirsi progresso

04 Dicembre 2006

Perché l’epidurale non può dirsi progresso

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Il ministero della Salute auspica l'incremento dei parti senza dolore negli ospedali italiani, garantendo l'anestesia gratuita alle donne che ne facciano richiesta. Sono le stesse donne a chiederlo, dopo che è stato sottratto loro il controllo del corpo e la fiducia nelle proprie forze. Le alternative esistono, come dimostrano Inghilterra, Olanda e Canada

L’epidurale è una terapia medica, farmacologica invasiva e come tale ha i suoi rischi. Quando è applicata a donne e bambini sani, senza specifica indicazione medica si parla di medicalizzazione. L’epidurale è la conseguenza naturale della medicalizzazione progressiva della nascita e ne rappresenta insieme al taglio cesareo l’apice. Il parto naturale è un parto senza alcun intervento medico, né chirurgico, né farmacologico, né posturale ed è sicuro. L’epidurale indebolisce le donne e i bambini nascenti, il parto naturale le rinforza. La medicalizzazione porta con sé sempre dei rischi, che vengono taciuti, quando si vuole promuovere una pratica medica lucrativa o ideologica.

Emancipazione e progresso

Il dolore fa paura, le emozioni forti del parto ancora di più. Nei paesi avanzati ambedue vengono aboliti con l’epidurale, o almeno così suona la promessa. Il quadro ideale è una donna non solo senza dolore ma anche senza turbamenti, mentre il suo bambino sta faticosamente cercando la sua strada attraverso di lei. L’epidurale è una realtà ben più diffusa in altri paesi che non nel nostro, ma noi adesso seguiremo il trend internazionale con i dovuti anni di ritardo. È una questione culturale. Viene facile pensare che tale ritardo sia dovuto alla presenza di un forte patriarcato in Italia, e che di conseguenza l’epidurale venga vista e rivendicata come un diritto per la donna, finora negatole, pensata come un progresso emancipativo. Ma scrutando il tema con uno sguardo più attento, l’epidurale si rivela come il completamento della scissione della donna tra corpo e mente, iniziato molti anni prima. Dice Barbara Duden, nota storica tedesca dalla sua prospettiva di storia del corpo femminile:

Il corpo della donna è diventato un luogo colonizzato, e il bambino un prodotto opzionale, che puoi decidere di avere o non avere. Una scelta che ricade sulle donne, ma in realtà è un esempio della infiltrazione del management tecnologico nell’area più intima della persona umana. E quel che è peggio che concetti del femminismo legati al corpo – autodeterminazione, scelta, controllo, decisione e responsabilità personale – vengono usati strumentalmente per sostenere questa colonizzazione, dipingendola come una presunta emancipazione dal destino biologico.

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E Adrienne Rich, autrice del libro Nato di donna dalla sua prospettiva di evoluzione storica-antropologica:

Le moderne possibilità dell’analgesia stanno creando un nuovo tipo di prigione per le donne; la prigione della non-coscienza, delle sensazioni attutite, dell’amnesia, della passività totale. […] Ma lo sfuggire al dolore fisico o psichico è un meccanismo pericoloso, che può farci perdere contatto non solo con le sensazioni dolorose, ma con noi stesse!

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Nel processo di sua emancipazione sociale la donna diventa complice dell’uomo nel suo bisogno di semplificare i processi complessi della biologia femminile, temuti come catene da loro e come fomentatrici di disordini dagli uomini. Quindi l’epidurale oggi appare come una necessità, sia perché le donne, essendosi allontanate dalla propria polarità femminile hanno paura del parto, ma anche e sopratutto perché la medicalizzazione del parto lo ha reso un evento eccessivamente doloroso, traumatico e senza gratificazione per la donna né per il bambino. Ha di fatto separato la donna dal suo corpo.

Proviamo a seguire le tracce di questo fenomeno dei nostri tempi a ritroso. Com’è nata questa separazione tra sé e l’evento nascita? Questa paura della fatica e del dolore? Questo bisogno di rendere il parto “innocuo”, neutro dal punto di vista emozionale? Come si è creata l’immagine ideale di un parto con una donna che sorride e guarda la tv, mentre il suo bambino compie la metamorfosi più grande della sua esistenza, da solo? Da 50 anni il parto è ospedalizzato e quindi medicalizzato. La medicalizzazione aumenta il dolore, togliendogli la ritmicità, l’aspetto che lo distingue da altri tipi di dolori. Quindi almeno due generazioni di donne e uomini sono cresciuti con l’idea che il parto sia una cosa “malata”, traumatica e quindi fuori dalla competenza propria, bisognoso di uno specialista. Lo dicono anche i libri scolastici.

Il dolore del parto, certo, da sempre si è cercato di lenirlo, di contenerlo, lo chiede la com-passione femminile. Ma finché il dolore veniva contenuto, senza toglierlo, finché le donne potevano partorire e vivere la gratificazione del parto, non c’era la richiesta di eliminarlo da parte loro. Lo stesso Dick Read, fautore del parto indolore degli anni ’30 in realtà parla del ridurlo attraverso i mezzi fisiologici «affinché il dolore del parto non sia niente che la donna non possa sopportare». Prima, la richiesta di eliminarlo nasce dalla struttura ospedaliera, che non può tollerare il confronto vivo e quotidiano con l’espressione delle partorienti nelle loro doglie nella misura quantitativa derivante dalla concentrazione di tante nascite nello stesso luogo. Quindi l’ostetricia ospedaliera ha inventato ogni sorta di anestesia e analgesia ben più pericolose e ben più castranti dell’epidurale. In questa prospettiva le epidurali moderne sono infinitamente migliori.

La via del dolore

Naturalmente l’offerta appare allettante. Chi mai sceglie la sofferenza? Oggi la richiesta di eliminare il dolore viene anche dalle donne. Da almeno due secoli, il parto naturale nelle società occidentali e occidentalizzate non c’è più. Da quando la donna è stata distesa a letto per partorire, le doglie si sono trasformate in dolori insopportabili, la donna non era più in grado di cooperare attivamente con lo stress del parto. A questa condizione si è aggiunto negli anni dell’ospedalizzazione l’interventismo medico: il monitoraggio, l’immobilità totale, l’ossitocina sintetica e oggi le prostaglandine, le induzioni, il parto pilotato, la rottura delle membrane, la distensione manuale di collo uterino e perineo, le Kristeller (spinte sulla pancia), l’episiotomia, le ventose oggi sempre più facili, i parti vaginali operativi – vere violenze, fortunatamente oggi per lo più sostituiti con il taglio cesareo, l’assenza di sostegno e aiuto, ancora oggi in troppi ospedali nemmeno quello del marito, l’allontanamento immediato del bambino, tutti fattori che hanno amplificato il dolore rendendolo insopportabile e hanno tolto anche la gratificazione compensatoria data dall’accoglimento del bambino, lasciando la donna sfinita, sola e triste.

Che cosa rimane nella memoria di quelle donne? Di quelle bambine nate che poi hanno ri-partorito con il terrore nei visceri altre figlie e figli? La presa di distanza, la scissione interna è il minimo che posa succedere.L’esproprio, il disempowerment si è compiuto. E allora oggi evviva l’epidurale, che permette di non passarci più. Le figlie non devono più sopportare quello che hanno sopportato le loro madri. Evviva. Poi oggi l’epidurale paradossalmente è più naturale del parto spontaneo. Con l’epidurale puoi camminare, con l’epidurale il tempo della spinta non è più limitato all’ora, con l’epidurale puoi anche andare in acqua, anche se non la senti, ma è più naturale, con l’epidurale prendi farmaci, ma non ti fanno niente.

Con l’epidurale sorridi durante il parto, un po’ meno quando arriva il bambino, ma almeno lo vedi. Tutto questo non è possibile con il parto spontaneo. Che meraviglia, che sollievo, rispetto al parto traumatico. Fa meno male. Lascia meno ammaccature. Permette una ripresa più rapida. È un indubbio miglioramento rispetto alle condizioni precedenti. E anche più sicuro. Forse l’epidurale ci riporta indirettamente sulla via della fisiologia, e allora ben venga l’epidurale. Solo che, insieme al dolore toglie anche la dinamica fisiologica del parto, il processo del divenire madre, la forza, la gratificazione, il legame biologico, l’intensità del primo incontro, il periodo sensitivo fatto di un’estasi particolarissima e la gioia.

I rischi del parto supino

Mentre non parliamo dei rischi dell’epidurale, non parliamo neanche di quelli del parto supino, medicalizzato (il 94% secondo una indagine in Germania) erroneamente chiamato parto spontaneo. In realtà ambedue queste modalità del parto hanno rischi importanti per la salute sia della madre, che del bambino – che a volte si sovrapongono e si sommano.Tra questi si contano nel bambino problemi di adattamento postnatale, respiratori, di depressione del sistema nervoso centrale e problemi neurocomportamentali anche a lungo termine.

Anche per la madre nel parto supino le difficoltà sono numerose. Il dolore è improduttivo e amplificato, lo stress psico-emotivo forte. Gli esiti in cesarei sono più frequenti con parto supino che con epidurale: in Italia siamo al 36% di cesarei contro un 4% di epidurali. I numeri sono prova del fatto che il parto “normale” nelle condizioni attuali diventa distocico. Il rischio di morte materna è più alto nel parto supino e medicalizzato che nell’epidurale e questo ancora a causa delle Kristeller, associate a uterotonici. Le complicanze a breve, medio e lungo termine per la donna nel parto supino, medicalizzato sono numerose e in parte anche gravi. Nomino qui ad esempio la sindrome post-traumatica da stress del parto, che solo ultimamente ha attirato l’attenzione degli studiosi, la depressione post partum che è talmente frequente che viene definita “fisiologica”. Secondo Glazener (1995) ancora il 76% delle donne soffre di disturbi legati al parto a un anno e mezzo dopo.

La gratificazione è assente, mentre nell’epidurale è almeno parziale. Gli anestesisti hanno visto bene: nella medicalizzazione del parto l’epidurale salva dal distress e migliora le condizioni fetali. E quindi ancora una volta, evviva l’epidurale! Almeno ci porta fuori da questa violenza, anestetizza i soprusi, distanzia il trauma, addormenta le percezioni, il sentire, confonde le tracce. E l’empowerment? La salutogenesi? La salute primale? Dove sono rimasti? Non c’è altra via? Non c’è scelta?

Le alternative

Visto che sia l’epidurale che il parto supino indeboliscono la salute e la forza di donna e bambino, una terza via dovrebbe aprirsi. La scelta tra un parto violento e l’epidurale non è una scelta vera. Se mi devo strappare un dente e devo scegliere se farlo con o senza analgesia, la risposta e scontata. Il trauma, le complicanze saranno minori (forse). Tutt’altra cosa è partorire un bambino. La vera scelta, l’alternativa possibile sia al parto immobilizzato e medicalizzato, sia all’epidurale per tutte c’è, le ostetriche la conoscono: si chiama parto fisiologico, attivo, salutogenico, analgesia naturale, sostegno, assistenza one to one in travaglio.

Si chiama ambiente tranquillo, donna attiva, movimento costante, rilassamento. Si chiama cura e nutrimento. Si chiama coccole. Si chiama accoglimento del bambino, gratificazione, forza, empowerment. Si chiama educazione alla nascita e preparazione alla gestione del dolore. Si chiama continuità dell’assistenza. Si chiama ostetrica, la professionista per la fisiologia. È un’alternativa sicura, efficace, qualificante, gratificante. Lo dicono non solo le donne, ma anche le evidenze scientifiche. E con la continuità dell’assistenza la richiesta di analgesia farmacologica scende drasticamente.

Perché allora non aprire anche questa possibilità? Perché non investire nell’ostetrica, oltre che nell’epidurale? Perché non assumere più ostetriche anziché più anestesisti? Impossibile? Troppo impegnativo? Troppo costoso? Il problema è un altro: per realizzare questo tipo di assistenza, occorre cambiare radicalmente le condizioni di lavoro delle ostetriche stesse, intaccare i sistemi convenzionali. I turni non permettono una sufficiente continuità. Occorre ripensarle, uscire dagli schemi, superare le vecchie dinamiche di potere, cercare soluzioni innovative. Dal punto di vista politico è molto più semplice, dare l’epidurale a tutte.

Quello che c’è in gioco

Per le donne è in gioco la potenza generativa, per i bambini la salute primale e l’attaccamento sicuro, per gli uomini il passaggio a padre e il rapporto di coppia, per le ostetriche la propria professione. Mentre l’attuale ministro della Salute auspica il 30% di epidurali per tutte le donne in Italia, il governo inglese ha fatto una scelta diversa: vuole il 75% delle donne assistite da un’ ostetrica. Inghilterra, Olanda, Canada, Nuova Zelanda hanno dato l’esempio su come fare. Le ostetriche sono assunte dalla Regione o dal Servizio Sanitario Nazionale e operano in piccoli team, prendendosi cura di un gruppo di donne che seguono con continuità dal concepimento fino alle esogestazione e che assistono al parto nel luogo scelto dalla donna. Altri paesi hanno introdotto i reparti di fisiologia negli ospedali, gestiti solo dalle ostetriche.

Per fortuna, nonostante la totale mancanza di promozione sociale e politica, in tutto il mondo ci sono infinite piccole e grandi esperienze dove alcune ostetriche, insieme ad alcune donne riescono a mantenere integra la nascita e a vivere la gratificazione di un parto attraversato con le proprie forze. Insieme tengono viva la fiamma del saper partorire, in attesa di un nuovo appuntamento fra qualche anno o decennio, dove il fuoco dell’esperienza della nascita potrà di nuovo accendersi e illuminarne la scena.

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