La quarta di copertina del suo La società digitale dice che Giuseppe Granieri è uno dei maggiori esperti italiani di comunicazione e culture digitali. Per rispetto a chi legge devo aggiungere che è un amico, motivo quasi di imbarazzo nel momento in cui decido di intervistarlo. Tuttavia alcune sue riflessioni recenti mi pare richiedano un approfondimento che ancora sfugge. Granieri è stato tra i primi a comprendere, approfondire e divulgare il cambiamento – tecnologico, espressivo, sociale – imposto da blog e social network. Ma proprio nel momento in cui il mondo se ne sta rendendo conto su ampia scala e comincia a confrontarcisi, ovvero nel momento in cui più ci sarebbe bisogno di guide preparate e di visione d’insieme non influenzata dagli entusiasmi della moda del momento, lui è già oltre, impegnato dentro Second Life, dove ora sperimenta – con unAcademy e Kublai, soprattutto – le sue nuove intuizioni in tre dimensioni (nell’immagine in alto, il suo avatar). Della vecchia guardia di entusiasti che tra il 2002 e il 2004 alimentò in Italia il boom dei blog, Granieri è uno dei pochi ad aver maturato un entusiasmo duraturo per i mondi metaforici. Lui se ne stupisce un po’, e proprio da qui vorrei partire.
Giuseppe, ti rigiro una domanda aperta che giorni fa hai posto sul tuo blog. Perché molti blogger, che pure nel 2003 avevano intuito il cambiamento verso i social media, ora continuano a parlare di blog e social network come se fossero la novità del momento? La domanda implicita che io leggo tra le righe è: perché così poche persone, nella tua rete sociale storica, hanno compreso le potenzialità di Second Life?
Il vero punto non è Second Life in sé, né la tecnologia. Usiamo Second Life come semplificazione analitica, per indicare diversi strumenti e situazioni che portano verso il concetto di mondi metaforici. Nel 2002-2003 tutti cercavamo di far superare la riduzione del concetto di blog al semplice strumento e oggi sta succedendo la stessa cosa con tutte le piattaforme “second life-like” e con il concetto di mondi metaforici. Quello che sta accadendo è che si sta inaugurando un nuovo modo di stare in rete e di usare i network, persino un nuovo modo di fare rete e di fare usando la rete. Blog e social network sono ormai da anni un dominio del rinnovamento, non più dell’innovazione. Sono concetti acquisiti (nemmeno i mass media spiegano più le parole, e questo significa che sono strumenti dati per socialmente comprensibili anche da un pubblico generalista). Certo, non tutti sono ancora connessi né tutti hanno ancora un blog o fanno un utilizzo avanzato del web. Ma questo va considerato nei tempi sociali. Anzi, da questo punto di vista, le cose stanno andando persino più velocemente di quanto supponessimo nel 2004.
La mia domanda, tra l’altro scherzosa, partiva da una riflessione sulle generazioni di innovatori e divulgatori della Rete. Nella storia recente abbiamo visto crescere degli esperti che hanno lavorato ai portali e hanno imparato a costruirli e raccontarli. Ma poi non hanno capito la rete sociale e sono rimasti al palo facendosi definire dinosauri dai portabandiera del social web. Con molti early adopter del web sociale sta succedendo la stessa cosa: hanno imparato a riconoscere e usare la rete sociale ma sembrano far finta di non vedere che stiamo andando avanti, che il web sociale serve per certe cose ma non per altre e che altre vocazioni di rete stanno nascendo. Per dirla col sorriso, se l’innovazione corre in fretta tutti diventeremo velocemente dinosauri per qualcuno.
È fisiologico, suppongo, che vi siano ricambi generazionali rapidi in un sistema che cresce così velocemente. Tuttavia sappiamo bene che alla fine le novità immature della rete hanno sempre necessità di molte intelligenze per crescere, per inventare utilizzi sociali delle applicazioni, e così via. Quindi è un peccato che molte intelligenze conosciute della rete italiana non se ne interessino ancora, non sperimentino, non provino a capire e costruire spazi superando i pregiudizi iniziali. Ma è anche vero che una nuova generazione di esperti e divulgatori sta già nascendo e costruendo nuovi ambiti e frontiere.
Dovessi sintetizzare le mie difficoltà ad abbracciare questo nuovo modo di stare in Rete, isolerei due tendenze. Da una parte l’aumento di scala delle reti sociali: proprio perché il punto non è la tecnologia, ma sono le persone, mi pare che appena oggi cominciamo a veder girare questi aggeggi a un livello socialmente interessante. Quello che prima era teoria, ora sta diventando pratica. A me affascina molto questa fase e sono ancora motivato a viverla. Dall’altra parte, se blog e social network si adattavano particolarmente bene alle presenze asincrone di tante persone, i mondi metaforici tornano, come un tempo le chat, a richiedere compresenza, interazione in tempo reale, condivisione di tempi e spazi. Questo non toglie nulla alle cose nuove che si possono fare negli ambienti alla Second Life, ma forse riduce in origine le opportunità. Per lo meno per chiunque non abbia piena disponibilità del proprio tempo. Non credi?
Io credo che sia un finto problema. La disponibilità in rete è solo disponibilità di vocazioni degli strumenti e di occasioni. Per un utente semplice è tutto come sempre, usa (e impara a usare) qualcosa quando gli serve, quando è funzionale ai suoi interessi. Ma per chi lavora sull’innovazione e sulla divulgazione si tratta di qualcosa che non si può ignorare, né sottovalutare.
Io insito sul deficit di divulgazione. Chi già vive appieno le opportunità di Second Life finisce per tenere dentro questo ambiente le sue intuizioni e condivisioni e far uscire soltanto echi o conseguenze. Mentre, per dire, nel 2002 o 2003 il web era invaso di racconti e spiegazioni sul funzionamento e sulle implicazioni dei blog. Le tue blog-faq, domande frequenti per nuovi arrivati, hanno accompagnato molte persone verso i software sociali. Oggi per farti entusiasmare riguardo Second Life di fatto devi entrare in Second Life, un passo non scontato se non si è già motivati.
Ti ho risposto alla prima domanda, se ci fai caso.
Solo marginalmente, io volevo entrare nello specifico. Continuo a pensare che i due mondi non si stiano parlando. Per inerzia dell’uno, ma anche per mancanza di un racconto condiviso di quelle esperienze al di fuori del mondo metaforico. Nascono nuove generazioni di divulgatori, d’accordo. Ma sono noti, visibili e spesso comprensibili soprattutto per chi nel mondo metaforico c’è già. Nulla che mi ricordi per spirito ed efficacia le blog-faq, al momento. Magari mi sbaglio.
La tua impressione su blog e social network dipendeva dal fatto che oggetto e strumento coincidevano, quindi era più facile averne una percezione globale. In Second Life, invece, le cose accadono e fuori c’è il racconto, per le diverse vocazioni dello strumento. Poi c’è il fatto che nella riflessione su Second Life stiamo ancora cercando convergenze lessicali e argomenti, e comprensione e consapevolezza. È uno scarto cognitivo molto più forte rispetto a quello dei blog. Quindi molto più difficile da affrontare. E non ti basta solo leggerne, quanto mai sono tecnologie dell’esperienza.
Tecnologie dell’esperienza mi sembra una definizione azzeccata. Tu dici spesso che i mondi metaforici di oggi stanno al web del 1996, immaturo ma promettente. Rispetto allo spazio sociale aperto dai social software mi è abbastanza chiara l’evoluzione che stanno prendendo le relazioni tra le persone, meno quella che riguarda dei contenuti. Oggi Second Life è soprattutto compresenza di persone, costruzione di ambienti, condivisione di oggetti. Credi che prima o poi recupereremo in questo contesto anche il patrimonio di storie, immagini, documenti (“autobiografie intellettuali”, per citarti) che oggi rendono ricco il web? O sono due modalità di stare in Rete destinate a evoluzioni in qualche modo indipendenti tra loro?
Io credo che i mondi metaforici finiranno per dragare parte dei compiti relazionali che delegavamo al web, quando avevamo solo il web. Già oggi chi usa Second Life tende a ridimensionare il web a contenuto e a contenitore di profili, per capire chi è chi e collegare le identità. Questo perché, anche sul piano relazionale, l’esperienza dei mondi metaforici è più ricca, più viva, più immersiva. Quanto alle vocazioni, il web evidentemente ha una vocazione di contenuto, di dialogo asincrono. Mentre invece i mondi metaforici, che ancora non sappiamo usare bene come nel ’96 non conoscevamo la grammatica del web, hanno nuove dimensioni, come quelle del fare insieme o dell’esperienza dei contenuti (visiva, creativa, performativa, didattica ecc.). Una cosa importante da considerare è che entrare dentro Second Life oltre alle difficoltà di comprensione tecnica, si richiede la necessità di affrontare anche una curva di apprendimento importante sul piano culturale, poiché contiene al suo interno diversi linguaggi espressivi e la complessità di un intero sistema sociale. E se, come pare sia previsto, in piattaforme come Second Life verrà totalmente integrato il web bisognerà ridefinire ancora una volta ambiti e vocazioni. Già oggi circola una battuta: «quando sono su un sito web mi sento limitato, perché non posso girarci intorno con la cam». Ma è presto ancora per capire come si disegneranno gli equilibri.
So che non ha senso ragionare per nazioni, dentro gli spazi digitali. Però nella mia ultima trasferta negli Stati Uniti non ho registrato segnali di entusiasmo verso gli spazi metaforici. Magari l’ambiente non era rappresentativo della totalità degli early adopter locali, ma ti chiedo: c’è effettivamente una via latina o europea nella corsa alla maturità dei sistemi alla Second Life? E a prescindere da ciò: ritieni che questi nuovi ambienti di interazione/esperienza stiano favorendo il confronto tra culture e continenti al di là delle difficoltà – di lingua, di hub efficaci – che sperimentiamo nel web sociale?
Non credo alla via latina. Piuttosto, la mia esperienza personale mi dice che noi europei siamo molto meno degli americani, mentre la sensazione è che ci siano abbastanza asiatici. Ritengo poi che siano strumenti che si comportano in maniera neutra rispetto alle culture, mentre la capacità di comprendere un minimo l’inglese (o almeno il worldish) è una condizione base per usarli e procedere nella curva di apprendimento.
Dicevi che le cose procedono più rapidamente di quanto ci aspettassimo: ti sfiora mai il dubbio che stiamo correndo un po’ troppo in fretta?
Si, credo si possa dire che il mondo digitale corra troppo in fretta. Ma dipende soprattutto da una considerazione fondante nei network: l’innovazione può essere introdotta da qualsiasi nodo. Dubito che si tornerà mai indietro e piuttosto credo che si continuerà ad accelerare. E saremo tutti costretti sempre più a non smettere mai di imparare.