Sul caso Apple-Samsung ha detto molto bene Mantellini:
Esiste uno spazio intellettuale fra ispirazione e plagio che non può e non dovrebbe essere raggiunto in maniera troppo precisa dalla norma, pena l’applicazione di un freno culturale allo sviluppo della società.
Ci sono interfacce – strutture tecnologiche – che si impongono e si diffondono per necessità, e a un certo punto diventano infrastrutture.
Bruno Munari scriveva che il design cerca:
Di dare ad ogni cosa la sua logica struttura, la sua logica materia e di conseguenza la sua logica forma.
Cinque anni di lavoro hanno indubbiamente consentito ad Apple di progettare un prodotto in grado di definire uno standard – una logica forma – il cui design – come già fatto notare – viene percepito come ovvio:
When the iPhone debuted, it was widely criticized for having no buttons/keys. Now people think the iPhone’s design is “obvious.”
— Dan Frakes (@DanFrakes) August 25, 2012
È la logica forma di un prodotto a cui non saremmo in grado di rinunciare, perché è diventato un modo di esistere e di stare al mondo. Una consuetudine, una prassi condivisa da una comunità.
Lo stesso è successo con la nascita della graphical user interface,
ideata in gran parte nel centro di ricerca Xerox PARC e adottata – come stato dell’arte, scelta obbligata, ovvia – da tutti, Apple inclusa.
La sensazione – che si fa più forte dopo aver seguito durante l’estate il
caso App.net (qui il blog del CEO di App.net Dalton Caldwell, da leggere almeno gli ultimi quattro post) e la reazione della comunità di sviluppatori alle restrizioni d’uso decise da Twitter per la sua API – è che, piuttosto semplicemente, quelle che sono state introdotte come feature da parte di servizi gestiti da compagnie private siano percepite dagli utenti – e non solo – come commodity, funzionalità ovvie che il web deve necessariamente avere per poter continuare a svolgere degnamente le sue funzioni, per assumere la sua logica forma.
Se Twitter e Facebook (e gli altri, via via) tendono a limitare la permeabilità dei loro ecosistemi per rispondere alle esigenze di investitori e azionisti, quello di cui noi come utenti abbiamo davvero bisogno è di uno standard. Meglio ancora, di un protocollo, un insieme di tecnologie neutre, che rendano possibile assolvere determinate funzioni (come, ad esempio, scambiarsi messaggi di posta) a prescindere dalla compagnia che le sta implementando:
On the other hand, you might ask yourself what’s email’s business model and how do the folks behind it ever expect to make money? The answer is that there isn’t one and they don’t. Email isn’t a business. It’s a protocol.
Forse è giunto il momento per qualcuno di iniziare seriamente a pensarci.