Al di là della retorica degli annunci, che cosa ha partorito il 10 novembre il tavolo Romani, riguardo alla ormai già leggendaria “società veicolo” per l’Ngn italiana? Ben poca cosa, rispetto alle premesse. Per cominciare l’opera di disillusione, vi propongo un esperimento. Una ricerca su Google. Come parole chiave, il succo della novità: un accordo di (futura, beninteso) condivisione delle infrastrutture passive, cioè scavi, cavidotti con eventuale fibra spenta, canaline verticali nei palazzi. Roba molto tecnica, come vedete. Ebbene, il risultato della ricerca dà indifferentemente notizie sull’accordo recente e di due mesi fa. Com’è possibile? Semplice: l’ultimo annuncio è in fondo solo una formalizzazione in bella copia di un accordo già raggiunto a settembre, piuttosto pacifico perché appunto piuttosto tecnico.
Realismo
Le parole di Corrado Calabrò, presidente Agcom, sono rivelatrici: «Mettere insieme gli operatori ci incoraggia ad andare avanti e spero ora che le aziende non perdano il passo nei successivi passaggi, perché oggi è stato trovato l’accordo sul punto più facile, ma i nodi devono ancora venire nei prossimi impegni». «Non basta sottoscrivere accordi, ma bisogna poi condividerli compiutamente», aggiunge. Suona un po’ pessimista o per meglio dire realista: il punto più facile è assodato, ma si sapeva già da tempo; adesso affrontiamo i veri nodi. E i veri nodi sono ancora là, ben attorcigliati: la questione economica, chi investirà dove, la governance della società. La situazione forse è, paradossalmente, più complessa alla luce di quest’annuncio.
Già, sembra un paradosso se si pensa che questo è il primo accordo formale tra gli operatori telefonici (tanti: Telecom Italia, Wind, Fastweb, Vodafone, BT Italia, Tiscali, 3 Italia) per partecipare a una nuova rete. Tuttavia, non è l’annuncio della nascita di una società, ma solo un memorandum of understanding, un protocollo d’intesa per farne una. «Quando si è pronti per fare una società la si fa. Si firmano i contratti. Non si fa un memorandum of understanding», commenta Stefano Quintarelli, tra i massimi esperti del settore. In altre parole, la situazione si rivela più complessa della vigilia perché se gli operatori fanno un annuncio in questa forma preliminare e tecnica significa che in mano non avevano carte migliori nel breve periodo. Altrimenti avrebbero aspettato per annunciare la società fatta e compiuta. Ma forse ha pesato anche il calcolo politico di comunicare un risultato del Tavolo Romani prima di una possibile caduta di governo.
Addio società completa
Non solo. L’annuncio ci dice altre due cose, in negativo. Tramonta il sogno di una società della rete completa, comune tra gli operatori negli elementi tecnici attivi e passivi, e diffusa sul territorio. Ha prevalso la posizione di Telecom, che ha sempre detto di voler fare accordi solo nelle zone a fallimento di mercato. Del resto era una conclusione inevitabile. L’ex monopolista ha il coltello, cioè la rete telefonica nazionale, dalla parte del manico e l’Italia non ha né le norme né la forza economica per espropriarla. Chi ha la rete detta legge. Così è avvenuto.
La società futura, quindi, se mai vedrà la luce, interverrà solo nelle zone dove gli operatori non vogliono andare (perché poco remunerativo) e avrà una governance da definire con un altro (ennesimo) tavolo tecnico di 90 giorni. Difficile immaginare qualcosa di più nebuloso. Significa dire che non si sanno gli aspetti fondamentali. Chi guiderà gli investimenti, dove saranno fatti. Non si è fatto un solo passo avanti su questi temi e non ci sono elementi per dire che finalmente gli eterni litiganti si metteranno d’accordo. «A me sembra un annuncio di basso profilo. L’Ngn del digital divide. Un po’ come mettere l’Adsl nei posti sfortunati», dice Franco Morganti, presidente di ITMedia Consulting e una figura storica delle tlc italiane. «No, io insisto: all’Italia serve una società della rete vera e propria».
Telecom rallenta
Il problema è che non ci sarà, dal momento che Telecom non vuole e la politica non ha strumenti né la forza di farle cambiare idea. Si dirà: in nessun Paese europeo, nemmeno nella Francia dove l’Ngn va con il vento in poppa, c’è stata una società della rete nazionale. Le sole sinergie trovate, lì e in altri Paesi, è con le pubbliche amministrazioni locali. Un po’ come avverrà forse con il progetto della Regione Lombardia. Il punto però che in Italia questo non basta, per via del pesante debito di Telecom, che ne rallenta i piani, e per l’assenza della concorrenza di una rete in cavo coassiale. La società della rete sarebbe servita per uscire dall’impasse che ci sta facendo perdere posizioni nella banda larga a 100 Megabit.
Si apre un punto di domanda adesso anche sul futuro di Fibra per l’Italia – l’accordo di una società della rete comune tra Tiscali, Wind, Fastweb, Vodafone. In quel piano era caldeggiato fin dall’inizio, e a gran voce, l’ingresso di Telecom Italia. Senza la quale il progetto potrebbe non avere senso. Ebbene, Telecom non ci sarà. Mettendo in fila tutti questi indizi, bisogna riconoscere che è ancora grosso un rischio: che l’Italia si ritrovi solo con l’Ngn di Telecom Italia (a parte le storiche sette città di Fastweb), con i suoi tempi e modi. Pochino per gareggiare, alla pari con gli altri, nello scenario futuro delle reti ultra veloci.