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Nella guerra tra Netscape e Microsoft vincerà il W3C?

30 Marzo 1998

Nella guerra tra Netscape e Microsoft vincerà il W3C?

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Da chi è gestito il W3C e come funziona? E perché il buon vecchio HTML non basta più? E ancora: come mai l'approvazione dei nuovi standard diventa spesso oggetto di scontro tra Microsoft e Netscape?

Da un anno a questa parte si leggono sempre più di frequente notizie di nuovi standard proposti e approvati da un organismo chiamato W3C. Tra gli standard, oltre all’HTML, ci sono sigle ancora poco conosciute, quali SMIL, RDF, HDML, DOM, insieme ad altri acronimi che sono diventati famosi all’improvviso, come CSS, PICS e XML, anche se non sempre è facile capire esattamente di cosa si tratta.
Ma da chi è gestito il W3C e come funziona? E perché il buon vecchio HTML non basta più? E ancora: come mai l’approvazione dei nuovi standard diventa spesso oggetto di scontro tra Microsoft e Netscape?

Per capire tutto questo, occorre, seppure rapidamente, fare un passo indietro nel tempo, in quella che per molti è ormai la preistoria di Internet.

Gli standard per lo sviluppo di Internet fino a tre anni fa erano decisi quasi esclusivamente da IETF (Internet Engineering Task Force), uno dei primi organismi fondati con il preciso scopo di seguire e regolamentare l’evoluzione delle tecnologie di rete. Nato nell’86 negli Stati Uniti, IEFT si è progressivamente allargato, diventando un forum internazionale dove ricercatori e progettisti provenienti sia da settori pubblici sia da aziende private discutono e decidono l’architettura di Internet. IETF, tuttora attivo, è affiancato da altri organismi quali IESG (Internet Engineering Steering Group), IRTF (Internet Research Task Force), IAB (Internet Architecture Board) e Internet Society (ISOC); le versioni ufficiali di HTML venivano invece definite dal CERN di Ginevra, il luogo di nascita del Web.

Negli ultimi anni, la progressiva diminuzione del peso delle strutture accademiche in rete, le cui iniziative sono state in gran parte sostituite da investimenti privati, ha messo in difficoltà queste organizzazioni, nate nel mondo della ricerca pubblica, che si sono spesso rivelate poco efficaci nell’intervenire di fronte a chi, come Netscape e Microsoft, vorrebbe imporre in rete delle architetture proprietarie. La struttura stessa di questi organismi, d’altra parte, con gruppi di lavoro aperti a tutti e dove tutti hanno pari importanza, non è adatta alla faticosa costruzione di mediazioni tra operatori economici sempre più aggressivi e veloci: in IETF, dove hanno un peso solo le competenze tecniche di ciascuno, una decisione viene adottata soltanto quando diviene quasi unanime. Il “credo”di IETF recita infatti: “We reject kings, presidents, and voting. We believe in rough consensus and running code”.

E ritorniamo alla storia più recente: l’HTML, l’attuale cardine del Web, tra extension e funzioni proprietarie, prima solo di Netscape e in seguito anche di Microsoft, ha rischiato di perdere la propria connotazione di standard universale, facendo venir meno persino il principio più importante di Internet: il concetto di interoperabilità, cioè di indipendenza del software e dei servizi di rete dalla piattaforma utilizzata. Le pagine Web visibili correttamente con Netscape, infatti, non erano interpretate correttamente da Explorer, e viceversa, con grande fastidio degli utenti e con un notevole aumento del lavoro dei Webmaster, costretti a continui aggiornamenti del codice HTML delle loro pagine.

In questo scenario, Il CERN di Ginevra, che da tempo aveva dichiarato di voler trasferire ad altri il compito di seguire il progetto World Wide Web, ha costituito nel ’94 un consorzio, il W3 Consortium http://www.w3.org, insieme al Laboratory for Computer Science del MIT di Boston e all’INRIA (Institut Nationale de Recherche en Informatique et en Automatique) francese. Al consorzio, sostenuto anche da DARPA, l’agenzia di ricerca del dipartimento della difesa statunitense, e dalla Commissione Europea, hanno presto aderito Apple, IBM, Digital, Oracle, Microsoft, Netscape, Spyglass, Sun, Adobe, Compuserve, America Online, STET, France Telecom, Deutsche Telekom, At&T, e molti altri.

La struttura di W3C, il cui direttore è Tim Berners-Lee, il ricercatore del CERN che ha inventato il WWW, è molto diversa da quella dei tradizionali gruppi di lavoro in rete, e costituisce un modello molto contestato ma molto efficiente.

L’associazione al consorzio è aperta a qualsiasi organizzazione, ente governativo o azienda privata, e costa 50.000 dollari all’anno; soltanto per le organizzazioni non profit la quota di associazione viene ridotta a 5.000 dollari. In entrambi i casi è necessario anticipare i primi tre anni di associazione. Dal W3C, quindi, sono esclusi i singoli e il diritto di voto è appannaggio solo di chi in Internet ha dei capitali da investire; i lavori dei gruppi di W3C, inoltre, non sono pubblici.

In compenso, l’iter di una proposta da bozza a standard approvato è abbastanza rapido: in questo modo il consorzio riesce a inseguire la rapidissima evoluzione del Web, proponendo i propri standard come alternativa allo sviluppo un po’ selvaggio e proprietario proposto dalle corporation in lotta fra loro.

L’evoluzione del mercato dei browser ha spinto l’affermazione di questo modello operativo. L’ascesa di Internet Explorer fino ad occupare il 40% del totale dei browser usati ha di fatto privato Netscape Navigator del ruolo di unico interprete dell’HTML, mettendo in difficoltà la politica delle extension e rilanciando il ruolo del consorzio.

Le principali battaglie della guerra per il controllo delle tecnologie WWW, quindi, si svolgono oggi a porte chiuse, all’interno dei gruppi W3C. Microsoft, che ha intuito molto presto quale importanza poteva avere il consorzio, ha iniziato a proporre soluzioni che, almeno apparentemente, sono più aderenti alla filosofia W3C di quelle elaborate da Netscape.

Il progressivo successo del consorzio è stato confermato dall’ingresso tra i promotori del W3C, nel ’96, della Keio University, rappresentante degli interessi giapponesi e coreani.

La storia recente di HTML e dell’evoluzione della tecnologia push o delle funzioni dinamiche del Web rispecchiano questa nuova situazione. Infatti, se fino a poco tempo fa le extension implementate da Netscape Navigator dettavano legge o quasi e il consorzio si limitava ad inseguirle tardivamente con i suoi standard, oggi è Netscape che corre spesso il rischio di dover rinunciare a buona parte delle novità introdotte nelle ultime versioni del suo browser per adattarsi agli standard tempestivamente approvati dal consorzio. In questo gioco di inseguimento non manca chi accusa il consorzio di essere troppo accondiscendente con le richieste dell’industria e di spingere il Web verso il terreno tutto commerciale dei fuochi di artificio e delle lucine colorate, ma i risultati raggiunti finora danno ragione al W3C.

L’evoluzione selvaggia di HTML è terminata, o almeno ha subito una battuta d’arresto, quando Microsoft, Netscape e gli altri grossi produttori di software per Internet hanno approvato, all’interno del W3C, lo standard HTML 3.2, il vecchio Wilbur, nel gennaio del ’97. Solo sei mesi dopo, a luglio, il W3C ha annunciato la prima bozza di HTML 4.0: Cougar, che renderà il Web più interessante e soprattutto più interattivo, accessibile e internazionale. Con HTML 4.0, che oggi è già stato definitivamente approvato, i Web saranno più potenti e interattivi, senza doversi piegare alla schiavitù delle estensioni proprietarie. La rapidità del W3C non è casuale: la versione 4.0 incorpora alcune funzioni “dinamiche”, imponendo un chiarissimo segnale di stop alla nuova lotta tra Microsoft e Netscape sul Dynamic HTML, iniziata con le versioni 4 dei rispettivi browser.

Microsoft, però, continua a muoversi su due fronti, e se da un lato dimostra di avere accettato completamente e più di Netscape la policy di collaborazione e di universalità degli standard di W3C, allo stesso tempo ha cercato di incorporare il suo browser nel nuovo Windows 98, per obbligare tutti i nuovi acquirenti di un PC IBM compatibile a navigare in rete solo con il suo prodotto. L’operazione, contestata dagli organismi federali statunitensi, è ancora in forse, ma Netscape ne ha subito approfittato per riappropriarsi del suo vecchio ruolo di paladino della libertà in rete, dichiarando che il suo browser non solo continuerà a essere pubblico e gratuito, ma avrà un codice sorgente disponibile per tutti, come nella migliore tradizione dei software non profit quali Linux o GNU.

Prevedere oggi i risultati di questa mossa di Netscape è impossibile. Quanti sono ancora disposti a credere che Netscape, se non ci fosse Microsoft, sarebbe ancora intenzionata a procedere non a colpi di extension proprietarie ma seguendo degli standard comuni? E quale interesse può avere per gli utenti la disponibilità del sorgente in assenza di un progetto complessivo, di sviluppo “aperto”, del browser di Netscape?

In attesa di capire quale maschera sceglieranno di indossare Microsoft e Netscape per la conquista dei browser degli utenti, è bene sottolineare che per il momento l’unica autorità affidabile in materia di funzioni Web è il W3C.

All’interno del consorzio, quindi, le battaglie continuano. Le questioni relative all’HTML “dinamico”- termine volutamente ignorato dal W3C, che lo dichiara inesistente – non sono ancora state risolte del tutto, ed è ormai chiaro che il buon vecchio HTML da solo non basta più a soddisfare le esigenze sempre crescenti dei disegnatori di pagine e di applicazioni Web, neppure nella versione ricca ed elaborata del 4.0. Agli eterni duellanti, inoltre, conviene aprire sempre nuovi terreni di scontro. Programmazione a oggetti, strutturazione dei testi, multimedialità, tecnologie push e tag meta: su questo la battaglia è ancora indefinita. Ma ne parleremo la prossima volta.

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