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Nasce NeMeSi, la lista di discussione per chi comunica

22 Ottobre 1998

Nasce NeMeSi, la lista di discussione per chi comunica

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La lista intende occuparsi dei rapporti tra i media vecchi e nuovi, tra i giornali, la televisione e Internet, ma non solo.

C’è una nuova lista di discussione. Si chiama NeMeSI – New Media e Sistema dell’Informazione. Ci si può iscrivere dal Web, facendo rotta su http://nemesi.listbot.com/. Oppure si può chiedere all’owner (autore di questa nota), la cui mailbox personale è [email protected]. Come il suo nome annuncia, la lista intende occuparsi dei rapporti tra i media vecchi e nuovi. Tra i giornali, la televisione e Internet, ma non solo.

La lista nasce da una constatazione semplice, e da una domanda altrettanto elementare.

La constatazione: che cosa capiterebbe a un giornalista sportivo che ripetutamente scrivesse che Pantani è l’allenatore della nazionale di calcio, oppure a un notista politico che sostenesse che Luciano Violante è il Presidente della Repubblica, a un cronista che sistematicamente inventasse interviste con presunti funzionari di polizia? Prima o poi, certamente, incorrerebbe in qualche guaio, con il suo direttore o addirittura con il non abolito Ordine professionale. Sicuramente riceverebbe molte lettere di protesta dai suoi lettori.

La domanda: perché i giornalisti italiani possono scrivere a proposito di Internet cose non meno gravemente inesatte di quelle su riportate e non capita niente?

Vittorio Zambardino, una volta, ha scritto che i frequentatori della Rete soffrono di “autoreferenzialità”. Forse non aveva tutti i torti: se gli errori e gli orrori pubblicati dai giornali fossero sistematicamente oggetto di lettere di protesta ai direttori e non solo di messaggi fatti circolare nelle liste forse le cose potrebbero cambiare. Forse.

Che cosa si intende per errori ed orrori? La galleria degli esempi sarebbe infinita. Tutti ricordiamo titoli a piena pagina come questi: “Trova il suo assassino su Internet”. “Internet, il salotto degli insulti”. “Internet, un covo di pedofili”, “Scappa di casa: la fuga via Internet”. Se poi si passa a leggere i testi (che non sempre corrispondono ai titoli) si trovano amenità ancora migliori. C’è chi ha calcolato (ma come, con quali criteri?) che un sito su tre ha contenuti pornografici.
Chi ha intervistato funzionari di polizia che sostengono che i pornografi si sono infiltrati anche in Intranet. Che cos’è Intranet, domanda il cronista? “Una sorta di Internet per specialisti, alla quale hanno accesso soltanto particolari categorie di professionisti”. Un servizio pieno di farneticanti dettagli tecnici, nel quale naturalmente manca il nome del funzionario di polizia intervistato “che preferisce mantenere l’anonimato”. Anche “l’asettico” televideo Rai ha spiegato che le annoiate fanciulle degli harem mediorientali ammazzano il tempo grazie a Internet. Come? “Intrattenendo rapporti virtuali con i maschi di tutto il mondo”. Si potrebbero fare ancora tanti esempi, ma sono ogni giorno sotto gli occhi di tutti.

Nemesi si propone obiettivi ambiziosi: ha invitato, e in molti casi l’appello è stato raccolto, anche dirigenti del Sindacato e dell’Ordine dei giornalisti italiani. I quali sono li, per il momento, dal loro punto di vista, in veste di osservatori. In gergo internettiano li si chiamerebbe lurker, ma non importa: è un buon inizio, l’importante è dar vita a qualcosa che Vittorio Zambardino non possa più, a ragione, definire autoreferenziale.
Nemesi vorrebbe anche essere una sorta di osservatorio in grado di produrre nel corso del tempo documentazioni e analisi di cui gli Enti che rappresentano i giornalisti italiani, i direttori dei giornali, i singoli cronisti chiamati a scrivere o a far titoli su cose che riguardano la Rete non possano non tenere conto. Certo è un obiettivo difficile, che richiederà tempo e pazienza. Ma è un obiettivo possibile.

Un tempo i giornali italiani pubblicavano senza esitazione nome, cognome, indirizzo e fotografia di minori violentati. Poi qualcuno ha cominciato a vergognarsi. Con tempo, pazienza e il determinante contributo degli “utenti”, dei lettori singoli e associati, è nata La Carta di Treviso, una sorta di codice deontologico che impone, pena sanzioni da parte dell’Ordine, il rispetto dei minori e dei soggetti deboli. Su Nemesi sono già presenti molti giornalisti italiani che si vergognano di come i giornali sui quali scrivono parlano di Internet e dei New Media.
Una vergogna che è ben motivata: perché la cattiva informazione genera diffidenza, e la diffidenza ostacola il diffondersi di massa degli strumenti telematici. E questo, se vogliamo usare parole grosse, non è bene per lo sviluppo della democrazia.

Infine, perché chiamare NeMeSI una lista di discussione su NEw MEdia e Sistema dell’Informazione? Beh, il quasi-acronimo era lì, bastava vederlo, in trasparenza.
Così infatti il Devoto Oli definisce la Nemesi: “Personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e di equilibrio politico-sociale, e come tale divinizzata nell’antichità classica; modernamente intesa come fatale punitrice della tirannide e dell’egocentrismo attraverso le alterne vicende della storia (n. storica); comunemente: vendetta. Dal greco Némesis, nome della dea della giustizia, derivato di némo, distribuire”.
Quanti stimoli sui quali riflettere, e quanti concatenati spostamenti di senso: dal concetto di giustizia si passa a quello di “distribuzione”, ma distribuire si dice némo. Ancora un piccolo spostamento d’accento e ci si trova a Nemo, “nessuno”, che in fondo è, se vogliamo, il nickname usato da Ulisse per far fesso il grande mostro con un occhio solo.
Certo, chiamare NeMeSI una lista di discussione, fa appello al senso dell’ironia più che a quello della vendetta; ma è certamente vero che la disinformazione sistematica che i media tradizionali fanno su quelli “nuovi” sta già cominciando a ritorcersi contro loro stessi. La Nemesi, dunque, è già cominciata.

Il tradizionale Sistema dell’Informazione, quello italiano in particolare, è rigido, codificato, contraddittorio. È un gigante malato, un ciclope che guarda la realtà con un occhio solo. Le immagini che proietta sono piatte, è incapace di vedere e far vedere le cose nella loro prospettiva, nel loro divenire.

I New Media, invece, hanno molti occhi. Forse anche troppi occhi. Disegnano una realtà a molte dimensioni, dove lo spazio e il tempo, così come siamo abituati a percepirli, non bastano più.
I giornalisti che lavorano all’interno del tradizionale Sistema dell’Informazione hanno non poche colpe, e nello stesso tempo vedono minacciati molti loro privilegi. In buona fede o no, hanno posto in essere una delle più grandi campagne di disinformazione di tutta la storia del media.
Guardando le cose in una prospettiva italiana, forse si può anche individuare la data di inizio di questa campagna: era il 1988, Paolo Frajese apparve in tv e con il tono che si usa per le grandi catastrofi annunciò che “un nuovo virus sta distruggendo le memorie dei computer di tutto il mondo, e continua a lavorare anche quando i computer sono spenti”.

Da quel giorno molta cattiva informazione è passata in tv e nelle colonne dei giornali.
Esiste un complotto contro la diffusione di massa degli strumenti telematici? Io, sinceramente, non lo so. Ma forse vale anche in questo caso il ragionamento che concludeva la “Lettera a una professoressa” dei ragazzi di don Milani: a dire di sì, che il complotto c’è, si rischia di passare per visionari; ma sostenere che il complotto non c’è è come dire che tanti pezzi di metallo si sono messi insieme da soli a costituire un carro armato che, senza manovratore, fa la guerra da sé.

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