Si definisce mastro tecnologo, esperto delle problematiche della comunicazione, dell’innovazione, del networking. Che guarda pensando ad accordi e armonie. Lo intervistiamo alla vigilia del suo intervento all’evento di Trieste.
Un intervento sulla complessità, Bach… Douglas Hofstadter fece sensazione – e vinse un Pulitzer – negli anni settanta con il libro Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Da quali letture decisive, non tecniche, derivano il tuo intervento e le tue idee fondamentali in termini di informatica e sicurezza?
Direi L’arte della guerra di Sun-Tzu e Il Tao della fisica di Fritjof Capra ma anche letture sulla teoria del caos e sui nuovi modelli organizzativi, da La quinta disciplina di Peter Senge a Leadership and New Science di Margaret Wheatley, oltre che tutti i libri sull’apprendimento a partire da I bambini e il computer di Seymour Papert.
L’anno scorso eri accompagnato dal pianoforte, quest’anno dal violoncello (di Tullio Zorzet). Che cosa rappresenta la musica nelle tue presentazioni?
La musica è un linguaggio che mi permette di spostare l’attenzione di chi ascolta dal dettaglio all’insieme. Per i temi che affronto è importante cambiare “tipo” di ascolto, da quello semplicemente “attento” a quello più intensamente “emotivo” e lasciare che ciascuno colga dalla mia narrazione il suo proprio racconto.
Hai imparato a suonare da aspirante musicista oppure da informatico che coglie l’aspetto matematico della musica?
Ho imparato suonando a orecchio, come tutti i rocchettari della mia età e suonare è sempre stata la mia passione. Mi sono messo a studiare seriamente solo al termine della mia attività lavorativa e dalla comprensione delle strutture di legame, più che matematiche, della musica, le armonie che sottostanno all’intreccio dei suoni, traggo spunti continui per nuove riflessioni.
Rispetto alle altre branche dell’informatica, come mai la sicurezza? Trovi che il suo ruolo sia diventato più importante con i cambiamenti della tecnologia? Oppure finiremo per considerarla una commodity?
Perché la sicurezza è un bisogno primario, una condizione indispensabile per stabilire qualsiasi tipo di relazione: in un ambiente sicuro il bambino gioca, in un ambiente sicuro si sviluppa il commercio, senza sicurezza non c’è sviluppo in rete. È proprio dopo gli attacchi all’Estonia e alle riunioni all’Unione Europea dove si valutarono le implicazioni di quell’evento, che ci si è resi conto come la complessità del sistema fosse diventata qualcosa da cui non è possibile prescindere.
Complessità: come deve essere una buona interfaccia? Gestire la complessità, nasconderla, riformularla in termini semplici…
Le interfacce saranno sempre semplici come le poche note che abbiamo a disposizione ma il mondo retrostante sarà sempre straordinariamente complesso. Non si tratta di celare la complessità, o di evidenziarla, dobbiamo essere consapevoli della sua dimensione e della sua presenza come quando guardiamo un tramonto in montagna.
Il tuo prossimo grande progetto non informatico.
È già in corso: ridefinire il processo di produzione della musica in un vero e proprio ecosistema musicale. È il progetto Qui Base Luna a cui collaboro con la cooperativa degli artisti Doc Servizi.
Qual è l’idea che dovremmo avere tutti più presente nel momento in cui parliamo di rete e tecnologie e invece sottovalutiamo?
Che la tecnologia è parte della nostra vita, la può migliorare, ampliare o anche complicare e noi dobbiamo aumentare la nostra consapevolezza e non solo subirla. Come per la musica, possiamo ascoltarla, ma se proviamo a suonarla, la nostra comprensione si amplifica mille volte.