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L’usabilità è reazionaria?

29 Marzo 2001

L’usabilità è reazionaria?

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Prendo spunto da quanto dice Franco "Bifo" Berardi in un articolo pubblicato sul sito di Mediamente, rilanciato da Maurizio Boscarol nella lista weebies, per fare alcune considerazioni sull'usabilità delle interfacce web. Bifo sottopone a critica le opinioni di Jakob Nielsen ("Web Usability", Apogeo) e teme che con esse la rete possa diventare un supermercato in cui la bellezza e l'intelligenza siano vietate.

Dal valore d’uso si è passati al valore di scambio (Marx). Dal possesso all’accesso (Rifkin). Il possesso è scambio fra merce e denaro. L’accesso è un link fra utente e servizio; ed è un ambiente in cui l’utente gode di un servizio o di un’esperienza. Perciò dall’uso si è arrivati all’accesso.

Il possesso prevede un uso prolungato. Non serve molta usabilità perché c’è tempo per imparare a usare ciò che si possiede. L’accesso prevede un uso breve. Serve l’usabilità perché ho poco tempo per usare ciò a cui accedo e quel poco tempo lo pago (durata dell’accesso).

Quando si parla di Internet, di che cosa stiamo parlando? Della rete di reti (Internet)? Del Web (portali e siti)? Dell’interazione fra informazioni e persone (interfaccia grafica utente)? Dell’e-mail?
Tutte queste cose costituiscono media diversi, con linguaggi diversi e diverse “produzioni di significato”, come dice Bifo.

Che differenza c’è fra uso e usabilità? L’uso è attuale, è l’azione effettiva che esercito con uno strumento. L’usabilità è potenziale, è quello che potrei fare con uno strumento. L’uso non viene progettato, ma attuato di fronte a qualcosa di utile. Sono io che prendo un oggetto e lo adatto in modo che possa servirmi allo scopo (scheggio la pietra per farne un coltello).

L’oggetto-strumento è subordinato alla mia azione. Infatti posso usare un oggetto anche in modo improprio, perfino criminale (un coltello per battere un chiodo, avvitare una vite, uccidere una persona).

L’usabilità viene progettata per provocare o facilitare l’uso da parte di altri, le cui capacità non sono conosciute. L’usabilità deve facilitare l’uso ottimale. È qualcosa di complementare alla buona progettazione della parte funzionale dello strumento. Un coltello molto affilato funziona meglio, se ha un buon manico si usa meglio. La funzione prodotta (tagliare) dipende dalla lama e dal manico.

Con l’usabilità il produttore dello strumento cerca di avvicinare il più possibile l’uomo allo strumento stesso, tenendo conto delle sue caratteristiche percettive, manipolatorie, cognitive.

Che rapporto c’è fra l’usabilità e l’estetica? E fra usabilità e bellezza e intelligenza? Intanto non è detto che una cosa usabile sia per forza brutta o stupida. È piuttosto vero il contrario, come ha spiegato bene Bruno Munari già tanti anni fa (“Artista e designer”, “Arte come mestiere”, ecc.).
Una buona usabilità deriva da un buon progetto e questo è buono se è elegante nelle sue soluzioni.

Lo stesso oggetto può essere utile e bello, utile e brutto, inutile e bello, inutile e brutto. Si tratta di vedere quando prevale l’utilità e quando la bellezza. Dipende molto dal nostro atteggiamento soggettivo. Se dobbiamo fare qualcosa, prendiamo in considerazione più l’utilità che la bellezza. Se non dobbiamo fare ma contemplare, siamo più sensibili alla bellezza e la possiamo scoprire anche in cose che prima ci erano sembrate solo utili.

Nelle cose che consideriamo utili diamo grande importanza all’usabilità, che le rende più facili da usare. Nelle cose che contempliamo diamo più importanza al piacere che ci provocano, a quanto ci sorprendono, ci emozionano, ci intrigano.

Nel Web, dunque, che cosa vogliamo più usabile? L’orario FS, l’home banking, la consultazione di biblioteche, mappe, motori di ricerca…Che cosa vogliamo più piacevole, stimolante, sorprendente? Siti di games, enterteinment, espressione, psiche, linguaggio, produzione di significati, critica…

Duchamp (uno scolapiatti esposto come opera d’arte) e Man Ray (un ferro da stiro con una fila di chiodi) hanno dimostrato che la fruizione estetica nasce quando non usiamo più una cosa. Anche gli oggetti e strumenti di artigianato agricolo/pastorale acquistano valore estetico se esposti in museo (vedi museo della civiltà contadina e casa museo di Matera). A Terni di fronte alla stazione c’è un grande monumento molto bello che è una pressa in disuso delle acciaierie.

Perché la pietra da scheggiata è diventata levigata? Perché funzionava meglio. Perché la pietra viene legata a un ramo e trasformata in ascia? Perché si usa meglio: il ramo è l’interfaccia utente.
Il valore d’uso ha radici molto antiche ed è caratteristico dell’uomo come utilizzatore di strumenti. Per Platone l’uso è superiore alla produzione; l’uso giudica se la produzione è buona. “Non infatti il falegname che fabbrica la spola può dire se è una buona spola, ma il tessitore che la usa” (Cratilo, 390b).

Ha ragione Bifo quando dice che l’usabilità tende a facilitare, velocizzare, banalizzare. È proprio questa la differenza fra rapida usabilità e uso prolungato. Nello strumento antico l’interfaccia serve solo a maneggiarlo, ma il vero lavoro lo fa l’uomo. Pensiamo al pennello del pittore, alle forbici del sarto, alla zappa del contadino, via via fino alla macchina da scrivere.

Nello strumento moderno l’interfaccia serve a ordinargli quello che deve fare o a controllare se l’ha fatto nel modo desiderato, ma la maggior parte del lavoro la fa lo strumento, o meglio il sistema tecnico. Il lavoratore moderno non assomiglia più al faber che fa le cose con fatica operosa, ma al pastore, che deve soltanto guardare le pecore mentre trasformano la materia prima erba in semilavorato per fare formaggio e lana, come dice Umberto Galimberti nel suo inquietante saggio su “Psiche e Teche”, Feltrinelli 2000.

Oggi sempre più l’interfaccia diventa la “faccia” che assume il mondo per diventare comprensibile all’uomo. Una faccia che è la porzione di mondo con cui io sono in rapporto in quel momento, è una finestra aperta su un sistema più ampio e complesso a quattro dimensioni (le tre dimensioni spaziali più il tempo). Una faccia che è la semplificazione simbolica di un mondo enormemente complesso. E Gui Bonsiepe dice che tutto il design altro non è che un design di interfacce.

Se pensiamo l’interfaccia non come un oggetto estetico in sé, ma come un medium fra utilizzatore e processo produttivo/informativo, la sua caratteristica principale deve essere l’usabilità. Quindi se la videata è un’interfaccia, deve essere usabile.

Se invece la pensiamo come un oggetto estetico, come un’immagine da contemplare, una sequenza animata, un percorso da esplorare (adventure game) allora l’usabilità passa in secondo piano e può addirittura scomparire (benché debba restare un codice condiviso, magari in pochi).

L’usabilità come facilitazione e incentivazione a vendere è un falso problema. Il percorso d’uscita di un autogrill è lungo e tortuoso perché vuole farmi vedere tante merci sperando che le compri, ma è il contrario dell’usabilità. Anche il banner, che senza dubbio serve a “vendere” qualcosa, tuttavia inevitabilmente abbassa l’usabilità della pagina web su cui appare.

Ci sono tanti casi in cui non voglio comprare nulla ma gradisco molto l’usabilità. Uno per tutti è la consultazione di cataloghi, banche dati e biblioteche. In tanti altri casi compro proprio il poco usabile, in quanto fonte di piacere estetico (pensiamo a tutta la moda). Quindi l’alternativa al vendere non è l’esprimersi in modo non banale, ma il non vendere (o il non comprare).

Non vedo perché, se cerco un titolo o una bibliografia, mi debba avventurare per percorsi improbabili in interfacce misteriose. Ci sono cose che facciamo con interesse e passione. Altre che facciamo solo perché dobbiamo farle. In questo caso ci va bene se possiamo farle perdendoci il minimo di tempo e di impegno.

Anche le aziende oggi si dedicano al loro core business e danno in outsourcing tutto il resto.
La consultazione dell’orario ferroviario non è la passione della mia vita. Voglio sapere subito quando parte il treno, e poi passare ad altre cose.

Allora ci appiattiamo nei nostri limitati orizzonti? Forse. Ma abbiamo un’idea di quali fossero gli orizzonti di un artigiano analfabeta di qualche secolo fa? Ci ricordiamo che ci sono ancor oggi alcuni che non sanno usare neanche l’ordine alfabetico e che quando cercano un nome nell’elenco telefonico lo sfogliano pagina per pagina?

L’usabilità vale anche per interfacce molto complesse (apparecchi medicali, cabine di pilotaggio di aerei) che richiedono un notevole addestramento per poterle usare.

Il problema “politico” dell’usabilità non è tanto che è facilitante (deve esserlo), quanto che è limitante (fino a che punto può esserlo?). Chi ha il potere di limitare? In base a quali criteri? E chi lo può e deve controllare?

All’utente non è permesso di accedere a tutte le parti di un sistema, ma solo ad alcune. Puoi entrare solo in questa stanza, dove tutto è o dovrebbe essere fatto proprio per te e per gli altri come te. Ma oltre non puoi andare (vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori, linguaggi tecnico-specialistici, politichese, ecc.).

A questo concetto però non si oppone un’interfaccia poco usabile, ma la filosofia dell’open source. E non sarebbe ancora meglio se l’open source, invece di essere riservato a pochi (quanti sono in grado di “leggere” un codice sorgente?), fosse accessibile a molti?

Per addentrarsi in un “mondo” complesso e misterioso, quale potrebbe essere il cybermondo, ci sono due atteggiamenti possibili: l’euristica e l’ermeneutica. L’euristica è l’arte di cercare per trovare una verità, un percorso giusto. L’ermeneutica è l’arte di interpretare un testo, spiegandone i significati.

Anche per un’interfaccia web dobbiamo decidere se orientarla all’euristica o all’ermeneutica (o a tutte e due). Un adventure game è euristico. L’interpretazione di una parabola del Vangelo è ermeneutica. Un’interpretazione ipertestuale è sia ermeneutica (contenuti interpretativi) sia euristica (navigazione).

L’euristica si basa sull’iniziativa della persona che cerca (il filosofo). L’ermeneutica presuppone un interprete competente e autorizzato a spiegare (il sacerdote) e una persona disposta ad accogliere la spiegazione (il fedele). Alcuni testi devono essere facili e inequivocabili (ordini, segnalazioni, istruzioni). Altri testi sono volutamente difficili, perché riservati solo a chi è autorizzato ad accedervi. È questo il caso dei testi ermetici, dove però il culto di Hermes Trismegistos è riservato solo agli iniziati ed è mediato da sacerdoti. Ogni ermetismo ha bisogno di mediatori e di un’ermeneutica.

Se per usabilità si intende livellamento in basso, Bifo ha ragione di preoccuparsi. Tuttavia il livellamento in basso è anche un invito ad accedere rivolto a chi si sentirebbe escluso. Chi era già dentro può accedere ad altre porte, in quanto “addetto ai lavori”, e quindi approfondire e rendere complessi i suoi percorsi. Chi era fuori almeno può entrare e superare il “digital divide”.

Usabilità quindi è orientamento all’utente, non necessariamente banalizzazione. È il tentativo di riformulare il messaggio secondo codici appropriati, che devono essere di larga condivisione se ci si rivolge ad un pubblico generico, o possono essere esoterici, se ci si rivolge ad un pubblico specializzato (“si può parlare di poesia solo al poeta e di scherma solo al maestro di spada”, come dice il saggio zen).

Il semplice è diverso dal banale, in quanto il semplice deriva da una depurazione e ottimizzazione del complesso, ma ne conserva tutto il senso e il peso. Il banale si sostituisce al complesso (e spesso anche al semplice) con un simulacro piatto e regressivo. I consumi di massa sono banalizzanti in quanto sostituiscono un prodotto confezionato, liofilizzato e garantito ad una esperienza più ricca, articolata, e magari inquietante. Pensiamo ad un viaggio “tutto incluso”, dove un depliant si sostituisce al viaggio come esplorazione del nuovo, dove i clienti fotografano dal vero quello che hanno già visto nel depliant e vivono l’emozione non del conoscere, ma del riconoscere, e sono incapaci di “scoprire” da soli una cosa che non sia nel depliant.

D’altro canto però bisogna tornare sulla diversità fra possesso e accesso. Se si possiede una villa di campagna e si ha il tempo di farci una lunga villeggiatura, ci sono la cantina e la soffitta da esplorare, i misteri di stanze e corridoi pieni di memorie, i cassetti in cui curiosare alla ricerca di vecchie trine.

In una multiproprietà non c’è la cantina ma il garage, non la soffitta ma il ripostiglio per gli sci. Non ci sono misteri, ma usabilità per me e gli altri che condividono la proprietà intesa come accesso dal giorno tale al giorno tale. È un po’ meno suggestivo, ma la villa è per pochi; la multiproprietà è per molti che sono esclusi dalla villa e quindi non rappresenta un impoverimento, ma un arricchimento di esperienze.

Semplificazione significa riduzione di complessità, eliminazione di equivoci, trasparenza, esemplificazione. Per esempio il libro col quale Einstein spiega a tutti la relatività è semplice, ma tutt’altro che banalizzante. Semplice significa “il più semplice possibile”, non sostituzione con il banale. Il semplice è produttore di significato, perché depura il segno da tutto ciò che non è significante e lo arricchisce di esempi e chiarimenti. Spesso l’esemplificazione è la cosa più difficile, perché è abbastanza facile enunciare un concetto, ma è difficile trovare l’esempio giusto.

Per concludere, Internet non è solo il web, è anche FTP, e-mail, Wap, UMTS, streaming video, wbt, peer to peer, ecc. Il discorso di Bifo va bene per siti web artistico-culturali, ludici, erotici, di enterteinment, che però rappresentano solo una piccola parte del mondo Internet e dei suoi usi possibili.

Non vedo che senso ha complicare l’uso di un accesso via telefono e non capisco perché la possibilità di consultare la posta elettronica o l’orario dei treni anche con il cellulare debba significare per me un impoverimento di significati.

Per ampliare il discorso, Maurizio Boscarol sviluppa un bel discorso sull’usabilità web nel suo sito. Altro riferimento interessante è www.sitichefunzionano.it di Sofia Postai.

Il sito di Umberto Santucci

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