Improvvisamente una spia rossa si accende sul cruscotto dell’auto che state guidando su una delle tante autostrade italiane e contemporaneamente una voce registrata, del tutto simile a quella del vostro navigatore satellitare, vi informa che due chilometri più avanti un’auto ha frenato bruscamente. In tutta tranquillità cominciate a rallentare fino a raggiungere la colonna di auto già ferme, avendo a disposizione tutto lo spazio necessario per fermarvi in sicurezza. Grazie al sistema di allerta che vi avvisati tempestivamente della situazione il peggio è stato evitato: si tratta solo di attendere che l’ingorgo si sciolga.
Peer to peer
Una scena troppo futuristica quella di un sistema che sia in grado di avvisare per tempo quando c’è un brusco rallentamento delle auto che vi precedono? Non proprio, anzi una scena che potrebbe essere realtà già da oggi, grazie al sistema di peer to peer messo a punto da un team tutto italiano dell’Università di Bologna. «Non è certo il primo sistema del genere», racconta Marco Roccetti, che nell’ateneo bolognese è docente di architettura di internet. «Il fatto è che il nostro è in grado di farlo nel modo più efficace. Anzi: abbiamo dimostrato matematicamente che l’algoritmo che abbiamo scritto per gestire il trasferimento dell’informazione è il più efficace possibile e che non ci sono ulteriori margini di ottimizzazione».
Le simulazioni software realizzate a Bologna indicavano che in un solo secondo il segnale avrebbe potuto raggiungere le altre auto collegate fino a 8 chilometri di distanza. Dati molto buoni, possibili attraverso una spesa minima e senza dover ricorrere a infrastrutture. Infatti, «il tutto si basa su un sistema peer to peer», continua Roccetti: «basta dotare le auto di un’antenna wi-fi, di un sensore che avverta le frenate troppo brusche e collegarli tra di loro». Una spesa di qualche decina di euro che fa entrare tutte le auto che ne sono dotate in un network che permette loro di scambiarsi informazioni. «In questo modo tutte le auto, attraverso un software che si chiama Oracolo, sono costantemente in contatto tra di loro e conoscono le loro distanze reciproche». Tra le altre cose sanno quali sono le vetture nella migliore posizione per fare da relay, ovvero per rilanciare il segnale.
Questione di algoritmo
«I sistemi precedenti si basavano sul principio che l’auto migliore per fare da relay fosse quella più lontana da quella che lo ha lanciato per prima. In questo modo si pensava di raggiungere la massima distanza possibile nel minor tempo». Perché se tutte le auto ricevono il segnale e avvertono i loro conducenti, non tutte devono rilanciarlo, altrimenti si intaserebbe la banda: bisogna fare economia per cercare di far rimbalzare all’indietro il segnale coprendo la maggior distanza possibile. «La soluzione migliore», sorride Marco Rocetti, «è spesso semplicissima, un uovo di Colombo. Per rendere la propagazione il più veloce possibile, l’auto che deve ritrasmettere il segnale non è la più lontana, ma quella che a sua volta ha la possibilità di rilanciarlo più lontano».
In questo modo, con i test sul campo condotti a Los Angeles durante l’estate, Marco Roccetti e i colleghi Alessandro Amoroso e Gustafo Marfia hanno capito di aver tra le mani un sistema efficace e con buone possibilità di successo se applicato nel mondo dell’industria automobilistica. La batteria di esperimenti, infatti, ha dimostrato che l’algoritmo messo a punto a Bologna permette di raggiungere non solo le auto a 8 chilometri di distanza, ma quelle fino a 20 chilometri. «A dire il vero», ricorda Roccetti, «il primo giorno di prove c’è stato un attimo di panico totale. Dopo aver passato dieci giorni a montare il software e le nostre apparecchiature sulle auto dell’University of California a Los Angeles, per le prime due o tre ore in cui facevamo pratica all’ultimo piano di un parcheggio a silos non c’era modo che il segnale si trasmettesse tra le auto. Con i ragazzi stavamo quasi pensando di lasciare lì tutto e tornare in laboratorio per cercare di capirci qualcosa di più».
Sulla strada
Invece Marco Roccetti decide di scendere in strada: alla peggio ci si fa un giro per la città dopo i giorni passati in officina e laboratorio. «Non appena usciamo dal silos, il nostro sistema comincia a funzionare a meraviglia, molto meglio di quanto appunto ci aspettassimo». Il motivo della delusione iniziale? Semplicemente troppa interferenza: il silos si trova nel cuore di Westwood, la cittadella universitaria della città degli angeli, uno dei punti a più alta densità di reti wireless del mondo. «Se aprite lì il vostro netbook e accendete l’antenna wi-fi è probabile che riceviate segnale da due o trecento diverse reti! Quello è l’unico posto in cui le nostre apparecchiature non hanno funzionato», spiega orgoglioso Roccetti, «per il resto il mese di prove su strada è stato una meraviglia, con i colleghi americani che cercavano ogni volta di portarci in posti più congestionati, afflitti dalla nebbia mattutina o nel deserto».
Sì, perché in un’università americana sempre attenta ai ritrovati tecnologici, dove la Toyota ha due osservatori permanenti, i successi dei test del gruppo di italiani viene notato e scatta la gara a chi trova il percorso che metterà in crisi Oracolo e la sua capacità di trasmettere segnali di allerta. Ma, eccezion fatta per quel silos disgraziato, questo luogo non esiste. Allora arriva la stampa locale e Roccetti e i colleghi finiscono sulle pagine dei giornali locali. La loro piccola fama cresce al punto che l’UCLA decide di insignirli del titolo di “visiting scholarship”, che tradotto in italiano suona più o meno come “professore ad honorem”. Al termine dei test c’è, quindi, grande soddisfazione, in uno di quei rari casi della scienza in cui la prova sperimentale ha superato le aspettative.
In città
«Le tecnologie che abbiamo impiegato sono già mature e tutte disponibili», commenta Alessandro Amoroso, un altro degli autori della ricerca. «Potrebbero essere integrate direttamente nel cruscotto dell’automobile o nel navigatore satellitare». O addirittura si potrebbe pensare a un’app per gli smartphone che si attiva quando il telefono viene infilato in un apposito dock, come già avviene oggi per i lettori mp3 come l’iPod. «Insomma, il nostro dovere l’abbiamo compiuto ampiamente», conclude Marco Rocetti. «Dal punto di vista scientifico abbiamo fatto tutto: pubblicato i risultati, condotto i test in condizioni reali (e se le cose hanno funzionato a Los Angeles, c’è da stare tranquilli che funzioneranno anche in città con meno traffico) e abbiamo richiesto un brevetto per tutelare il frutto del nostro lavoro. Ora sta all’industria decidere se è un’implementazione che ha un senso commerciale o no. Noi crediamo di sì. E forse lo pensa anche Fiat, che ha mandato i suoi esperti a fare quattro chiacchiere con il team a Bologna».
Intanto Roccetti, Amoroso e gli altri si sono messi in attività per cercare di fare una versione del loro algoritmo che sia efficace anche in ambito cittadino. Oracolo e il suo sistema di trasmissione, infatti, funzionano a meraviglia se si tratta di un brusco rallentamento in autostrada o su strade ad alto scorrimento, soprattutto quando si è in quelle situazioni che gli esperti chiamano “rallentamento a fisarmonica”, mentre non è altrettanto efficace in città. Il problema principale non è quello della trasmissione dei segnali, ma la diversa tipologia di traffico. «In questo caso il lavoro è più difficile», spiega Roccetti, «perché la guida è più nervosa, fatta di piccoli scatti, frenate brusche ma che non sempre indicano una situazioni di reale pericolo. È una situazione di minor prevedibilità, diversa da quella dell’autostrada che noi chiamiamo lineare o 1D». Intanto eliminare una buona parte dei tamponamenti autostradali, si pensa che sia possibile arrivare a una diminuzione del 40%, con un dispositivo così semplice ed economico è già un bel punto di partenza: aspettiamo solo di vedere se se ne ricaverà una versione commerciale.