Sta diventando impossibile acquistare musica e film senza incappare nelle tecnologie anticopia. Le videocassette preregistrate e i DVD sono protetti dal sistema Macrovision, i dischi sono blindati da tecnologie anticopia tanto estreme da non poter essere più chiamati CD senza incorrere nelle ire di Philips (detentrice del marchio), la musica online legalmente scaricabile è protetta dalle cifrature di Microsoft e altri fabbricanti di lucchetti digitali, i videogiochi adottano ogni sorta di contromisura per impedirne la duplicazione, e così via. Persino i libri elettronici, gli e-book, sono codificati per bloccarne la copia.
La cosa ironica è che questo tripudio di protezioni non serve assolutamente a nulla. Basta visitare WinMx, Kazaa e gli altri sistemi di scambio peer-to-peer per trovare versioni sprotette di qualsiasi film, telefilm, brano musicale o e-book. La duplicazione non autorizzata va a gonfie vele nonostante tutti i tentativi ipertecnologici di bloccarla. Oltre alla copia spicciola, quella realizzata dai singoli utenti, c’è anche quella organizzata, con tanto di fabbriche galleggianti di video CD pirata su navi in acque internazionali.
Molti di questi sistemi anticopia si sono rivelati particolarmente patetici: è ancora fresca la storia del pennarello magico sufficiente a scavalcare le protezioni sui CD musicali, per non parlare dei lettori DVD che ignorano i codici regionali e il Macrovision e, più recentemente, dei trenta minuti che sono bastati per superare (sia pure alla buona) la protezione anticopia del formato e-book di Microsoft. Anche i formati digitali musicali protetti, basati su tecnologie meno dilettantesche, vengono sistematicamente aggirati con poca fatica, compresi quelli streaming (come Real Audio e Real Video), per cui è facile procurarsi un cosiddetto streaming ripper per salvare su file qualsiasi cosa venga trasmessa in questi formati.
Casseforti di carta velina
Il caso della mezzoretta necessaria per aggirare le protezioni di Microsoft Reader è particolarmente significativo, proprio perché la tecnica adottata è rozza ma dannatamente efficace. Durante una regolare consulenza per convincere una prestigiosa catena inglese di librerie dell’inutilità dei sistemi anticopia, l’autore della sprotezione non ha perso tempo a tentare di decifrare il file contenente l’e-book: ha semplicemente catturato su disco le pagine dell’e-book man mano che venivano visualizzate sullo schermo dal programma di lettura Microsoft, in modo da poterle vedere in seguito con qualsiasi programma di visualizzazione delle immagini e sotto qualsiasi sistema operativo. Semplice, pratico e facile.
Certo il progetto Palladium, già descritto da Apogeonline in articoli precedenti, probabilmente impedirebbe questo tipo di escamotage (la comunicazione tra scheda grafica e monitor sarebbe cifrata e quindi addio al tasto Stamp o Prnt Scrn), ma non potrà mai impedire di piazzare una fotocamera digitale o una telecamera davanti al monitor e catturare comunque le immagini o i video presentati sullo schermo. Lo stesso vale per le protezioni audio: alla fine, quale che sia il sistema anticopia, a un certo punto il suono deve pur uscire in forma analogica per raggiungere gli altoparlanti o le cuffie, e lì lo si potrà sempre attendere al varco con un registratore. La qualità non sarà perfetta, ma sarà comunque più che accettabile per la maggior parte degli utenti non audiofili e cinefili.
In altre parole, ogni e qualsiasi sistema anticopia è intrinsecamente destinato a fallire se applicato a prodotti audiovisivi. Potrà forse avere successo con il software e i videogame, che sono fortemente dipendenti dall’hardware dedicato, ma musica e film sono fatti per essere ascoltati e visti con l'”hardware” più disparato, dalla carta all’IMAX: tentare di vincolarli è un controsenso tecnico.
I fattucchieri dell’anticopia
Fra informatici queste semplici constatazioni tecniche sono ovvie e lampanti, persino trite. Eppure le case discografiche e cinematografiche insistono nell’ignorarle e reclamano sistemi anticopia di ogni sorta. Come è possibile che non si rendano conto della realtà della situazione?
Semplice: non vogliono accettarla. Sono paralizzate dal panico provocato da tecnologie che non conoscono, non capiscono e non sanno sfruttare, come la facilità di distribuzione offerta dal peer-to-peer e dal ripping e il fatto che basta che sfugga una copia non protetta per invalidare l’intero sistema di protezione. Così si attaccano a chiunque prometta loro salvezza, preferibilmente senza rinunciare alle proprie comode abitudini. È lo stesso atteggiamento che vediamo in chi si rivolge a cartomanti, santoni e maghi per curare i propri malanni più o meno immaginari.
Anche l’atteggiamento dei venditori di sistemi anticopia nei confronti dell’industria del disco e del cinema è lo stesso dei sacerdoti dell’occulto verso le proprie vittime. Vedono che sono in difficoltà, che non sanno che pesci pigliare per tirarsi fuori dai guai, e invece di indirizzarli verso le vere soluzioni ai loro problemi offrono loro una cura miracolosa priva del benché minimo sostegno scientifico e infarcita di arcani paroloni.
E quando la cura non funziona, che succede? Restituiscono forse i soldi? Macché: semmai propinano un nuovo incantesimo (pardon, “tecnologia di gestione dei diritti digitali”), che promettono sarà più potente del precedente, ma che verrà puntualmente scavalcato il giorno successivo, come tutti i precedenti.
Insomma, diciamo le cose come stanno: i rimedi offerti da chi vende protezioni anticopia per gli audiovisivi sono della stessa risma delle polverine e dei riti propiziatori dei paragnosti figli di paragnosti. Sono acqua fresca spacciata per cura anticancro.
Il costo della protezione che non c’è
Viene da chiedersi quanto incidano tutte queste fallimentari protezioni anticopia sul costo dei CD e DVD che acquistiamo. È difficile reperire cifre esatte, ma nel caso del diffusissimo sistema Macrovision si parla di importi variabili da 25 cent a due dollari per ogni videocassetta protetta (venduta o non venduta). Una cifra tutt’altro che trascurabile.
Nel caso dei DVD, il costo del Macrovision scende notevolmente (è uno dei vantaggi del supporto digitale) a circa 5 cent su ogni film, secondo CNET, ma bisogna aggiungere i diritti d’uso del CSS (Content Scrambling System), ulteriore sistema anticopia di cui fanno uso praticamente tutti i DVD in commercio, il cui ammontare è intorno al 6% sul prezzo di vendita di ogni film in questo formato digitale.
Anche i videogiochi sono soggetti a tributi pesanti. In alcuni casi si arriva all’assurdo che il sistema anticopia costerebbe al produttore del gioco più del prezzo di listino del gioco stesso.
Questi sono i costi tangibili: ci sono poi i costi difficili da quantificare, come quelli delle paranoiche misure di sicurezza necessarie all’interno degli studios per evitare che sfuggano copie non protette prima di arrivare ai centri di duplicazione dei DVD, i costi delle cause legali intentate dalle associazioni di consumatori, le mancate vendite derivanti dal timore di trovarsi di fronte a un prodotto non duplicabile neppure per i legittimi usi personali, e i danni d’immagine derivanti da débacle come il disco di Celine Dion (che mandava in crash alcuni modelli di computer Apple) e dal fatto che non pochi lettori CD di fascia alta non riescono a leggere questi dischi protetti.
Al danno d’immagine si aggiunge poi il costo del fallimento delle copie protette, come ben sa la BMG, che nel 2000 sperimentò in Germania un album anticopia, Razorblade Romance, per poi scoprire che circa il 3% degli acquirenti legittimi non riusciva a suonarlo sul proprio impianto. La BMG dovette ritirare il disco e ristamparne una nuova edizione senza protezione. E non è l’unico caso: fu sempre la BMG a ripetere la figuraccia l’anno successivo con “White Lillies Island” di Natalie Imbruglia, anche lui ritirato e ristampato senza sistemi anticopia a seguito delle proteste dei consumatori.
Vincita garantita
Le società che vendono protezioni sono in una posizione invidiabile: incassano sempre e comunque. Incassano di più se il CD o DVD è un successone, ma incassano lo stesso anche se si rivela un tonfo commerciale e gli attori, artisti e produttori ci rimettono. Titanic o Cannibal Holocaust (starring Luca Barbareschi), insomma, per loro non fa molta differenza.
In altre parole, le vere vittime di questa grande truffa sono le case cinematografiche e discografiche, che nel più classico dei meccanismi “se la moglie ti fa arrabbiare, dai un calcio al cane” si sfogano sui consumatori trattandoli come pirati fino a prova contraria e rincarando i prezzi. Tutto per dei sistemi anticopia che non funzionano e non possono funzionare.
Sveglia, magnati dei media: è ora di rendersi conto che i santoni dell’anticopia vi stanno raggirando e che il vostro modello commerciale poteva andar bene nell’epoca pre-digitale, ma che adesso è insostenibile e obsoleto quanto quello degli amanuensi dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Chiedetevi come mai un DVD non protetto, come Harry Potter e la pietra filosofale, abbia venduto venti milioni di copie soltanto nella prima settimana di disponibilità. In teoria, essendo privo di Macrovision, chiunque avrebbe potuto copiarlo semplicemente accoppiando un videoregistratore al lettore DVD. Ma non è successo.
Giusta o ingiusta, legale o meno, la duplicazione audio e video è onnipresente e inarrestabile. Occorre trovare un modello commerciale compatibile con questa ineludibile realtà. La scelta è semplice: adattarsi o perire.