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L’aver cura della propria socialità in rete

27 Ottobre 2011

L’aver cura della propria socialità in rete

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Stiamo arrivando per prove e errori a costruire il nostro personalissimo hub identitario organizzato in strumenti di ascolto e pubblicazione, che ci permette di abitare il web stando comodamente a casa nostra, senza per forza frequentare salotti (i social come Facebook) per partecipare alle conversazioni

Ormai è discorso da proporre al bancone del bar, per superare i tempi morti. «Ti ricordi com’era internet dieci anni fa? Ti ricordi Napster, Geocities, Altavista? ICQ? I gruppi di discussione?» Eh. Leggevamo molto, scrivevamo sui forum, o pagine html crude. Ma i percorsi di navigazione allora frantumati e solleticati dalla serendipità erano decisamente più liberi/selvaggi di oggi, e venivano da noi stessi ricomposti nel loro senso, nel nostro renderne conto altrove, scrivendo e segnalando, aggiungendo contesto. Oggi sono nati gli strumenti per restare sintonizzati con migliaia di flussi informativi. Strumenti per ripubblicare ovunque ciò che vogliamo reinstradare, reimmettere nel calderone della socialità digitale, non aggiungendo talvolta nemmeno una briciola del nostro contesto.

Dove andiamo

Rimane la presenza, il  fatto stesso che siamo proprio noi a ritrasmettere quell’informazione, ovvero il significato che quell’informazione liquida ha avuto nel nostro personale mondo, nel nostro lifestreaming. E forse una competenza necessaria del nostro essere cittadini digitali riguarda proprio saper fare curation del nostro lifestreaming, aver cura della nostra identità digitale. Per chi ha visto nascere le forme di aggregazione online, lo schiumare delle onde dell’intelligenza collettiva, l’edificazione di Luoghi di socialità, per chi è curioso delle forme che il brusìo elettronico dell’umanità prenderà nei prossimi anni, la domanda è quella lì – dove stiamo andando. Certo, dobbiamo ancora riuscire a diffondere tra noi delle competenze sulla gestione dei flussi informativi che ci arrivano addosso, siamo tuttora inebriati dalla vorticosità del duepuntozero, che ha stretto patti con il mobile e ci permette di parlare sempre, di segnalare tutto.

Presi nel turbine dei servizi social, sperimentiamo tutte le app di questo mondo digitale: sono tutte possibilità dell’esprimere sé stessi e dell’abitare, ma molte sono senza significato, sono semplici funzionalità che emergono dalla tecnologie. Sono come parole “ben formate” che però non denotano nulla; sono aggregazioni casuali di pezzi Lego senza un progetto ordinatore. Il loro significato è il loro connettersi (la loro semantica è la loro sintassi) con altri dispositivi e altre nicchie web, da cui possiamo eventualmente trarre informazioni per arredare il nostro lifestreaming. Qualche volta avviene il fenomeno contrario, certo: invento una parola, un dispositivo, un servizio web (o gli Sms “scoperti” lateralmente rispetto alla tenologia della telefonia cellulare), e solo in seguito scopro il senso del suo connettersi ecologicamente con altre parole, altri dispositivi, altri servizi web. Esperimenti espressivi, nuovi linguaggi che abilitano il mio pensiero a pensar laddove forse non si sarebbe rivolto. Stiamo imparando.

Cosa chiediamo

Un’altra domanda potrebbe forse riguardare il cosa chiediamo, mentre andiamo nelle socialità connesse. Chiediamo forse di essere aiutati a scegliere? Scegliere che posizione tenere riguardo a un’azione legislativa governativa, riguardo che vestito comprare, che film vedere. Il nostro molto umano appoggiarci a gruppi sociali, essere identificati in rete per partecipazione, tematiche e interessi condivisi, questi i risvolti che sul nostro fare e sul nostro essere riverberano. Di qui, si diceva la necessità (?) di fare curation del nostro stesso lifestreaming. Renderlo visibile con rappresentazioni come le timeline, utilizzando strumenti per l’ascolto e ripubblicazione. Connettersi significativamente alle persone, per allestire dei buoni filtri sociali. Impostare degli aggregatori dei momenti salienti della mia vita, in grado di mostrare le informazioni che io stesso ho pubblicato in rete nel corso degli anni, di me e del mio punto di vista.

Quelle tecnologie traccianti di cui parlavo anni fa si sono evolute, permettono di inseguire e scovare il mio dire ovunque esso appaia, nelle conversazioni che avvengono in molti Luoghi web. Diventa possibile veicolare il contesto enunciativo (non solo il messaggio), il contesto crea relazioni, le relazioni forgiano la mia identità. E forse stiamo arrivando per prove e errori a costruire quella sorta di nostro personalissimo hub identitario organizzato in strumenti di ascolto e pubblicazione che ci permette di abitare il web stando comodamente a casa nostra, senza per forza frequentare salotti (i social come Facebook) per partecipare alle conversazioni. Con strumenti di reinstradamento sempre più semplici e interconnessi (come ifttt.com per ruotare i feed), con curation tool sempre più performanti e personalizzabili (è la nostra identità in gioco), con soluzioni come Google Author per tenere stretti il dire e l’autore, in modo veritero e condivisibile, io già abito in Rete.

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