Si nota una certa soddisfazione nei giornali americani di questi giorni. venerdì 23 giugno l’apertura della sezione economica del “New York Times” titolava ironicamente: “http://www.layoff.com” (cioè, www.licenziamento.com). “La festa è finita”, faceva eco la domenica successiva la sezione approfondimenti di “Atlanta Journal Constitution”.
Tema: il boom di Internet e gli Internet-maniaci stanno cominciando a prendere un po’ di botte. E siccome pare che la carta stampata abbia un conto aperto con il Web, ecco spiegata tanta, neppure malcelata, soddisfazione.
Il Nasdaq dal canto suo non risparmia certo la mitologia internettiana. Il colpo preso da Amazon.com ha già fatto dimenticare a tutti che lo scorso dicembre Jeff Bezos era stato nominato uomo dell’anno dal settimanale “Time”. Non sono passati neanche sei mesi e ora rischia di finire all’indice.
C’è anche, è evidente, un problema di memoria. Come si misura il passato nella Rete? La velocità dei collegamenti, lo sguardo rivolto sempre in avanti fanno pensare che il giorno prima sia già passato remoto, roba da archivio. Del resto non sarà un caso se Frances Katz – che si occupa di internet per il “Journal Constitution” – inizia il suo pezzo sulla fine della festa scrivendo: “In passato – diciamo sei o sette mesi fa – quando si riunivano quelli che facevano miliardi con Internet, gli imprenditori, i guru e gli aspiranti, questo o quello, era solo un parlare di soldi: quanti se ne erano fatti e quanti se ne sarebbero fatti”.
In passato, l’altroieri. E oggi?
Oggi ci si comincia a interrogare su cosa stia succedendo al Web. Come hanno dimostrato alcuni degli interventi alla recente “Harvard conference on Internet and Society”, non è solo questione di soldi che non si trovano più. È anche, per qualcuno, soprattutto questione di come sia cambiato Internet, con tanta rapidità e tanta facilità. Ecco cosa ha detto nel suo intervento Mitch Kapor, fondatore, tra l’altro, della Lotus Development Corporation: “Mi sento come se fossi sottoposto a una successione di centri commerciali con i banner pubblicitari che fanno di me soltanto un consumatore”.
Ma come, fino a qualche giorno fa l’ideale abitante dell’anno 2000 era quello che comprava libri e dischi solo da Amazon (o simili), l’esploratore del futuro era gente del tipo dotcomguy (qualcuno sa che fine ha fatto?), pronta a farsi chiudere in una casa spoglia e dimostrare che attraverso la Rete avrebbe potuto fare di tutto: dal trovare sigarette e succhi di frutta al comprare libri e mobili. Tutto vero. Ma forse, come è stato fatto notare ad Harvard, il commercio ha preso rapidamente la mano e il Web – almeno quello che va per la maggiore, fa titolo sui giornali e fa titoli in borsa – ha perso la sua caratteristica di strumento di comunicazione e comprensione tra gli abitanti del pianeta.
Dunque, perché tanto stupore se, una volta diventato centro commerciale, è arrivato qualcuno “a chiedere conto ad Amazon di ogni lira spesa”?
Il fatto è che, sempre a leggere i giornali americani, quello che conta resta la dimensione commerciale. “Atlanta Journal Constitution”, nel presentare i risultati di un’inchiesta sulla diffusione dei computer nella capitale della Georgia, dopo aver rilevato che nel 70% delle case della città c’è un computer, mette in evidenza che più del 68% dei possessori di computer usa Internet quotidianamente per chiacchierare, fare acquisti, fare affari. Parole come conoscere, comunicare, comprendere – care a Kapor e a quelli come lui – non compaiono. L’inchiesta serve però a capire che anche nella capitale di quella che abbiamo chiamato “e-Georgia” c’è una netta divisione tra aree benestanti e zone sottosviluppate.
Atlanta è bella, verde, pulita, a prima vista certamente molto ricca. Basta spostarsi di dieci minuti in macchina dalla zona centrale della Cnn per accostarsi progressivamente a un’altra città: molto meno scintillante. Così le contee ricche possono vantare un bell’80% di case con computer, quelle più povere arrivano a fatica al 55%. E nessuno si sorprende che la divisione non sia solo geografica, ma soprattutto razziale, di sesso. C’è qualcuno che si sorprende nel venire a sapere che ha un Pc il 73% dei bianchi contro il 58% dei neri?
E a riprova di quel che si diceva del commercio online, il servizio del quotidiano georgiano si chiude con la storia esemplare di Harry e Jane Belcastro. Si dice che può essere un caso estremo, ma tant’è. “Tutto quello che c’è in questa casa è stato comprato online” spiega Harry, che lavora da casa, via computer, come programmatore e racconta soddisfatto che ogni oggetto è stato ordinato in Rete e consegnato dal rivenditore davanti alla porta di casa.