La CMC (Computer Mediated Communication), la comunicazione mediata dal computer, va sempre più assumendo i contorni di un nuovo oggetto di ricerca per le scienze sociali. Posta elettronica, newsgroup, mailing list, chat rooms solo testo e/o multimediali, MUD, MOO; – tutte le diverse modalità di comunicazione sincrona e asincrona che l’accoppiata computer e Internet mettono oggi facilmente a disposizione – hanno creato nuove forme di interazione, inediti spazi di socializzazione che non richiedono la presenza fisica degli interlocutori. E poiché la dove c’è comunicazione c’è cultura, antropologi e sociologi si stanno dando da fare nel tentativo di comprendere (e spiegare) come tutto ciò vada dipanandosi.
Sono già numerose le risorse disponibili nei relativi siti Web: raccolte di saggi, collezioni di corsi universitari, interviste a studiosi del settore, dichiarazioni programmatiche, bibliografie, progetti di ricerca. Come pure crescono i gruppi di ricerca, i centri studi, le riviste accademiche, spesso emanazioni di dipartimenti di sociologia, antropologia, mass media e cultural studies, soprattutto negli Stati Uniti ma anche altrove. Alcuni propongono anche vere e proprie indagini etnografiche, pezzi di vita vissuta online passati sotto la lente delle scienze sociali. Qualche esempio lo troviamo su Cybersoc: Sociological and Ethnographic Study of Cyberspace, dove Robert Hamman, aspirante Phd dell’università di Liverpool ci propone One Hour in the E-world Hot Tub, un progetto di ricerca basato sul metodo dell’osservazione partecipante tra i frequentatori dei canali chat di AOL. Anche i lavori intorno alle dinamiche su Internet Relay Chat (IRC) e i MUD di Elizabeth Reid, dottoranda alla University of Melbourne, si accostano al tema della socialità in rete con un approccio empirico e descrittivo.
Così l’etnografia, ancella empirica dell’antropologia, per definizione osservazione e analisi in loco di popoli esotici e lontani, avvolta dall’alone romantico dell’antropologo viaggiatore, viene ora condotta online, rimanendo seduti alla propria scrivania. Unici mezzi necessari un computer e un modem: persino il vecchio taccuino sembra inutile in uno spazio in cui testo e contesto coincidono. Basta registrare quanto scorre sul monitor, meglio se partecipando interattivamente, per poi analizzare con calma più tardi quanto è accaduto.
Da qui ne discende una serie di filoni di studio, creati spesso per filiazione dai dipartimenti di provenienza, giustapponendo il prefisso cyber alla disciplina madre (da cui cyber-sociology e cyber-anthropology). Un campo di studi che, al pari delle stesse origini della CMC, altro non è che uno rivoli di un discorso più ampio che nasce dall’analisi del rapporto tra esseri umani e tecnologia, e in particolare dalla riflessione avviata nella seconda metà degli anni ’70, con la comparsa e l’introduzione massiccia del personal computer nella vita quotidiana. Il rapporto Sé-PC è infatti il tema portante dei pionieristici lavori di Sherry Turkle, considerata la Margaret Mead della cyber-cultura. Docente di sociologia al MIT di Boston, già nel 1984 con “The second Self: Computer and Human Spirit” la Turkle prende in esame le modalità con cui gli esseri umani, in particolare i bambini, interagiscono e si relazionano con il computer, macchina duttile e flessibile che arriva ad assumere la funzione di specchio del proprio sé.
Altro esito della medesima riflessione è la teoria del cyborg. Steve Mizrach, della University of Florida, al quale si deve di uno dei primi siti esplicitamente dedicati cyber-antropology, definisce uno degli scopi di quest’ultima l’esame della ricostruzione tecnologica dell’essere umano. Mizrach si riferisce qui alle teorie di Donna Haraway, nota studiosa e autrice del “manifesto cyborg”, la quale sostiene che tendenza naturale degli esseri umani è il continuo ricostruirsi tramite la tecnologia per distinguersi dalle altre forme biologiche del pianeta. Un progetto che muove dalle prime forme di manipolazione del corpo umano e avanza oggi con l’utilizzo di sofisticate protesi tecnologiche e lo sviluppo dell’ingegneria genetica. Il desiderio di migliorare ciò che ha determinato la natura, secondo la Haraway, è all’origine stessa della cultura umana. Mizrach si spinge anche oltre, sostenendo come la cyber-antropologia prepari l’etnografo a trattare con categorie più ampie di esseri umani, che presto arriveranno a comprendere anche androidi e intelligenze artificiali — solo però quando questi saranno riusciti a superare il Test di Turing, imparando a riconoscere chiaramente la differenza tra essere umano e macchina.
Un altro aspetto da tener presente è che la rivoluzione digitale, o, per dirla con Mark Poster (“The second media Age,” 1995), la seconda rivoluzione mediatica, ha coinciso con un clima di generale disorientamento delle scienze sociali. All’idea di un soggetto razionalmente orientato, si è andata via via sostituendo una visione molteplice, complessa, decentrata dell’agente sociale — visione che ha messo crisi i paradigmi classici delle scienze sociali. Nella sua paper del 1991 (tra le prime sul tema a circolare copiosamente online), Electropolis: Communication and Community on Internet Relay Chat, Elizabeth Reid pone tra le cause di tale disorientamento anche l’esigenza di affrontare l’analisi della comunicazione sincronica via computer: “le forme di interazione viste su IRC problematizzano e necessitano la ricostruzione di alcuni metodi di analisi che sono stati applicati alla CMC. In generale, IRC e CMC pongono una sfida a discipline come linguistica, sociologia e storia, richiedendo loro la ricostruzione dei propri discorsi.”
Questa serie di atteggiamenti ricadono sotto il grande ombrello della postmodernità, che negli ambienti accademici statunitensi si traduce nell’accoglimento delle teorie decostruzioniste europee, particolarmente di Focault e Lacan, nomi che ricorrono assai spesso nella letteratura sociologica cyber. Val la pena di notare come nell’attuale avanzare digitale si oscilli variamente da un diffuso e cauto pragmatismo tendente al pessimismo (gli agglomerati urbani decadenti e gli esseri umani alienati da protesi tecnologiche tipici della letteratura cyberpunk) alle visioni positive di filosofi quali Pierre Lévy, secondo il quale le nuove tecnologie della comunicazione permettono di ottimizzare le intelligenze umane e continuare la realizzazione del progetto di emancipazione dell’illuminismo, pur se con una certa accortezza (vedi intervista di Gabriella Alù su Apogeo Online.)
In ogni caso, uno dei leit motiv più ricorrenti della letteratura sulla CMC rimane il nesso tra comunicazione online e postmoderno. Un calzante esempio arriva dalle parole, ma soprattutto dalle domande, che Sherry Turkle pone in “Life on the Screen” (La Vita sullo schermo, Apogeo, 1997): “Internet è divenuta un laboratorio sociale significativo per sperimentare l’esperienza della costruzione e della ricostruzione del sé, tipica della vita postmoderna. Ci modelliamo e ci ricreiamo all’interno della realtà virtuale. Che tipo di personaggi (persone) diventiamo? Quale rapporto hanno questi con la persona completa come l’abbiamo pensata tradizionalmente? Come comunicano tra di loro? Perché facciamo queste esperienze? Si tratta di un gioco superficiale o di una gran perdita di tempo? Sono espressione di un’identità in crisi che tradizionalmente si associa all’adolescenza? Oppure stiamo osservando il lento emergere di un nuovo e poliedrico modo di intendere la mente?” Questioni cui anziché rispondere in senso positivo o negativo (sarebbe oltremodo impossibile), sollecitano piuttosto verso un approccio etnografico, osservativo, di sospensione del giudizio.
Temi tipicamente postmoderni, quali quelli della molteplicità e della fluidità dell’identità, anche sessuale, li ritroviamo anche nei lavori di un altro nome noto della scena cyber: Sandy (Alluquere Rosanne) Stone, ricercatrice e fondatrice dell’ACT (Advanced Communication Technologies Laboratory) presso la University of Texas di Austin — il suo manifesto transgender del 1988 è disponibile in rete: “The Empire Strikes Back: a Postranssexual Manifesto”. Se per la Stone la rete e le protesi della comunicazione possono addirittura liberarci dalle limitazioni del genere sessuale socialmente imposte, un’altra frangia della cybercultura ci parla di altri tipi di liberazione. La natura decentrata, priva di controllo e ambigua di Internet, ne ha fatto un terreno di nascita di sub-culture di vario genere: hackers, TAZ (Temporary Autonomous Zone), cyberdelia — un’interessante miscela di culture “altre” stile anni ’60 e ’70 rivisitate alla luce delle nuove tecnologie. Riprendendo Andrew Ross (da “La Nuova Intelligenza”, in “Tecnocultura”, a cura di G. Bender e T. Druckery, 1996), ci troviamo così di fronte a una sorta di “tecnologismo radicale che si basa su una conoscenza più pragmatica che utopistica e che, accettando la tecnologia avanzata, rigetta la tecnofobia profondamente radicata nella tradizione del pessimismo culturale di sinistra. Esso descrive le pratiche tecnologiche che sono in opposizione o alternative, e che hanno lo scopo di sconfiggere il complesso esercito-industria-media sul proprio terreno, o per dirla con una frase ormai entrata nel repertorio classico del cyberpunk: usa la tecnologia prima che sia usata su di te. Queste pratiche variano dal sabotaggio cibernetico a basso livello nei posti di lavoro alla costituzione di istituzioni di comunicazione alternative che si approprino o utilizzino la tecnologia avanzata per fini democratici radicali.”
Le tendenze generali in cui si sta muovendo la ricerca sociale relativa a Internet sono, quindi, alquanto variegate e ramificate. D’altronde non potrebbe essere diversamente, vista l’estrema fluidità del mondo telematico. È per questo che il breve panorama qui presentato vuole essere soltanto l’inizio di un discorso aperto da approfondire — sia con i link inseriti e gli altri di seguito elencati, sia attraverso ogni tipo di segnalazione su quanto si va elaborando in tema di cyber-culture, ovvero su un tema sempre più d’attualità: la rete che riflette su stessa.
Cyberantropologia, alcuni consigli di navigazione
Seeker1’s CyberAnthropology Page
Uno dei primi siti dedicati alla cyberanthropology. È curato da Steve Mizrach e ospitato dall’Università della Florida. Contiene diversi saggi dello stesso Mizrach sulla definizioni e le prospettive di questo nuovo campo di studi. Da segnalare link vocali con le voci di McLuhan e McKenna e una bibliografia commentata sull’argomento.
Cyberspace Culture and Society
Il sito della biblioteca Albin O.Kuhn presso l’Università del Maryland propone un’esaustiva raccolta di programmi universitari e bibliografie sul tema generale della tecnologia come processo culturale.
Center for the Study of Online Communities
Il centro per lo studio delle comunità online presso la UCLA (University of California Los Angeles) cerca di presentare e sostenere gli studi che si rivolgono alle modalità con cui i computer e i network informatici modificano i processi di formazione di gruppi, organizzazioni e istituzioni, e come queste aggregazioni sociali sono capaci di soddisfare gli interessi collettivi dei propri membri.
Resource Center for Cyberculture Studies
Il Resource Center for Cyberculture Studies (University of Maryland) è un’organizzazione non-profit con l’obiettivo di ricercare, studiare e insegnare i diversi dinamici elementi della cybercultura. Multidisciplinare per natura, tenta di mettere in contatto diverse discipline che si occupano di tali tematiche. Da segnalare la bibliografia commentata e una serie di interviste a esperti del settore.
Cybersoc Sociological and Ethnographic Study of Cyberspace
Diretto e realizzato da Robin Hamman Phd del dipartimento di Comunication Studies dell’Università di Liverpool, Cybersoc è un ottima risorsa per iniziare a studiare gli aspetti sociali delle cyber comunità. Qui è possibile trovare alcuni resoconti etnografici condotti da Hamman, in particolare alcuni stralci della sua MA Dissertation Cyborgasms Cybersex Amongst Multiple-Selves and Cyborgs in the Narrow-Bandwidth Space of America Online Chat Rooms sulla pratica del sesso online su alcuni canali delle chats di AOL, con tanto di trascrizioni integrali. Da segnalare anche un’interessante pagina, realizzata in collaborazione con Amazon, sulle novità editoriali pubblicate sull’argomento.
Act Lab
The Advanced Communication Technologies Laboratory è stato fondato da Sandy Stone nel 1992, con finanziamento e sostegno del dipartimento di Radio-TV-Film della University of Texas, ad Austin. Si occupa di ricerche eclettiche dove tecnologia, arte e cultura si incontrano.
Sherry Turkle
Sociologa al MIT, autrice tra l’altro di “Life on the Screen: Identity in the age of Internet”, e’ considerata la prima antropologa del cyberspazio. Questa è la sua pagina personale.
Sandy (Allucquere Rosanne) Stone
Ricercatrice e scrittrice su tutti gli ambiti del cyberspazio, cyborg, transgender, dirige l’ACT (vedi sopra). Una pagina personale assai interessante e diversificata, inclusi suoi saggi, ricerche e altre attività “artistiche.”
Pierre Lévy
Per una panoramica sulle idee del teorico dell'”intelligenza collettiva”, vedi la recensione a Cyberculture. Rapport au Conseil de l’Europe” su Apogeo Online a cura di Gabriella Alù e le interviste sul sito della trasmissione Rai Mediamente
Elizabeth Reid
La prima etnografa di IRC, dottoranda all’Università di Melbourne. E a proposito….cerca lavoro!