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La patata bollente dell’Internet governance

10 Ottobre 2006

La patata bollente dell’Internet governance

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Sviluppo commerciale, società dell’informazione, gestione tecnica: i nodi della Rete sono molti e complessi. Potrà aiutare a scioglierli la consultazione pubblica lanciata dal governo italiano?

Accorciare le distanze tra cittadini e istituzioni, rilanciare la partecipazione così tanto assente nella cultura politica odierna. Questo uno degli pilastri su cui è cresciuta Internet nella sua breve ma sfolgorante carriera. Nonché obiettivo dinamico al massimo, che non può certo esaurirsi in blog-vetrina elettorali o web-plebisciti di massa. Occorre piuttosto fornire strumenti flessibili e continuati, dando voce diretta ai protagonisti della Rete. Ancor più quando si ha a che fare con questioni scottanti quali società dell’informazione e Internet governance. Ecco allora il senso l’iniziativa appena lanciata dal governo italiano: una consultazione pubblica online sui temi della società dell’informazione, dal diritto d’autore ai problemi dell’accesso a Internet, dallo spam alla diversità culturale.

Questo il primo passo del Comitato consultivo sulla governance di Internet, presieduto da Stefano Rodotà e dove compare anche l’ex senatore verde Fiorello Cortiana, che va stilando le linee-guida dell’Italia in vista dell’imminente Internet Governance Forum delle Nazioni Unite, previsto ad Atene per fine ottobre. Nel sito sono disponibili le bozze della posizione italiana sui vari argomenti ed è possibile – questo il bello – inviare interventi e commenti di qualsiasi genere. E per chi non si accontenta dei circoli virtuali, è in arrivo anche un incontro fisico, il 12 ottobre a Roma, aperto a tutti previa registrazione online e con webcast in diretta.

A cosa si deve questo inusitato spiegamento di forze? Come fa notare Vittorio Bertola, esperto di servizi Internet e altro membro del Comitato: «…i governi italiani di qualsiasi colore debbono prendere l’abitudine di ascoltare molto più attentamente la voce del pubblico, e in particolare di quegli individui e quelle associazioni attive sulla nostra rete che dispongono di idee, competenza specifica, esperienza e capacità di innovazione». Si tratta insomma di applicare la lezione di internet nell’offrire ai singoli lo spazio e l’importanza che meritano nella società odierna, usando al meglio le potenzialità della grande rete. Eppure, domanda inevitabile: servirà a qualcosa? Non sarà mica la solita bolla di sapone? L’inevitabile scetticismo si è già affacciato negli interventi della consultazione online, anche se garantisce lo stesso Bertola: «È comunque nostra intenzione continuare a spingere anche dopo Atene e anche a livello nazionale, abbiamo soltanto bisogno di un po’ di supporto visibile da parte dei cittadini attivi».

Anche perché il tutto (si spera) potrà avere ricadute positive sulle politiche italiane in fatto di Rete, e relative riforme – a cominciare da quell’obbrobrio che è la legge Urbani – per poi muoversi necessariamente verso un’armonizzazione in senso europeo, sia per quanto concerne interventi non punitivi sul file-sharing sia per attivare opportunità concrete di connessione, scambio e partecipazione. «Ciò che manca in Italia, soprattutto per Internet, è un ascolto vero e un’azione decisa e competente per superare gli ostacoli verso la società digitale», spiega Luca Conti, tra i più attivi blogger nostrani, «ostacoli che altri paesi a noi vicini, vedi Spagna e Francia, hanno cominciato a superare con politiche decise e convinte per combattere il digital divide, ad esempio». Si, ma in pratica? «Ci vuole una regolamentazione certa e un’apertura convinta alle nuove tecnologie, come il Wi-Max, ancora troppo indietro nel percorso di sviluppo commerciale. In Francia sono state già assegnate le relative licenze, quindi dal 2007 ci sarà una copertura di banda larga quasi completa, con tutto ciò che ne consegue», conclude l’animatore di Pandemia.

Ampliando ulteriormente il panorama al di là del Vecchio Continente, non mancano certo le note dolenti sulla governance di Internet, da sempre nelle mani degli Stati Uniti. Il cui Dipartimento del Commercio qualche giorno fa ha annunciato un certo rilassamento del proprio controllo su Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), ente no-profit che dal 1998 gestisce il sistema degli indirizzi di Internet. Scaduto a fine settembre il precedente contratto, la partnership è stata rinnovata per altri tre anni concedendo però maggiore autonomia a Icann in previsione del passaggio, da tempo nell’aria, della gestione tecnica della Rete al settore privato.

A livello internazionale, le discussioni sono state attivate prima di tutto da Brasile e Cina – e non è un mistero che i secondi hanno scelto «sostanzialmente di farsi la propria rete, interconnessa al mondo in modo molto controllato», spiega ancora Bertola. Aggiungendo che «il controllo statunitense si esercita soprattutto tramite il dominio del mercato dell’Ict; ad esempio, Google ha un potere di controllo e sorveglianza della Rete infinitamente superiore a quello di qualsiasi governo…lo stesso avviene tramite Microsoft (del comportamento del cui sistema operativo non si ha certezza; varie fonti dicono di aver riscontrato apparenti comunicazioni di dati dell’utente verso server centrali negli Usa) o tramite Verisign, il registro dei nomi a dominio.com e.net, ma anche il principale fornitore di certificati online».

Visti i diversi livelli di controllo made in Usa, già nel World Summit on the Information Society dello scorso novembre a Tunisi ci si era mossi alla ricerca di un “nuovo modello di cooperazione”, cioè verso un nuovo ruolo dei governi internazionali nel controllo di nomi di dominio e indirizzi IP. Speranze andate sostanzialmente deluse, perché di fatto spetta comunque agli Usa l’ultima parola sulla root authority del Domain Name System (il file con l’elenco dei domini di primo livello che ne stabilisce anche la gestione). E il peso internazionale dell’Unione Europea nel dibattito generale è comunque molto ridotto, sia per l’incapacità di un forte accordo interno, sia per la mancanza di vere idee alternative. Né va dimenticato come il compromesso tunisino sia stato solo l’ultimo «episodio nella battaglia per il controllo del sistema dei nomi di dominio, che a sua volta fa parte della guerra più ampia per il controllo di internet», sottolineano Tim Wu e Jack Goldsmith in Who Controls the Internet?, volume apparso in primavera presso Oxford University Press e presto in arrivo nelle librerie italiane da Rgb.

Il testo ripercorre, sintetizzando al meglio, la storia di oltre un decennio di vita di Internet dove l’iniziale «illusione di un mondo senza frontiere, auto-gestito e indipendente dai governi nazionali», ha dato invece posto all’odierna frantumazione e localizzazione della Rete in cui «la geografia e la pressione governativa rivestono un’importanza fondamentale». Basandosi su aneddoti poco noti e analisi di casi specifici, i due docenti di legge statunitensi sembrano convinti che nel prossimo futuro saranno comunque le grandi potenze a decidere le sorti di internet. E non hanno certo tutti i torti, visto il percorso in atto verso il meeting di Atene e le annose controversie sulla gestione di Icann. Purché, appunto, i cittadini di ogni parte del mondo (Italia inclusa) non si diano una svegliata…

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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