Jimmie G. è felice. Jimmie non ricorda una sola ragione per essere preoccupato, amareggiato, infelice. La sua malattia, la sindrome di Korsakov, gli impedisce di ricordare chiunque e qualunque cosa per più di qualche decina di secondi. A seguito dell’alcolismo che lo ha afflitto, Jimmy G. ha sviluppato una forma di amnesia anterograda che gli impedisce memorizzare ciò che accade ogni giorno e una forma di amnesia retrograda che ha cancellato quasi totalmente i suoi ricordi fino alla fine degli anni quaranta. Jimmie vive in un mondo che ricomincia da capo ogni pochi secondi, all’infinito, senza mai lasciare un segno. Jimmie rimarrà convinto per tutta la sua vita di essere un giovane marinaio americano appena uscito dalla Seconda Guerra mondiale, forte e con un sacco di progetti ancora da realizzare. Che cosa saremmo noi senza memoria?
La memoria è l’ossessione del nostro tempo. La nostra esistenza passa attraverso la nostra memoria e la memoria di qualcun’altro. Fin da bambini, ricordare la lezione e sperare che la mamma non dimenticasse di venirci prendere a scuola erano pensieri costanti. Ma possiamo ancora fidarci della nostra memoria, quando centinaia, migliaia, forse milioni di oggetti, messaggi, colori, suoni si presentano ai nostri occhi, ogni giorno, intasando la nostra attenzione? Riuscirà il nostro cervello a modificare le sue procedure in modo da stare dietro a queste nuove condizioni? O finiremo per essere sopraffatti, ammutoliti di fronte all’enorme massa di conoscenza che non riusciamo più a digerire?
La mente grassa
Tutto è cominciato con le esplorazioni. «Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza» fa dire ad Ulisse, Dante, per convincere i compagni che è necessario varcare i confini della propria vista per poter dirsi superiori alle bestie. E così gli imperi si allargano, le navi salpano. In patria torna una massa enorme di storie, miti e informazioni. Quei luoghi sconosciuti che i cartografi d’epoca romana liquidavano con un laconico Hic Sunt Leones (qua ci stanno i leoni e i leoni, si sa, meglio lasciarli in pace) diventano paesaggi, fauna, frutti, animali esotici. E popoli, linguaggi, tradizioni, miti, credenze religiose. Ognuna di quelle storie è un colpo alle certezze tradizionali. Sono umani? Esistono gli dei in cui credono?
Per poter comunicare, commerciare bisogna modificare la propria lingua, renderla adattabile alle nuove esigenze, ai nuovi accenti. I greci di Alessandro la chiamavano Koiné, la lingua comune, bastarda, linguaggio di tutti e di nessuno che permetteva di entrare in contatto con gli “altri”. Così venne la Lingua Franca il dialetto arabo turco genovese provenzale che parlavano i marinai del Mediterraneo, e l’ Yiddish, Lo Spanglish e le altre lingue spurie. Nuovi nomi, nuove geografie, nuovi equilibri che richiedono una adattabilità che il mondo antico non riusciva neppure ad immaginare. E che richiedono memoria. Le cronache diventano cronaca, nascono i giornali che “giornalmente” informano. Prima sul circondario e poi sula politica internazionale. Così quando la famiglia reale del Nepal viene sterminata lo veniamo a sapere, così quando l’Infanta di Spagna sposa un atleta basco lo veniamo a sapere e capiamo che è una notizia, perché conosciamo la Spagna, la monarchia, il problema dei Paesi Baschi.
La biblioteca interna ha bisogno di spazi sempre più grandi e la fila di nuove informazioni da archiviare si allunga. il tempo per processarle diminuisce. Internet accelera il fenomeno. La nostra personale biblioteca non ce la fa più.
Uno solo
Che il nostro cervello riesca, fisiologicamente, ad adattarsi alle nuove condizioni è piuttosto improbabile. I tempi di adattamento del corpo umano si pongono nell’ordine delle migliaia di anni. Secondo alcuni studiosi, malgrado il BigMac Menu con il suo carico di grassi idrogenati sia sulla piazza da diverse decine di anni, il ritmo del nostro metabolismo assomiglia a quello di un cacciatore-raccoglitore di diecimila anni fa. La nostra pancetta è un regalo del disallineamento tra le abitudini (maggiore disponibilità di cibo, maggior concentrazione di valori nutritivi e una minore attività) e il ritmo con cui il nostro corpo concepisce l’assimilazione. Malgrado i numerosi ristoranti MacDonald disponibili nel mondo, il nostro fisico si ostina a raccogliere riserve per il “non si sa mai”. Sta succedendo una cosa simile alla memoria. Una maggiore disponibilità di dati e un minor tempo per elaborarli (la ginnastica mentale che richiede l’interpretazione e l’archiviazione) ed ecco che ci troviamo circondati da una quantità di informazioni che non riusciamo più a digerire.
Il cervello, nella struttura fisiologica e di conseguenza nelle modalità, si evolve più lentamente. Così come la riserva di grasso che ci si deposita sui fianchi non verrà sfruttata tra un pasto e l’altro, così la raccolta di informazioni grezze non avrà il tempo di essere metabolizzata tra un click e l’altro. Informazioni che si riducono a pezzi di un puzzle che non si ha il tempo di far combaciare. Sono come i frutti di Unnecessary Knowledge, il sito che a ogni refresh della pagina offre una nuova pillola di saggezza (come “elephant cannot jump”, “snails can sleeps for three year”) insolubile, inutilizzabile, decontestualizzata. Una sorta di placebo per la nostra sete di conoscenza. Forse è tempo di considerare una dieta drastica, un’ecologia della mente (come la chiamava Gregory Bateson) che ci rimetta in forma. Ecco tre diete per ripulire le arterie dal colesterolo del sapere. Si chiamano: Ricordare tutto, Ricordare a Caso, Dimenticare Sereni. Tre diete da usare con parsimonia e buon senso.
Ricordare tutto
Il signor S. chiese ad Aleksandr Lurija, il più grande neuropsicologo dell’epoca, che misurasse la sua capacità mnenomica, perché aveva il sospetto che fosse fuori scala. In effetti la sua capacità i ricordare fu riconosciuta straordinaria. Datagli una matrice di numeri e lettere composta senza un ordine, non solo il signor S. fu in grado di ricordarla dopo sedici anni, ma arricchì il ricordo con dettagli dell’abbigliamento del dottor Lurija e del tempo atmosferico del giorno in cui vide la matrice per la prima volta. La mente del signor S. era uno straordinario archivio nel quale ogni parola, ogni numero, ogni dato non erano solo un suono e un senso, ma anche un’immagine, una forma, un odore, un colore. Ogni cosa che entrava nella mente del signor S. diventava un vero e proprio spettacolo. Ricordare per il signor S. significava fare una passeggiata all’interno di paesaggi interessanti e coerenti. Che teneva vividi e ben ordinati come un giardiniere cura il proprio paesaggio. Come in un grande videogioco.
Per decenni i videogiochi sono stati un divertimento pensato e sviluppato per un pubblico di giovani maschi. I produttori non hanno potuto che starsene a guardare dalla finestra quell’enorme popolo di adulti non giocatori, in maggioranza donne, che non riuscivano neppure a sfiorare. Quando Nintendo ha compreso che l’unico modo per sopravvivere alla concorrenza dei colossi Sony e Microsoft era dribblare le altre console ha investito proprio su quel pubblico considerato impossibile. E lo ha fatto con due idee. La prima è un modo di giocare corporeo, che non costringe il giocatore a starsene seduto su una sedia ad amministrare le capacità di un alchimista di World Of Warcraft decifrando procedure e dettagli fantasy. L’altra chiave è il Dottor Riuta Kawashima e il suo Brain Training.
In un’epoca di performance anche il cervello è percepito come un muscolo da allenare. Un cervello ben allenato permette di affrontare le sfide quotidiane con efficacia. Da queste considerazioni nasce il fitness delle meningi. Secondo una ricerca citata da Scientific American-Mind, nei soli Stati Uniti il giro d’affari per il brain fitness è cresciuto dai 100 milioni di dollari del 2005 ai 225 del 2007. È il territorio di una messe di software, segmentati per varie necessità: manager, commuters, anziani, bambini problematici a cui è stata diagnosticata l’Adhs (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). L’obiettivo del fitness della mente è quello di conservare la brillantezza delle connessioni sinaptiche e sviluppare la memoria. È la strategia per combattere quella sensazione di sconforto e impotenza, quando ci si prova a contare quante email giacciono non lette e quante nostre richieste sono state dimenticate da chi ci circonda. E quante segnalazioni su YouTube non abbiamo ancora visionato. E quanti link non abbiamo ancora visitato. E quanti degli ottantamila volumi che sono stati pubblicati l’anno scorso solo nel nostro paese non abbiamo ancora letto. E che dire dei cinque quotidiani che bisognerebbe consultare ogni giorno per garantirsi una informazione obiettiva? Tutti i pezzi di un puzzle che non trovano posto. Ci vuole un cervello da record olimpico, che esercita il suo allenamento ogni giorno.
D’altra parte non basta avere un cervello allenato per tenere tutto in ordine. Ci vuole un metodo. La mnemotecnica è un’arte antichissima di cui ha discusso anche Aristotele. Tra le più diffuse è la tecnica di trasformare i ricordi in immagini, in luoghi nei quali ogni dettaglio è un pezzo da ricordare. Così come il Signor S. ripercorreva intere vie di città a lui familiari nelle quali aveva incastonato i ricordi, la nostra memoria può diventare uno spettacolo a nostro solo beneficio.
Ricordare a caso
Con un po’ di esercizio, con un po’ di fantasia possiamo dunque buttare giù un po’ di chili. Ne potremmo buttare giù molti di più se la nostra vita fosse fatta di oggetti e concetti ben divisi e riconoscibili. Il fatto è che molto di quel che facciamo scivola sua una base irrazionale, difficile da definire. La rete internet è uno strumento innestato su una solida base razionale. Basta vedere come in qualunque sito web che si rispetti farà la sua bella figura uno campo di ricerca. Definite ciò che cercate, scrivetelo e lasciate che sia il sistema a lavorare per voi.Uno strumento perfetto per quando si sa esattamente quello che si vuole. Ma che cosa capita in quei giorni in cui tutto sembra un po’ più opaco, più indeciso, in cui è massima la disponibilità nel “fare qualcosa”. Quei giorni nei quali si userebbero espressioni del tipo: vorrei un paio di jeans che mi facciano sembrare più giovane, vorrei un libro che mi facesse vivere tempi che non ho vissuto, vorrei mangiare qualcosa di fresco. Quale motore di ricerca risponde a queste domande?
Una volta si chiamavano Sistemi Esperti. Si sperava di creare software così sofisticati e complessi da poter sostituire l’anamnesi medica, almeno nei casi più lievi. Rispondi a due o tre domande e il sistema avrebbe elaborato, attraverso una serie di rimandi e collegamenti “intelligenti”, una terapia semplice ma efficace. Ma questi Sistemi Esperti non sono diventati abbastanza esperti e il mio medico di base passa ancora il suo tempo a salvare i pazienti da mal di testa, indigestioni e infreddature di stagione. Meglio affidarsi all’istinto.
Nella mia città le bancarelle e i negozi di libri usati abbondano. Ciò che rende l’acquisto “da bancarella” interessante è il fatto che siano i libri a cercare me, piuttosto che il contrario. Il miglior atteggiamento col quale affrontare un bouquiniste è l’abbandono. Non cercare ma lasciarsi trovare. Spesso ciò che si trova sono edizioni vecchie, testi di argomenti demodé, piccoli tesori che vi faranno vivere incontri inaspettati, immagini laterali, improvvise e a volte spiazzanti. Come nel regno di Serendip, l’antico Sri Lanka, dove secondo una antica leggenda persiana, riscoperta da Walpole, tre prìncipi fanno scoperte attraverso incontri casuali. È la serendipity, appunto. È la navigazione casuale, fortuita del surfing. Si comincia da un punto di partenza e si finisce a seguire in maniera più o meno casuale i link che ci si presentano, costruendo un sentiero cognitivo che assomiglia al percorso degli esploratori che scoprirono le sorgenti del Nilo. Un salto qui, un salto là da qualche parte si arriverà.
È, più o meno, l’idea di StumbleUpon (letteralmente “inciamparci”) un servizio per cui, definendo un certo numero di aree di interesse, vengono “pescati” siti che possono corrispondere all’interesse. Con un certo grado di probabilità ben lontano dall’esattezza. Lo avevano capito Larry Page e Sergey Brin, fondatori di Google che probabilmente stufi di vedersi passare sotto gli occhi miliardi e miliardi di pagine web che scorrevano nelle vene del loro motore di ricerca aggiunsero il pulsante I Feel Lucky, mi sento fortunato. Dove porta quel pulsante? Dipende dalla vostra fortuna.
Dimenticare sereni
Anche la dieta del Ricordare a caso necessita di un buon allenamento. StumbleUpon per funzionare ha bisogno di un bel po’ di chilometri di segnalazioni. Se lo sport non fa per voi c’è sempre la dieta della semplice rinuncia. «Per decenni i computer ci hanno aiutato a ricordare. Ora è il tempo che ci aiutino a ignorare.» Così scrive Cory Doctorow in Internet Evolution. «L’unica risposta è migliori modi e migliori tecnologie per ignorare – un campo di ricerca appena nato ma con un enorme potenzialità di sviluppo.»
È ora che impariamo a dimenticare e a dotarci di strumenti che interrompano l’incessante stimolare delle meningi e ci aiutino a focalizzare, a selezionare, a cancellare dall’orizzonte non solo ciò che è “rumore” ma anche ciò che, pur molto interessante, può appesantire il nostro bagaglio di conoscenza.
Come per i due principi della filosofia hobo, i vagabondi americani dell’epoca della Depressione: sempre in movimento e tutto ciò che posseggo lo porto addosso. Ora, mentre scrivo questo articolo ho attivato la modalità Full Screen. Sullo schermo del mio laptop non rimane che il foglio bianco e le parole che sto mettendo in fila. Tutto il resto è scomparso dietro un gran telo nero. E così mi posso trovare nelle condizioni in cui Cartesio compose il suo Discorso sul Metodo: «L’inizio dell’inverno mi colse in una località dove, non trovando compagnia che mi distraesse, e non avendo d’altra parte, per mia fortuna, preoccupazioni o passioni che mi turbassero, restavo tutto il giorno solo, chiuso in una stanza accanto alla stufa, e qui avevo tutto l’agio di occuparmi dei miei pensieri».