In Italia il Ministero delle Comunicazioni ha deciso, poche settimane fa, di aprire le consultazioni sull’impiego delle tecnologie wireless LAN in aree non confinate, dopo molte pressioni da parte dell’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) e di quella dei Provider Indipendenti (Assoprovider).
Le associazioni dei provider di accesso, infatti, hanno in mente soprattutto la copertura del cosiddetto “ultimo miglio” in banda larga, la parte finale della catena di comunicazione digitale che arriva sino all’utente, con mezzi alternativi rispetto al cavo, in rame o fibra, che non solo sono antieconomici nell’80 per cento dei comuni italiani ma sono anche sotto lo strettissimo controllo di un pugno di fornitori di accesso. Mezzi alternativi vuol dire in particolare collegamenti senza fili, e Wi-MAX da questo punto di vista appare come l’ideale.
Nel corso dell’ultima parte degli anni ’90 diverse aziende avevano tentato con poco successo di creare tecnologie di rete wireless ad alta velocità e soprattutto con raggio d’azione di almeno alcuni chilometri, ispirandosi a quanto si stava facendo sul breve raggio, con quello che sarebbe poi diventato il Wi-Fi. Alla vigilia del nuovo millennio i tentativi erano arrivati all’IEEE, l’organismo americano di standardizzazione delle reti, che nel 2002 pubblicò lo standard in materia, l’802.16.
Le specifiche prevedono un sistema per connessioni wireless punto-multipunto fisse in grado di operare a frequenze comprese tra 10 e 66 GHz con velocità superiori ai 70 Mbit/secondo e su distanze massime di una cinquantina di chilometri. A parte il fatto che la stazione trasmittente e quella ricevente devono essere in linea di vista per funzionare, le specifiche comprendono un menù di scelte possibili molto vasto per realizzare prodotti ad hoc. Per fare solo un esempio, sono consentiti sia la divisione di tempo (come nei vecchi cellulari), sia la divisione di frequenza, e almeno due diverse ampiezze di canali.
A causa di questa articolazione, garantire l’interoperabilità di prodotti formalmente “standard” non sarebbe stato facile, per questo, subito dopo l’approvazione dello standard, venne costituito il consorzio Wi-MAX tra le aziende interessate al settore, proprio per mettere a punto “profili” di attuazione dello standard e relativi test di conformità (come la Wi-Fi Alliance da tempo faceva in campo 802.11). Altro obiettivo del consorzio è naturalmente quello di gruppo di pressione in direzione da una parte degli organismi di standardizzazione (IEEE), dall’altra delle autorità di regolamentazione nelle telecomunicazioni (in primis l’americana FCC ma anche le controparti europee e internazionali, come l’ITU). Infine, Wi-MAX agisce come “camera di compensazione” delle rivalità tecnologiche tra aziende.
Con relativa velocità Wi-MAX ha definito i profili e i test per l’802.16 e subito è passato a lavorare sulla nuova versione che l’IEEE, sotto la sigla 802.16a. Rispetto all’802.16 “classico” e corrispondenti profili Wi-MAX, questo nuovo standard ha due vantaggi principali: non richiede che le trasmittenti siano in linea di vista e lavora tra 2 e 11 GHz, nel cui ambito esistono molte bande di frequenza di libero uso. Armati con le prime versioni dei profili di compatibilità, i prodotti 802.16a Wi-MAX stanno iniziando ad arrivare sul mercato. L’ondata principale è attesa per i primi mesi del 2005, quando Intel andrà in volume con le consegne dei propri chip per i profili del Wi-MAX 802.16a.
A questo punto il futuro sembrava stabilito per Wi-MAX, lanciato a realizzare reti a media distanza (30-50 chilometri) a velocità di 70 Mbit/secondo (anche se lo standard permetterebbe di salire fino a 268 Mbit nelle due direzioni), sempre comunque con le stesse limitazioni del Wi-Fi, per esempio quanto a collocazione delle antenne e a sensibilità agli agenti atmosferici. Ma Wi-MAX e anche IEEE non avevano pensato a cosa avrebbe fatto l’FCC. E qui sta la sorpresa.
Le sorprese dell’FCC
Prima il presidente della commissione, Michael Powell, figlio di Colin, ha proposto di liberare un’altra porzione dello spettro intorno ai 3,7 GHz. Poi ha fatto capire che faceva sul serio. Con un blitz ha riallocato una serie di utenze governative sulla banda dei 2,3 GHz, liberando quella precedentemente occupata dei 1,7 GHz per dedicarla a generici Advanced Wireless Services non regolamentati. Sembra poco, ma la barriera dei 2 GHz era stata infranta.
E poi il vero colpo: ha proposto di riallocare un gran numero di canali nelle bande VHF e UHF, già ora poco utilizzate e nel futuro sempre meno. Si tratta, infatti, delle frequenze della televisione terrestre analogica tradizionale, destinata a essere sostituita dal digitale terrestre.
Ma l’FCC non si è fermata qui: ha deciso di non attendere che le stazioni televisive abbandonino totalmente le frequenze VHF/UHF, un processo che si prevede sarà lungo e rallentato dalle resistenze dei broadcaster. Contestualmente ha infatti deciso di avviare il lavoro per definire una o più tecniche per consentire l’uso dello stesso canale senza interferenze, in altre parole per realizzare apparecchiature di rete in grado di evitare le frequenze già occupate da un segnale televisivo. Questo significa che l’utilizzo per la trasmissione dati dei canali televisivi può iniziare a breve termine, tra due-tre anni.
L’FCC ha ufficialmente affermato che il proprio metodo preferito per evitare interferenze si basa su un database centralizzato, su un servizio automatico di notificazione e sul GPS. Un ricevitore o trasmettitore di rete individuerebbe la propria posizione con il GPS, farebbe in automatico una interrogazione al database per confrontare la situazione frequenze nella propria posizione e adatterebbe la frequenza di trasmissione di conseguenza.
A questo punto l’IEEE è rientrata in gioco stabilendo un nuovo comitato, l’802.22, dedicato alla “cognitive radio”, un sistema per evitare le interferenze che usa uno schema decentrato, in cui le singole apparecchiature di rete prima di impegnare una frequenza “ascolterebbero” lo spettro elettromagnetico per scegliere su che canale operare. Per una serie di motivi, non ultimi il fatto che un segnale in UHF viaggia per molti chilometri con un’attenuazione graduale e che un segnale abbastanza forte da portare dei dati può essere di un paio di ordini di grandezza più debole di quello necessario a portare una trasmissione televisiva, probabilmente lo standard 802.22 utilizzerà un misto dei due metodi, centralizzato e decentralizzato. La cosa non sarà semplice, ma si tratta di problematiche tecniche, e quindi superabili con i giusti investimenti in ricerca e sviluppo.
Quanto a che tipo di rete viaggerà sui nuovi canali, le opinioni sono discordanti. Il comitato 802.16 e il consorzio Wi-MAX fanno notare che il loro standard è sufficientemente flessibile da potere utilizzare anche i canali televisivi “stretti” (6 MHz) del VHF/UHF. Wi-MAX su UHF avrebbe una serie di vantaggi notevoli. Innanzitutto il raggio di trasmissione sarebbe molto elevato, dell’ordine delle molte decine di chilometri, anche centinaia in certe situazioni, per le stazioni fisse e contemporaneamente con un grado di penetrazione nelle strutture fisse (edifici) e resistenza alle condizioni ambientali (alberi, pioggia, neve, vento) molto elevati. Poi c’è il vantaggio dei costi (trasmettitori e ricevitori VHS/UHF sono tra i componenti più a basso costo sul mercato). Infine, uno standard di “cognitive radio” può funzionare oltre che per evitare le interferenze anche al contrario, ossia per identificare il tipo di segnale disponibile più potente: da qui a apparecchiature di rete universali in grado di scegliersi lo standard migliore secondo la propria collocazione e del traffico elettromagnetico il passo tecnologico non è enorme.
Per approfondire tutti questi argomenti, l’appuntamento imperdibile è al WLAN Business Forum di Wireless, il 24 novembre presso il Centro Congressi Crowne Plaze Milan-Linate di San Donato.