L’argomento è stimolante e vastissimo e il legame tra immagini e conoscenza è sicuramente profondo e non del tutto spiegato, tanto per la forma quanto, più spesso, per i contenuti. Alcuni spunti per riflettere possono partire da molto lontano…
Zenone
Risalgono a Zenone di Elea alcuni celebri paradossi che hanno in comune un argomento attualissimo: è possibile definire in modo fisico-matematico che cos’è la continuità e che cos’è il movimento? La corsa di Achille dietro la tartaruga può essere vista come un succedersi di immagini: Achille giunge dove si trovava la tartaruga, che nel frattempo si è spostata un poco più avanti, dopo di che Achille ancora giunge dove si trovava la tartaruga, che però nuovamente è avanzata…
Nella realtà, Achille supera di volata la sua lenta avversaria, ma nell’analisi del fenomeno c’è qualcosa di imprevedibile. Zenone, col suo maestro Parmenide, giunge ad affermare che, contro ogni evidenza, è il movimento a essere illusorio.
Nell’apparenza, infatti, la realtà è continua, cioè basata su una fluidità reciproca tra spazio e tempo, ma quando si cerca di definire questa continuità si scopre di dover cercare di definire due concetti estremamente sfuggenti: l’infinito e l’infinitamente piccolo, l’infinitesimo. Nella matematica classica, assumere che l’infinito esista equivale ad assumere che anche gli infinitesimi siano elementi su cui eseguire calcoli. Il paradosso di Zenone non è dunque un paradosso, perché grazie all’infinitamente piccolo possediamo lo strumento concettuale per definire il movimento: è infatti possibile sommare gli infinitesimi, che diventano gli elementi invisibili della continuità; Achille non ha davvero problemi a raggiungere e superare la tartaruga. (*)
Tra le conseguenze di questo ragionamento, risulta che una linea continua è la somma di infiniti punti, che di per sé non sarebbero misurabili. Risulta anche che due segmenti di diseguale lunghezza sono costituiti entrambi, sorprendentemente, dallo stesso infinito numero di punti.
Approssimazioni
Quanto vale la radice quadrata di 2? Il risultato “visibile” esiste, è la lunghezza della diagonale di un quadrato di lato 1. Ma se ci mettessimo a misurare con strumenti anche molto precisi la diagonale di un quadrato di lato 1 cm. difficilmente andremmo oltre un valore approssimato di 1,41 cm. Proviamo allora con la calcolatrice sul nostro tavolo: 1,414213562. La calcolatrice ha approssimato il valore a sua volta, ovvero si è fermata quando il totale delle cifre era uguale a dieci, un limite imposto dalla sua programmazione. Se lasciassimo lavorare liberamente un PC o un mainframe, o anche un essere umano molto abile, per definire ulteriormente il risultato, esso risulterebbe continuamente aggiornato e precisato, ma non sarebbe mai davvero concluso, neppure dopo qualche secolo di lavoro.
La matematica classica rifiuta le approssimazioni, ma lavora come se quei valori fossero finiti, utilizzando a tal fine nozioni sintetiche, che possono anche avere evidenza grafica, come la lineetta sovrapposta a una cifra per indicarne la periodicità. Il numero irrazionale, infinitamente lungo, che rappresenta la radice di 2, moltiplicato per un numero analogo che rappresenta la radice di 8 (2,828427125) dà come risultato un numero intero, 4, perché una regola matematica ci dice che la radice di 2 per la radice di 8 deve dare un risultato equivalente alla radice di 2 x 8 = 16. Ma se dovessimo davvero calcolare entrambi i valori da moltiplicare, non ci basterebbe la durata temporale del sistema solare.
Si può intravedere in queste considerazioni elementari una sorta di strategia di fondo: la matematica classica, ma non Zenone, preferisce le teorie e i simboli alla pratica. Nessun matematico scriverà mai 1,414213562 vicino al segmento che individua la diagonale di un quadrato di lato 1, e neppure 1,41: scriverà solo e soltanto √2.
Sistemi discreti…
Una linea tracciata con la matita è un sistema continuo; le estrazioni del lotto, numero per numero, sono un sistema discreto (ovvero discontinuo). Come già s’è detto, la matematica classica ha leggi che prevedono l’esistenza di sistemi continui, e sono sistemi continui tutti i sistemi della geometria classica.
Nel mondo digitale (dall’inglese digital, che in un italiano più autonomo dovrebbe tradursi numerico) non esistono invece sistemi continui. La definizione geometrica classica per cui il punto non è misurabile, in informatica è assurda: il punto informatico è misurabile, esso è l’unità di misura e coincide, visivamente, con il pixel dello schermo o, numericamente, con il bit del processore.
Lo studio di una funzione continua, come una retta o una parabola, non è possibile per un sistema discreto come quello informatico: la sua natura digitale e analitica costringe i programmatori e i programmi a ridurre sempre la linea ad un insieme di punti, ottenendo i migliori risultati quanti più sono i punti. La scelta del momento in cui porre uno stop, perché si ritiene di avere individuato abbastanza punti, dipende da ciò che si vuole ottenere: è intuitivo che in scenari diversi, ad esempio in quello finanziario, dove spesso bastano le unità di valuta se non i loro multipli, e in quello fisico, dove a volte non bastano venti cifre decimali per essere esaurienti, le cose saranno, appunto, diverse. Il sistema digitale non accetta comunque nozioni sintetiche, semmai può essere corretto con ulteriori programmi che simulino l’approssimazione normalmente effettuata dagli esseri umani (l’arrotondamento per eccesso o per difetto rappresenta un caso tipico).
Può non sembrare, ma si tratta di una rivoluzione, perché da almeno 40 anni l’informatica è diventata l’anima stessa della tecnologia, del progresso e dell’economia e quindi le sue caratteristiche intrinseche sono giocoforza divenute elementi portanti della cultura contemporanea. La fine della matematica e della fisica classiche, basate sul concetto di continuità, non può non significare un fatto e un momento esplosivi per i nostri tempi. Se si ricorda che tutti i filosofi europei, fino al XVIII secolo circa, erano di norma anche dei matematici, l’argomento dovrebbe rappresentare un tema di grande interesse per entrambi i campi, quello scientifico e quello umanistico, soprattutto se si ragiona che tale rivoluzione si affianca, forse non a caso, ad altre novità culturali di fatto simili.
…e altri scenari
Se, infatti, la realtà delle cose fosse davvero continua, la nostra conoscenza di essa sarebbe sempre vincolata dai nostri limiti di esseri senzienti. E se si ragiona con un minimo di buon senso, è più facile immaginare una linea come una somma di molti trattini, piuttosto che come un’astratta e inconcepibile estensione di infiniti e incorporei punti.
Nella produzione artistica, sono esistite tecniche di tipo discontinuo sin dall’antichità, tra le quali quella del mosaico descrive con efficacia visiva il concetto fin qui affrontato astrattamente. Le figure costruite dai grandi mosaicisti soprattutto di epoca classica e medioevale non sono altro che una straordinaria manifestazione di discontinuità. Lo stesso vale per la tecnica pittorica ottocentesca del puntinismo, che deriva dall’impressionismo, e lo stesso vale per l’immagine riprodotta su uno schermo televisivo. In totale antitesi, ma con esito di interesse complementare, sono le ricerche di futuristi come Boccioni, che cercarono di riprodurre la continuità e la durata nel tempo utilizzando la similitudine dei fluidi e della dissolvenza.
Ma ci sono altri esempi: il cinema nasce nel 1895, l’animazione è ottenuta attraverso lo scorrimento di alcuni fotogrammi proiettati in rapida sequenza, è un sistema discreto. Utilizzando la semplificazione cinematografica, Achille in un fotogramma è ancora dietro la tartaruga e nel successivo le sta davanti; in questo modo si eliminano tutte le possibili intermedie frazioni del tempo, non per approssimazione ma perché semplicemente in questo sistema non esistono.
Attraverso qualche forzatura concettuale, si può anche notare che la grande letteratura ottocentesca basata sulla struttura del romanzo (che possiamo considerare una struttura fortemente articolata, ma continua) non si è evoluta nel Novecento, quando le tecniche dell’avanguardia, le sperimentazioni linguistiche e soprattutto l’impossibilità di descrivere in modo sintetico la molteplicità del reale, hanno portato a una frammentazione estrema dell’idea stessa di narrazione. E il paragone è ancora più calzante in ambito musicale, dove il passaggio dalla composizione sinfonica, classica, armonica, alla composizione moderna, dodecafonica, atonale, sperimentale, è sicuramente un clamoroso caso di affermazione del frammento contro la continuità, delle singole note contro gli accordi prestabiliti.
Le immagini sullo schermo della televisione e del PC
La cultura moderna appare quindi avviata verso una sempre più marcata differenziazione della conoscenza, al punto che davvero non è concepibile un Leonardo dei nostri giorni, un uomo cioè che eccella in svariate discipline e che rappresenti fisicamente il modello del sapere.
Alla fine del Novecento l’informatica si è proposta come scienza basata sul discreto, sulla totale discontinuità del reale. La geometria costruita sulla matematica del continuo non esiste in informatica, esiste invece una geometria (e quindi una visibilità descrittiva basata su questa geometria) che si basa su punti concreti, i pixel del monitor o i dot della stampante.
Lo schermo televisivo si comporta nello stesso modo; è nato già nella prima metà del secolo scorso, ma inizialmente ha rappresentato soltanto una “brutta copia” dello schermo cinematografico: in effetti la qualità delle immagini era ben diversa. Oggi invece si tende quasi a confonderne i ruoli, strumento di comunicazione legato alla televisione e/o molteplice utensile legato al personal computer.
Non si tratta di vera confusione tuttavia: Internet è uno strumento di comunicazione diverso, ma ugualmente potente rispetto alla televisione; l’integrazione, nel senso di una compatibilità più accentuata, tra i due sistemi è prossima ed auspicabile. Quello che resta diverso è l’utilizzo degli apparecchi, e per ora, nonostante vari tentativi già fatti da varie industrie e nonostante l’esempio primitivo dei computer che utilizzavano come monitor il televisore stesso, l’avvento di una computer-TV, in grado di fare tutto quello che attualmente fanno un PC e un televisore, non sembra imminente.
Le immagini appaiono in modo simile sugli schermi del PC e della televisione. Così come la successione dei fotogrammi nel cinema, anche l’immagine digitale non è davvero fluida; lo può sembrare nel variare illusorio dei quadri e può esserlo nell’alternarsi egualmente illusorio delle situazioni. Ma di illusioni si tratta. (**)
L’illusione del movimento riprodotto nella sua straordinaria complessità e l’illusione della continuità finalmente svelata: su queste finzioni sembriamo appoggiarci per credere a un mondo di favole. Ma non di illusioni si tratta, bensì di semplificazione, e non di finzioni, ma di simulazione. Le rette della teoria euclidea sono composte da infiniti punti, ma quelle del computer, se si possono ancora chiamare con lo stesso nome, sono più limitate e molto meglio calcolabili. Davanti all’infinità del reale e del cielo stellato, il matematico-filosofo ancora si stupisce, ma l’informatico, ignorandone l’essenza profonda, la riconduce a dimensioni concrete. Come ne “l’Invenzione di Morel”, il celebre racconto di Bioy-Casares, allora, la realtà potrebbe finire per esistere più nelle immagini riprodotte, e riproducibili, che in quelle impresse nella nostra rètina e nella nostra memoria.
Note:
(*) Il concetto di infinito era già stato intuito prima di Zenone; le argomentazioni del filosofo tendono proprio a mettere in discussione quel concetto: se non riusciamo a uscire dal circolo chiuso dell’avvicinamento di Achille alla tartaruga, questo vuol dire che il movimento è illusorio e la realtà delle cose è statica e non dinamica. Infatti, posto in questi termini, il problema non si risolve ed è solo e soltanto su questo paradosso logico che voleva discutere Zenone.
Tuttavia, si è spesso fatta confusione nella descrizione del paradosso di Achille, finendo per sottintendere, in certe spiegazioni di puro stampo retorico, che il problema matematico consista nel determinare il momento esatto in cui Achille raggiunge la tartaruga e che ai tempi di Zenone tutto ciò non fosse ancora determinabile. Cosa del tutto falsa. La soluzione è infatti davvero semplice e richiede un minimo di nozioni matematiche (risoluzione di un sistema di primo grado): il punto in cui Achille, che parte da un punto zero, si sovrappone alla tartaruga sia nel tempo che nello spazio, si trova a una distanza ab/(b-1), dove a è il vantaggio della tartaruga e b il coefficiente di maggior velocità, espressa in metri al secondo, di Achille rispetto alla tartaruga. Se Achille è 5 volte più veloce e la tartaruga ha 8 metri di vantaggio, l’impatto avviene a 10 metri dall’origine (a=8, b=5, ab/(b-1)=10) dopo 2 secondi esatti.
(**) Parte delle considerazioni qui esposte sono già state pubblicate come mio intervento nel Forum della rivista telematica di critica filosofica Kainos http://www.kainos.it/index01.html. Era infatti dedicato interamente all’Immagine il primo numero della rivista, al quale rimando per approfondimenti soprattutto in ambito teorico.