Si presume che dopo 2Spaghi, aNobii, Facebook, Flickr, Friendfeed, Geni, Google+, Instagram, LinkedIn, Miso, Orkut, Ping, Posterous, Shelfari, Tumblr, Twitter, Viadeo, Waze eccetera eccetera eccetera adesso sia il momento comandato di entrare in Pinterest.
Milioni di early adopter sono già in possesso di un account, sollecitano ad averne uno quella metà di popolazione mondiale presente nei loro contatti – per sette ottavi a loro insaputa – e inondano gli altri social media di considerazioni rigorosamente da veri digerati sulle nuove implicazioni del mezzo innovativo che rimodella il paradigma e impone la riflessione (inserire citazione obbligatoria da de Kerckhove o almeno un McLuhan trovato nei baci Perugina).
Pinterest ha se non altro nuovamente sensibilizzato le masse sul problema della tutela del copyright, con il proprio codice no-pin che Flickr, per fare un esempio, ha subito adottato, per disincentivare la razzia di immagini coperte da diritti.
Pinterest si è meritato l’appellativo ironico di porn for lonely women e la stampa italiana non ha aspettato un momento per selezionare i pornocloni del sito.
Su Tecnoetica sono stati sottolineati altri lati poco piacevoli di Pinterest, come la presenza di contenuti poco edificanti in tema di disturbi alimentari.
Più di tutto questo: la lista sopra è ovviamente tutt’altro che esaustiva. Quando leggeremo una ricerca sul numero di social network che è umanamente possibile seguire in modo producente, non importa se per la professione o il diletto? Quando apparirà un ranking aggiornato delle reti sociali secondo parametri utilità sociale, utilità lavorativa, ricchezza di interazione e potenziale trasformativo dell’umanità?
Perché stranamente, nell’era delle opinioni libere a costo zero, nessuno mai si alza a dire dal profondo del cuore che il social network X è considerabile alla stregua della fantozziana corazzata Kotiomkin.