Qualsiasi cosa si voglia intendere con “Web 2.0”, tale definizione è destinata a veleggiare ancora in lungo e in largo. Non solo nell’immaginario collettivo o nei titoli sbrigativi dei media tradizionali, ma anche e soprattutto nella miriade di applicazioni che caratterizzano la quotidianità di e su Internet. Questo il quadro ribadito dalla Web 2.0 Expo svoltasi la scorsa settimana al Moscone Center di San Francisco, attesa edizione primaverile dell’evento organizzato da O’Reilly Media e TechWeb che attrae regolarmente diverse migliaia di persone da ogni parte del mondo. Fu anzi la prima Web 2.0 Conference, tenutasi a inizio ottobre 2004 nella stessa città californiana, a far entrare nell’uso popolare il termine, coniato dall’editore Tim O’Reilly e meglio definito in un successivo saggio ormai entrato nella storia. Ben più che una semplice “buzzword” e pur con diverse interpretazioni o disaccordi sul suo significato, il Web 2.0 continua dunque a identificarsi con l’architettura della partecipazione espressa dalla Rete.
Non a caso il leit motiv della tre giorni è stata Internet come motore collettivo che macina all’infinito, il social networking in tutte le salse – scenario a cui contribuiscono parimenti i big high-tech e le molteplici start-up. Lo ha ribadito, ad esempio, la conversazione sul palco tra Marc Andreessen e John Battelle, con un excursus storico dall’epoca del primo browser, 15 anni fa, quando tutti erano fissati con i «500 canali della Tv interattiva… mentre il Web e Mosaic parevano solo progetti accademici rinnegati». Eppure da allora la metafora e la pratica del browser hanno vinto e convinto, fino ad imporsi come sistema multioperativo neutrale e aperto, l’ideale per la “open social platform” che è sempre più va divenendo l’Internet odierna. Dove bene s’innesta il lavoro dell’ultima creatura di Andreessen, Ning: 230.000 network privati, 1 milione di nuovi membri al mese e oltre 1.000 gruppi sociali lanciati ogni giorno – con un fondo cassa alquanto consistente, oltre 60 milioni dollari raccolti da vari investitori. Un successo che include la portabilità dei dati personali, al contrario di quanto (non) fanno altre piattaforme, pur se di fatto sono ancora pochi gli utenti che la richiedono, ha puntualizzato Andreessen.
E il futuro? «Non ho idea di che cosa accadrà», ha risposto il co-fondatore di Netscape. «L’evoluzione prosegue, e dopo questi 15 anni parecchie cose sono ancora in fase di sviluppo e molte altre sconosciute». Ugualmente positive vanno considerate certe operazioni – riferendosi esplicitamente alla saga dell’OPA di Microsoft nei confronti di Yahoo! – pur se d’altra parte «la frammentazione non è negativa, perché il punto rimane comunque creare opportunità per tutti, che siano riunite o meno in un unico agglomerato». Qui è uscito fuori il chiaro amore-odio per Microsoft, risalente all’epoca dell’attacco a testa bassa che scalzò definitivamente Netscape a favore di Internet Explorer e pur elogiando l’impegno di Ballmer & Co. nel portare il desktop alle masse nonché l’attuale rincorsa del Live Mesh che sembra (finalmente) trasferire la centralità del Pc al più aperto ambiente online – con annesse dimostrazioni nello stand della sala Expo.
Scenario su cui si è bene innestato il successivo video-intervento pre-registrato di Jonathan Zittrain che, rilanciando le tesi del suo libro fresco di stampa (The Future of the Internet), ha insistito sul fatto che per mantenere aperto e condiviso tale ambiente occorre allargare il coinvolgimento dei cyber-cittadini e l’offerta di servizi “community-based”, con aziende e sviluppatori attenti a realizzare sistemi generativi e multicanali in opposizione a quelli chiusi veicolati da noti gadget quali iPod e iPhone. Oltre che rimanere vigili su abusi e repressioni governativi da qualunque Stato provengano. Da notare che mentre veniva trasmesso il video è stato aperto un chat con lo stesso Zittrain a Londra, con una serie di veloci domande-risposte.
A integrare i due interventi precedenti ci ha poi pensato Mitchell Baker (Mozilla Foundation): la metafora del browser si è ampliata notevolmente, perchè «oggi non navighiamo semplicemente sul Web, ma creiamo e manipoliamo il Web… e quindi c’è bisogno sempre maggiore di proposte open source e filosofie alla Firefox». La cui esperienza va così estendosi ai device mobili, prossimo campo di battaglia del giro Mozilla. E su posizioni analoghe si attesta anche Yahoo!, il cui Cto ha annunciato sul palco del Web 2.0 Expo il primo pilastro del progetto di completa ristrutturazione in stile “bottom-up” intrapreso dal gigante di Sunnyvale. Si tratta di SearchMonkey, una beta che consente agli sviluppatori di alterare la presentazione delle ricerche, mentre Y!Open (come è stato battezzato il progetto complessivo) prenderà gradatamente corpo nei prossimi mesi: «Il sociale viene inteso come dimensione orizzontale, non destinazione finale», ha spiegato Ari Balogh. «Dal motore alle news a Flickr al Messenger, Yahoo! punta a realizzare strategie di sviluppo aperte, a trasformare in sociale l’esperienza di tutti gli utenti ».
Da ricordare tra gli altri l’intervento del finto Steve Jobs, al secolo Dan Lyons, giornalista di Forbes magazine, il quale ha riproposto ottime manipolazioni in Photoshop di noti personaggi (da Jobs a Ballmer a Ellison) e brevi video-parodia per illustrare le tappe del suo successo: 90.000 visitatori unici al mese sul blog, grande caccia online per scoprire la sua identità, un libro di recente pubblicazione, The Secret Life of Steve Jobs. Una sana ventata di ironia sull’hype tipica nel mondo high-tech e che colpisce un po’ tutti noi. Oltre alla presentazione in stile “long tail” di Matt Mullenweg, co-ideatore del popolare WordPress con «118 milioni di blog al mondo, di cui il 99,999% hanno meno di 10.000 pageview al giorno», e quella di CurrentTv, piattaforma globale di Web-Tv basata sul peer-to-peer il cui lancio italiano è previsto per l’8 maggio a Roma alla presenza del fondatore Al Gore.
Secondo Tim O’Reilly, invece, il futuro del Web 2.0 dovrà sempre più fare i conti con il suo “lato oscuro”. «L’accumulo dei PageRank e delle abitudini degli utenti sta dando vita a enormi database. Più grandi sono, meglio è. Google, Amazon, eBay vogliono accentrare i dati così raccolti in un unico luogo», ha insistito l’editore. «Il paradosso è che applicazioni progettate per creare network decentralizzati stanno portando alla tipica concentrazione di potere. Ecco perché nel prossimo strato di sviluppo si deve puntare all’interoperabilità e alla programmabilità del Web». Una contraddizione che in un certo senso ha fatto da sottofondo all’intero evento, tra 120 stand espositivi dove spiccavano i grandi nomi pur se misti a una frotta di piccole aziende, con poche novità tecniche di rilievo rispetto allo scorso anno, mentre i vari workshop sono spesso risultati approssimativi e/o centrati su specifici prodotti o servizi, in aggiunta alle presentazioni “sponsorizzate”.
In loco è stato così il connubio tra high-tech a business a farla da padrone, com’era d’altronde nelle attese, insieme a un’abbondante dose di information overload e mirando a offrire soprattutto how-to a sviluppatori e manager. Relegati in disparte i pochi mini-stand dedicati al non-profit, dove il più affollato si è confermato quello della Electronic Frontier Foundation, o le sessioni improvvisate in tipico stile BarCamp. E non di rado i presenti si rifugiavano nel proprio portatile, controllando la posta, navigando su siti di ogni lingua e fattura, chiacchierando in chat e tramite l’onnipresente Twitter. Altra frequentata distrazione la “blogger lounge”, ricca di sedie e luci professionali per le interviste di rito, Wii e massaggiatore per rilassarsi, ottime insalate di frutta e bibite a volontà. Ovviamente straripanti i party serali e gli eventi sparsi tenutisi in locali (e terrazzi sui grattaceli) nei paraggi.
Dentro e fuori la Rete, l’architettura della partecipazione continua insomma ad evolversi. L’importante è continuare a parlarne, anzi a parteciparne – come accadrà alla prossima Web 2.0 Expo, New York City, 16-19 settembre 2008.