“Sono ottimista sul futuro dell’economia.” Questa la sintesi del Bush-pensiero in queste giornate statunitensi. Giornate bollenti non solo per via di un’estate record ma anche e soprattutto per il dipanarsi di uno scenario finanziario dir poco preoccupante. Fin troppo ovvio il tentativo di mettere un coperchio ai recenti scandali che hanno affossato (temporaneamente?) Wall Street, e impedirne contraccolpi negativi. Ma le norme repressive contro le “sporche pratiche” dei manager non incantano né gli editorialisti né tantomeno il pubblico. Mentre puzzano di bruciato le difese (corporative e istituzionali) a spada tratta di Cheney e dello stesso Bush per analoghi comportamenti scorretti del passato. E a complicare ulteriormente le cose arrivano ora i bilanci trimestrali delle grandi aziende high-tech, anch’esse inguaiate fino al collo. Aziende che, pur se considerate uno dei motori trainanti dell’auspicata ripresa economica, faticano invece a risalire la china del flop digitale e risentono del clima generale poco felice.
Prendiamo ad esempio due pezzi da novanta quali IBM e Intel. La prima ha superato di appena un cent le stime degli analisti, riportando guadagni lordi di 84 cent ad azione per il secondo trimestre 2002. In realtà i profitti effettivamente elargiti toccheranno appena i 3 cent a titolo, con introiti complessivi inferiori ai 20 miliardi di dollari. Il tutto, si badi bene, alla vigilia delle massicce perdite già messe in cantiere e dovute alle ampie ristrutturazioni annunciate. Ancor peggio sta messo Intel: minori del previsto i ricavi (9 cent ad azione contro i previsti 11 cent), confermata la riduzione di 4.000 dipendenti entro fine anno, pari al 5 per cento della forza-lavoro totale e dopo aver già fatto lo stesso per altre 6.000 persone. Un andamento che il chief financial officer Andy Bryant ha così fotografato: “Prevediamo un incremento stagionale, ma abbiamo già dovuto ridimensionare il bilancio annuale. Non è ancora arrivato il momento della ripresa economica del settore.” Cos’altro aggiungere?
Forse che non è certo finita qui: Advanced Micro Devices, diretto concorrente di Intel, riporta secche perdite. A fronte di entrate lorde di 600 milioni di dollari, il bilancio è in rosso per oltre 180 milioni, con meno 54 cent ad azione. Da notare come lo scorso anno AMD riportò invece guadagni netti superiori ai 17 milioni, pari a cinque cent per titolo, con introiti lordi vicini al miliardo di dollari. Quale la causa? Una saturazione del mercato, ovvero la netta diminuzione nell’acquisto di nuovi PC. Rispetto allo stesso periodo del 2001, le vendite sono crollate del 35 percento, passando da 580 a 380 milioni di dollari, e addirittura del 44 per cento se paragonate al precedente trimestre dell’anno in corso (da 8 milioni di unità a 6 milioni). Qualche segnale positivo? Bè, Apple si accontenta di rispettare in pieno le previsioni di mercato, pur se opportunamente ridotte: incassi lordi di 1,43 miliardi, ricavi di 32 milioni, più 9 cent ad azione. Per un raffronto, queste le cifre del secondo trimestre 2001: 61 milioni e 17 cent i guadagni, con vendite all’ingrosso per 1.48 miliardi di dollari.
E il resto? In pareggio EMC, azienda-leader nel settore dei dispositivi per storage, area in cui l’utenza appare sempre meno disposta a spendere e ormai ricca di agguerriti rivali. “Break even” anche per Macromedia, grazie alla recente strategia di super-upgrade dei vari pacchetti. un attimo meglio vanno, nel mobile phone, Nokia con incassi in leggero in rialzo, ma azioni in discesa per le “delusioni” che si profilerebbero all’orizzonte degli analisti. Certamente meglio vanno i grandi produttori di software pro-sicurezza, Symantec in testa, con un balzo in avanti pari al 39 per cento rispetto all’anno scorso. Oltre 56 i milioni netti incassati, pari al 36 in più ad azione, rispetto ai 21 milioni in perdita e al meno 14 cent registrati nel secondo trimestre 2001. Trend in chiaro rialzo, quindi, confermato dal concomitante annuncio dell’acquisizione di tre società di settore (Recourse Technologies, Riptech, SecurityFocus). Last but not least, poco allegri i segnali arrivo anche dall’Europa. Il gigante tedesco del software SAP conferma il netto calo delle vendite (meno 23 per cento in totale, meno 13 per cento in nel solo mercato europeo), inferiori alle previsioni già calmierate del mercato, mentre in terra statunitense confermano la tendenza negativa altri diretti rivali quali Siebel Systems e i2 Technologies.
Senza infine dimenticare come al tutto vada affiancato il blocco sempre più diffuso degli investimenti in ambito info-tech, particolarmente nelle strutture medio-grandi. Nonché l’aria di crisi che si respira finanche tra dinosauri della stazza di AOL Time Warner. Non è certo un mistero come dopo la storica fusione, l’andamento economico del gruppo si sia rivelato un vero e proprio disastro. La caduta tanto inattesa quanto rapida di AOL — vuoi per saturazione del mercato vuoi per il drastico taglio pubblicitario che ha colpito il mondo digitale — ha portato a ripetuti insuccessi nei bilanci trimestrali, con conseguenti e ripetuti cambi al vertice. Dopo il direttore Gerald Levin, è toccato al chief financial officer Michael Kelly ed ora all’annunciato addio del chief operating officer Robert Pittman. Quest’ultimo opera attualmente anche in qualità di CEO ad interim dell’unità America Online, dopo l’abbandono primaverile di Barry Schuler, mentre gli unici due dirigenti ancora al loro posto iniziale rimangono Richard Parsons (CEO) e Steve Case (Chairman).Un balletto dirigenziale che non ha evitato comunque alle azioni del gruppo di scendere ai minimi storici, poco oltre i 12 dollari al pezzo. La linea di fondo rimane il rimpasto dei vertici a tutto favore della vecchia guardia, ovvero coloro provenienti dai più tipici ambienti degli “old media”. Ma resta da vedere se e quanto ciò possa tramutarsi in mosse davvero vincenti.
Anche perchè, appunto, sono proprio le grandi corporation (incluse ovviamente quelle high-tech) ad apparire stremate e alla disperata ricerca di soluzioni per risollevare le sorti di un’economia davvero a pezzi — checchè ne dica Mr. Bush e la sua coorte.