È cosa di tutti i giorni entrare in un negozio di elettronica di consumo e vedere lampade che si collegano alla rete, sistemi di videosorveglianza programmabili, droni, lucchetti e serrature Bluetooth eccetera.
Ci si può avvicinare alla nuova realtà da semplici e rilassati consumatori oppure guardare sotto il cofano e imparare ad autocostruirsi ciò che si desidera. L’autore del Manuale del maker domestico, da noi sollecitato, approfondisce e allarga il discorso.
Apogeonline: È passato qualche tempo dall’uscita del tuo libro su Windows 10 IoT Core. Come si è evoluto nel frattempo il panorama maker?
Pier Calderan: Mi piace pensare al fatto che la parola maker sia diventata ormai di uso comune, anche fra i non propriamente addetti ai lavori. Per farti un esempio, quest’anno una nota azienda di formazione mi ha incaricato di tenere un corso Arduino con la qualifica di coach maker. Il mio compito è stato insegnare Arduino presso due scuole medie allo scopo di creare due progetti IoT. Poi ho tenuto un corso IoT per neolaureati in ingegneria biomedica, destinati a lavorare per un’azienda del settore medicale, in cui mi è stato specificamente richiesto di insegnare Arduino e Raspberry Pi.
Posso dire di essere davvero contento di assaporare lo spirito che si respirava negli anni settanta e ottanta quando ho visto nascere i primi computer. Per me, la nascita di schede come Arduino e Raspberry Pi è stata come l’arrivo di aria fresca e voglia di fare e proprio nel momento in cui l’hobby dell’elettronica stava scomparendo. Mi ricordo di una serie di articoli che pubblicai nella rivista Computer Music nel 2006 in cui presentavo progetti di elettronica musicale e auspicavo il ritorno del fai-da-te. Per fortuna, poco dopo cominciò a diffondersi Arduino e l’idea del making, grazie anche alle Maker Faire americane.
Anche se le Maker Faire in Italia non sono numerose come in USA e nel resto d’Europa, sono prolificati i FabLab e i cosiddetti MakerSpace. E la novità più evidente è che quasi tutte le più importanti fiere di elettronica italiane hanno aperto spazi alle aree per maker. Sono sempre più numerosi anche gli eventi dedicati all’IoT organizzati dai grandi distributori di hardware. In base a questa tendenza, aziende e startup fanno sempre più leva su questi eventi per promuovere nuove idee prodotte dai maker. Non siamo ai livelli del periodo d’oro della Silicon Valley, ma lo spirito è quello giusto. Non so se nascerà mai una scuola o una facoltà di Maker, ma sono certo che avere nel proprio curriculum un’esperienza di maker rappresenti oggi quel valore in più che molte aziende iniziano a cercare.
Una parola sulla sicurezza, quella personale. Nel momento in cui adottiamo il fai-da-te per la telesorveglianza o la serratura programmabile, come facciamo a essere certi di avere fatto le cose bene? Soprattutto, come ci si fida dell’hardware che destiniamo a questi compiti?
L’hardware di oggi, come quello di ieri, va affrontato con il buon senso e una certa propensione all’hacking. I progetti elettronici che si trovano in rete o nei miei libri, seppur semplici e di facile realizzazione, vanno provati e riprovati e, spesso, adattati alle situazioni. Nei miei testi suggerisco sempre di fare molta pratica con l’elettronica e acquisire le basi minime della programmazione e della progettazione. Non basta seguire le istruzioni per il montaggio. Spesso bisogna modificare il codice e trovare soluzioni consone alla situazione. Solo l’esperienza insegna a far le cose per bene. Fortunatamente gli ambienti come Arduino e Raspberry Pi facilitano molto l’autoapprendimento e il fai-da-te e i circuiti, se ben costruiti, garantiscono il risultato finale al 100 percento.
I progetti da maker sono sovente un eccellente percorso formativo, anche extrascolastico, per i ragazzi. Qual è l’età giusta per essere sorpresi da papà o mamma con una scheda Arduino, un Raspberry Pi e l’idea di passare del tempo assieme a fare funzionare cose nuove?
Per esperienza personale, posso dirti che ho insegnato a usare Arduino e Raspberry Pi anche a bambini di terza e quarta elementare. Ovviamente ho applicato un metodo di insegnamento e un approccio alla materia molto diverso da quello che posso usare con i ragazzi delle scuole medie. I bambini piccoli amano giocare e divertirsi e non colgono l’aspetto formativo dell’insegnamento. Si divertono un sacco quando fai muovere motori e accendere LED, ma non sono ancora in grado di programmare autonomamente in Python o con la sintassi di Arduino. Vanno guidati sfruttando interfacce logiche molto più semplici, come Scratch e Blockly.
Ma oltre alla programmazione c’è l’elettronica di base. È sempre bello avvicinare i giovani e i giovanissimi alla pratica diretta con i componenti elettronici, all’assemblaggio di circuiti reali su breadboard e la verifica sul campo. Se anche un genitore si appassiona alla cosa, possono nascere dei progetti davvero interessanti. In una scuola elementare di Pavia ho seguito un gruppo di genitori che hanno fatto frequentare un mio corso di Arduino, sfociato poi in un progetto reale di irrigazione intelligente. È stato bello vedere lavorare bambini di 8/9 anni, assistiti dai genitori e dalle maestre, attorno a sensori, collegamenti elettrici, valvole idrauliche e così via.
L’Internet delle cose è un mondo nuovo e, tra i difetti di crescita, qualcuno gli attribuisce una mancanza di standard, di dialogo tra gli oggetti, di connessioni eccetera. Si avverte questo problema a livello individuale o riguarda più le aziende?
Gli oggetti che si connettono a Internet sono nati con la rete stessa. Non dimentichiamoci delle stampanti e degli hard disk che sono stati i primi dispositivi a essere condivisi. Oggi, il concetto di IoT è un’evoluzione di quella Information Technology che ci ha invaso dagli anni duemila. Personalmente non credo che ci sia bisogno di standardizzare un particolare protocollo per il settore IoT. Si possono implementare liberamente i protocolli della rete e, non essendoci una regolamentazione imposta da qualcuno, la creazione di prodotti innovativi rimane più libera, almeno a livello personale. L’azienda che solitamente ha bisogno di standard e di certificazioni può sempre dotarsi dei consueti sistemi di controllo della rete.
Quale tra i progetti del libro ti ha divertito o appassionato maggiormente? E quale invece ha richiesto la maggiore attenzione e fatica?
Ovviamente mi sono divertito con tutti i progetti del libro, ma quello che mi ha appassionato di più è sicuramente il Magic Mirror, che poi abbiamo preferito chiamare specchio arricchito. Ho creato una mia versione personalizzata rispetto a quelle che si trovano online, semplificando al massimo sia la costruzione meccanica che la programmazione del software. Nello specchio arricchito, oltre alla propria immagine riflessa, si possono vedere le notizie del giorno, un orologio digitale e/o analogico e qualche frase di saluto che cambia in base al momento della giornata. Tutto fatto semplicemente con Raspberry Pi, un monitor TV e uno specchio spia. Qualche riga di codice per la retroproiezione dei messaggi sullo specchio e il gioco è fatto.
Il progetto più impegnativo è stato la bilancia intelligente. Dopo vari tentativi con sensori di pressione, ho dovuto usare per forza una cella di carico non proprio economica e una scheda breakout dedicata. Il software per far parlare la bilancia tramite lo smartphone e una connessione Bluetooth è stato molto più semplice. Una suadente voce femminile avvisa se si è in sovrappeso o se si sta raggiungendo il peso ideale.
In quanto tempo si realizzano i progetti presenti nel libro? Ce ne sono di significativamente più lunghi, o più corti?
I componenti elettronici e i materiali usati per i progetti sono di facile reperibilità, soprattutto dai molti negozi online. Dopo aver procurato tutto il materiale necessario per un progetto e se il laboratorio è sufficientemente attrezzato, in qualche ora si può assemblare qualsiasi progetto del libro. Ovviamente bisogna sapere quel che si fa! Se si è già un maker navigato, si possono leggere solo le istruzioni per il montaggio. Al neofita consiglio di leggere bene tutti i capitoli, specie quelli dedicati all’elettronica e alla programmazione. Nonostante abbia messo a disposizione tutto il codice necessario nelle risorse del libro, come già detto, è necessaria una minima conoscenza di base per poterlo adattare alle proprie esigenze.
A che punto siamo con la stampa 3D, di cui si è fatto un gran parlare? Può aiutarci nel nostro making o è stata una moda passeggera, eccettuate poche applicazioni specifiche?
Anche se ho pubblicato un libro sulla costruzione di una propria stampante 3D, penso che oggi convenga di più acquistarne una pronta all’uso. Una stampante 3D deve necessariamente far parte dell’attrezzatura del maker. Per esempio, può servire alla stampa di contenitori, supporti per gli attuatori, ingranaggi e via dicendo. Un vero maker si costruisce tutto da zero! Un momento però… con questo non voglio rinnegare la mia natura di maker! Un vero maker si autocostruisce la propria stampante… Per la cronaca, in questi giorni sto ultimando una mia stampante 3D molto innovativa che presenterò alla prossima Maker Faire di Roma.
Domotica, ok. E fuori casa? Potremmo diventare maker per, magari, la nostra auto? O a livello biomedico, o altro ancora? Che cosa ci aspetta nel prossimo futuro a livello di maker?
Per rimanere coerenti con il titolo del libro, tutti i progetti sono stati volutamente confinati fra le mura di casa. Ma con un po’ di fantasia, alcuni potrebbero essere adattati per l’auto o per altri ambienti. Posso assicurarti che nel campo biomedico c’è molto spazio per il maker. Ci sono molti sensori biomedicali per Arduino e Raspberry Pi, che possono servire alla creazione di dispositivi diagnostici destinati allo studente di medicina o al monitoraggio personale o all’ambiente e-health in generale.
Un’altra tendenza: la realtà aumentata. Windows 10 IoT può aiutarci a realizzare progetti personali, o è ancora presto?
Ho in mente solo un prodotto: HoloLens di Microsoft. Se non fosse per il suo costo ancora troppo elevato, sarebbe lo strumento ideale per sviluppare un’infinità di progetti di Mixed Reality, un concetto che va anche oltre la realtà aumentata. Io ho potuto provare il visore HoloLens e ti posso garantire che ti fa rivivere un’esperienza paragonabile al ponte ologrammi di The Next Generation. Con l’SDK messo a disposizione da Microsoft e gli strumenti software come Unity o Vuforia si possono creare forme olografiche da disegni 2D e muoverle nello spazio, espanderle, ridurle, modificarle e molto altro. Credo che la direzione futura dell’interazione con gli oggetti virtuali sia questa.