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Il file-swapping ha vinto la guerra?

02 Dicembre 2002

Il file-swapping ha vinto la guerra?

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Lo ritengono quattro ricercatori Microsoft, mentre si tentano manovre controverse, da Kazaa ai provider alle università.

Una lotta senza speranza. Questa la sintesi dello scenario attuale rispetto ai tentativi di bloccare il download “illegale” di musica e film via Internet. La conferma arriva da una serie di notizie in circolazione in questi giorni, a cominciare dall’analoga posizione espressa — a titolo esclusivamente personale — da quattro ricercatori Microsoft. L’analisi è stata presentata nel corso di un workshop sul Digital Rights Management nel corso dell’annuale conferenza di Association for Computing Machinery su Computer and Communications Security. In sostanza, Peter Biddle, Paul England, Marcus Peinado, e Bryan Willman ritengono che i “servizi di file-swapping abbiano già vinto” e che i tentativi di impedirne l’utilizzo agli utenti “siano del tutto futili.” Perché mai? Intanto e soprattutto per via della estrema rapidità di sviluppo delle relative tecnologie, con annessa impossibilità di bloccarle efficacemente. E le precedenti vittorie, come nel caso di Napster, sono basate soltanto sul fatto che la stragrande quantità di materiale era offerta da numero relativamente ridotto di persone. Al contrario, servizi più recenti (è il caso di Kazaa) vanno attirando quantità di utenti decisamente troppo ampia da controllare.

Ancora, i quattro ricercatori di spiegano come la graduale diffusione di “burner” per CD e DVD renderà ulteriormente impossibile verificarne gli impieghi da parte dei singoli. Per non parlare degli effetti a cascata dovuti all’introduzione di sistemi di file-swapping all’interno di organizzazioni ed entità varie, vedi le strutture accademiche o i network peer-to-peer. Ciò in aggiunta alla crescita esponenziale della banda larga, dei supporti di storage a basso costo e dei sistemi di instant messaging. Impossibile dunque bloccare la “pirateria online”? Secondo la ricerca, l’unica possibilità rimasta all’industria musicale e video per competere con pirati veri e presunti rimane quella di “offrire modalità più semplici per ottenere i prodotti e abbassarne i prezzi.” Non va infatti dimenticato come negli ultimi anni i prezzi dei CD siano cresciuti regolarmente nonostante la loro elevata circolazione globale, e molti critici ritengono ciò causa primaria di recenti declini di vendite.

Messaggi tutt’altro che nuovi, pur rimanendo tuttora ignorati dalla grande industria. Questa sembra invece preferire comunque le battaglie legali, l’ultima delle quali riguarda proprio Kazaa. Un giudice federale di Los Angeles prenderà presto in esame una questione al cuore del sistema di file-swapping: se una media company non statunitense possa ritenersi responsabile per simili servizi che infrangono le leggi sul copyright made in USA. Infatti Kazaa, attualmente usato da oltre 20 milioni di utenti nel mondo per lo più statunitensi, è di proprietà dell’austriaca Sharman Networks. In attesa della sentenza, sembra che il giudice Stephen Wilson sia incline ad affermare comunque la giurisdizione delle corti statunitensi in tali situazioni. Secondo un legale delle media company, “il caso è importante perché dimostra che non si può evadere la giustizia USA pur formalmente operando al di fuori degli Stati Uniti.” La tesi del legale di Sharman è invece che se tale principio venisse confermato, acquisterebbe valore legale perfino la decisione di un giudice della “Cina comunista” che imponga la cessazione delle attività ad una cyber-azienda USA trovata in violazione delle norme di quel paese.

Nel frattempo, molti tra i maggiori provider nord-americani stanno vagliando l’introduzione di limiti per il consumo di banda mensile riservato ai propri utenti. Iniziativa mirata, tanto per cambiare, a frenare il rampante ricorso al file-swapping. Secondo Michael Harris, presidente della società di ricerche Kinetic Strategies, “Ogni importante fornitore di connessioni a banda larga sta seriamente considerando i pro e contro di eventuali quote-limite”. Ci ha già pensato Bell Canada, imponendo agli abbonati DSL una tariffa di 80 cent per ogni 100 megabyte eccedenti la quota di abbonamento prevista. I dirigenti definiscono un “successo” la trovata, con appena un 6-8 per cento di utenti che vanno oltre tali quote. L’esempio è seguito con parecchio interesse dalle aziende del via cavo, prossime all’imitazione, almeno così pare. Ma la manovra appare a dir poco controversa, sia per i sistemi di monitoraggio di cui dovrebbero dotarsi i provider sia per l’autolimitazione imposta agli stessi utenti, ormai abituati ad un uso di Internet del tutto unlimited. E come ribadisce il presidente del sistema P-2-P Grokster, “l’unica cosa che potranno ottenere è far arrabbiare l’utenza.”

Tanto è vero che queste pratiche vanno estendendosi finanche alla U.S. Naval Academy. Le autorità della base di Annapolis, Maryland, hanno sequestrato un centinaio di computer appartenenti a studenti sospettati di “download illegali”. Costoro rischiano punizioni pesanti, dalla cancellazione della libera uscita alla corte marziale e all’espulsione. Ciò nonostante, il file-swapping di materiale sotto copyright rimane pratica comune in ambito studentesco. Dove vengono sistematicamente ignorati certi recenti mutamenti di policy mirate a scoraggiare tali pratiche in ambito universitario, dopo le pressioni delle major musicali e degli studios di Hollywood nei confronti dei membri di facoltà. I conseguenti blocchi tecnologici paiono cioè rivelarsi inutili, perché aggirati alla grande. “Se non sai come fare, te lo spiega subito qualcun altro,” sostiene uno studente. “Non possono fare granché per fermarti.” In altri termini, le istituzioni accademiche si trovano in una posizione conflittuale nel richiedere, o imporre, ai propri iscritti precisi comportamenti a livello etico. Lo chiarisce Virginia Rezmierski, docente presso il Dipartimento d’Informazione della University of Michigan: “Il problema maggiore del contesto sta nel fatto che le università non hanno apertamente deciso se la propria responsabilità riguardi la repressione poliziesca o l’educazione. Attualmente sembrano occuparsi più di monitoraggio che di educazione.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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