Come previsto, Telecom Italia ha accettato le modifiche agli impegni, chieste da Agcom, la quale poi ha convalidato il tutto. Il nuovo corso comincia da gennaio, quindi, e andrà avanti su due binari paralleli. Da una parte, ci saranno incontri, tavoli tecnici per applicare gli impegni presi da Telecom sulla rete (Open Access). Dall’altra, Agcom comincerà le nuove analisi di mercato, che dureranno sei mesi, per determinare quali obblighi imporre a Telecom in quanto operatore dominante. S’intende, saranno obblighi che eventualmente andranno oltre quanto Telecom già dovrà fare in virtù degli impegni che ha liberamente sottoscritto con l’Autorità.
Impegni che, nella versione 2.0 voluta dall’Autorità, sono stati accolti senza eccessive polemiche, anche dai testimoni più scettici: «noi volevamo la separazione societaria (che adesso sembra ormai un’ipotesi tramontata, ndr)», dice Marco Pierani, responsabile rapporti istituzionali per Altroconsumo, «ma riconosciamo che i nuovi impegni sono un grosso passo avanti rispetto alla prima versione scritta da Telecom e che non davano alcun vantaggio reale alla concorrenza rispetto a quanto già prima offerto». I progressi sono nel senso di mettere i concorrenti su un livello più paritario, rispetto alla stessa Telecom, quando accedono alla rete fissa nazionale e la usano per le proprie offerte. Ancora è un passo indietro rispetto al Regno Unito, che ha fatto scuola in Europa separando la rete di British Telecom. Telecom Italia infatti (a differenza di BT) si è rifiutata di mettere negli impegni un punto molto richiesto dai concorrenti, cioè l’obbligo per la sua divisione retail di passare da quella wholesale, per accedere alla rete, come fanno gli altri operatori. Resta insomma quest’asimmetria, «ma aspettiamo di vedere come saranno applicati gli impegni prima di polemizzare», dice Pierani.
L’Italia però, con gli impegni 2.0, fa scuola per un altro aspetto: le regole sul network di nuova generazione. Sono già comprese negli impegni e quindi l’Ngn sarà messo in Open Access. Significa che gli operatori alternativi potranno accedere a condizioni regolamentate da Agcom alla nuova rete in fibra Telecom. La Commissione europea del resto è orientata a chiedere ai Paesi membri di fare regole anche sull’Ngn (lo scrive nella bozza del nuovo quadro regolamentare); Agcom non ha fatto altro che accelerare una tendenza inevitabile, sfruttando l’occasione degli impegni Telecom. Restano però nodi da affrontare, per l’accesso Ngn, e ci terranno compagnia per tutto il 2009.
Con gli impegni, Telecom concede l’uso dei propri cavidotti, delle canaline e della fibra passiva – quest’ultimo aspetto è una conquista fatta in extremis dagli operatori alternativi. Che cosa vuol dire? Gli operatori possono mettere la propria fibra nelle infrastrutture passive di Telecom, cavidotti, canaline, e poi i propri apparati nel sub local loop (negli scatolotti nodi della rete, alla base dei palazzi raggiunti con la fibra). Così possono creare una propria Ngn indipendente, risparmiando circa il 50% dei costi perché, potendo usare le infrastrutture passive di Telecom, non devono duplicare i lavori di scavo. Tutti gli esperti concordano, però, che una seconda Ngn è possibile solo nelle principali metropoli, circa per il 17% della popolazione. Altrove, non è remunerativa. Ma anche nelle metropoli c’è comunque il problema che nei cavidotti e negli scatolotti lo spazio può esaurirsi; come fanno allora gli altri operatori a competere sulle offerte a banda larghissima? Certo non facendo altri scavi e scatolotti: questo sarebbe non remunerativo ovunque.
La soluzione è già negli impegni ed è appunto l’affitto della fibra passiva, che è un po’ l’analogo dell’attuale unbundling. L’operatore mette i propri apparati nella centrale urbana (a circa 10 chilometri dall’utente) e può così usare la fibra posata da Telecom. Ovviamente deve raggiungere con propria fibra la centrale Telecom, come già avviene con l’attuale unbundling. A differenza del rame, però, lo stesso cavo in fibra dalla centrale all’utente può essere usato da più operatori: si dividono le lunghezze d’onda.
Gli operatori alternativi sostengono però che nemmeno questa soluzione è sufficiente, ci sono casi in cui può essere remunerativo solo il bitstream, cioè un accesso solo logico alla rete Telecom (senza mettere apparati in centrale, né doverla raggiungere con la propria fibra). Del resto, l’attuale unbundling copre solo il 50% della popolazione appunto perché gli operatori alternativi non lo reputano remunerativo nella restante metà, dove ricorrono al bitstream. Il bitstream sarà il principale nodo da affrontare nei prossimi mesi: Telecom vuole concederlo, a condizioni regolamentate da Agcom, solo nelle zone dove sarà considerato (dalle analisi di mercato) operatore dominante. Altrove potrà darlo ai propri prezzi e condizioni, in piena libertà. Il responso verrà solo dopo le analisi di mercato. Telecom non potrebbe lanciare le offerte a 50-100 Mbps prima? «Sì, ma gliele bloccheremmo subito, perché non sarebbero replicabili», spiegano da Agcom. Non dovremmo vederle quindi prima di fine 2009, nella migliore delle ipotesi.
Telecom nel frattempo continuerà le sperimentazioni, per ora concentrate a Milano e con tecnologia Vdsl. C’è già un’offerta gratuita, nome in codice Alice Phibra, a 50/7 Mbps. Gli operatori sono in campana, dopo l’uscita di quest’offerta: Wind teme comunque un colpo di coda da parte di Telecom, con un lancio al pubblico prima che gli altri siano messi in condizione di replicare.