Quando scrissi il mio primo libro, Social Engineering: The Art of Human Hacking (Wiley, 2010), ero relativamente nuovo nel mondo della comunicazione non verbale. Ma avevo iniziato una relazione di lavoro con Paul Ekman che è stato mio mentore. Paul Ekman iniziò il suo viaggio per capire la comunicazione non verbale alla fine degli anni Cinquanta e negli ultimi sessant’anni ha guidato il campo di ricerca sulle comunicazioni non verbali.
Paul Ekman mi ha aiutato a perfezionare non solo il mio lavoro, ma anche il mio modo di comunicare. Ciò mi ha portato a scrivere il mio secondo libro, Unmasking the Social Engineer: The Human Element of Security (Wiley, 2014), che approfondisce le espressioni facciali, il linguaggio del corpo, i gesti delle mani e ogni aspetto della comunicazione non verbale. Ho anche trattato una parte meno visibile della comunicazione non verbale: la distrazione dell’amigdala.
Se hai letto qualcuna delle missioni che ho descritto, probabilmente non ti sarà troppo difficile capire perché quando sono vicino a Paul Ekman, reagisco praticamente come potete vedere nella prossima figura.
In primo luogo, voglio essere sicuro di mantenere gli standard elevati di Paul Ekman, nel garantire che tutto quello che ti dico ha solide basi scientifiche. In secondo luogo, non voglio ripetere quanto ho già detto nei miei altri libri. In Human Hacking presento la comunicazione non verbale in un’area chiave, che può letteralmente cambiare la tua carriera di ingegnere sociale: la comprensione dei cambiamenti di base tra comfort e disagio.
La comunicazione non verbale è essenziale
Lascia che ti aiuti a vedere il motivo per cui è importante imparare a leggere la comunicazione non verbale. Penso che il modo migliore per farlo sia raccontare una storia.
Stavo lavorando con Paul Ekman su Unmasking the Social Engineer e il suo compito era quello di assicurarsi che quello che stavo scrivendo fosse scientificamente accurato, logico e approvato in base alle sue ricerche decennali.
Avevo scritto un capitolo su uno studio che era stato fatto sui neuroni specchio. Lo studio, sostanzialmente, affermava che i ricercatori credevano che nel cervello vi fosse un gruppo di neuroni che aveva il compito di rispecchiare la comunicazione non verbale delle altre persone.
Sulla base di una ricerca di Paul Ekman, sappiamo che quando proviamo un’emozione, abbiamo una reazione involontaria e che tale reazione emerge sotto forma di microespressioni. Inoltre, quando produciamo delle espressioni facciali, creiamo l’emozione associata a quell’espressione.
Feci una connessione: se i neuroni specchio ci fanno riflettere le espressioni altrui, che sono accompagnate dalle relative emozioni, possiamo controllare il contenuto emotivo del nostro obiettivo.
Mentre scrivevo Unmasking the Social Engineer, era in corso un dibattito scientifico sui neuroni specchio e la ricerca correlata. Di conseguenza, Paul Ekman mi scrisse un’email molto simpatica, nella quale, sostanzialmente. diceva: Vuoi che il tuo libro si basi su una ricerca antiquata o confutata, nel caso in cui la ricerca venga annullata?
Risposi: Ma, ma, ma… Ho già scritto una quarantina di pagine. E devo consegnare il capitolo tra cinque giorni. Speravo che Ekman rispondesse, sostanzialmente: Ok, va bene così.
Invece scrisse: Bene, allora immagino che tu abbia cinque giorni per leggere questa ricerca sull’amigdala e scrivere un nuovo capitolo. E con quello, avevo una sessantina di pagine di informazioni su un argomento che potevo a malapena pronunciare, e dovevo leggerlo, capirlo, ragionarci e scrivere.
Certo, Paul Ekman mi aiutò molto, ma questo mi ha insegnato tre cose.
- È importante capire come funzionano le cose, se ho intenzione di aiutare veramente i miei clienti.
- È importante adattarsi e crescere, in base alle nuove ricerche.
- Il potere del sonno è davvero molto sottovalutato.
Approfittare delle reazioni empatiche per suscitare l’emozione che vogliamo
Durante la scrittura del capitolo sulla manipolazione dell’amigdala vidi, di nuovo, un collegamento nella ricerca tra l’impianto di un contenuto emotivo e il controllo della risposta del destinatario. Se l’amigdala elabora gli stimoli emotivi prima che il cervello abbia la possibilità di “accendersi” e posso far sì che l’obiettivo provi una certa tristezza o paura, posso approfittare della sua reazione empatica.
In altre parole, padroneggiare l’uso dei pretesti può aiutarmi a suscitare nei soggetti le emozioni che desidero; posso far loro sentire quello che voglio che sentano. Stiamo finalmente arrivando al punto: capire perché la comunicazione non verbale è così importante.
Quando una missione prevede un’attività di penetrazione in un luogo o quando devo svolgere un’attività di vishing, provo una certa paura, piuttosto intensa: la paura di fallire, la paura di essere scoperto, la paura di incespicare. Esaminiamo l’emozione che provo.
In quale modo la paura mi influenza, fisiologicamente?
- I miei occhi si dilatano e le mie palpebre si tendono.
- La mia bocca si piega verso l’alto in un ghigno e prendo un profondo respiro.
- I miei muscoli si tendono e spesso si irrigidiscono mentre mi preparo al “combatti-o-fuggi”.
- Il mio battito cardiaco aumenta.
- La mia produzione di sudore aumenta.
Ora, proviamo a pensare a quale dovrebbe essere il mio stato fisiologico per suscitare la risposta emotiva desiderata nel mio obiettivo, che dovrebbe essere un leggero turbamento, per suscitare empatia.
- Occhi sinceri e non tesi.
- Labbra abbassate agli angoli.
- Testa piegata di lato.
- Muscoli distesi.
- Un respiro tranquillo.
Vedi la differenza? Se il mio pretesto sta usando l’emozione della tristezza, ma il mio linguaggio del corpo mostra paura, che cosa succede all’obiettivo? Immagino che la maggior parte delle persone non penserà mai: Ok, questa persona sta usando una storia basata sulla tristezza, ma mostra paura. Questo è un contenuto emotivo incongruente, che mi mette a disagio. Tuttavia, abbiamo tutti un radar interno che ci dice quando dovremmo alzare gli scudi e metterci sulla difensiva. Se mostro paura, ma cerco di suscitare tristezza ed empatia, il radar del mio obiettivo dovrebbe assolutamente alzare quello scudo.
L’odore della paura non è solo una espressione figurata
Uno studio davvero fenomenale intitolato Chemosensory Cues to Conspecific Emotional Stress Activate Amygdala in Humans lo dimostra in un modo… ehm… interessante.
I ricercatori hanno raccolto tamponi di sudore di persone che facevano esercizio fisico. Poi tamponi di sudore da un gruppo di persone che si era gettato da un aereo in volo a 13.000 piedi per uno skydive in tandem. Infine, i ricercatori hanno sottoposto a test un gruppo di soggetti, collegando la fMRI alla loro testa e facendo loro annusare ciascuno dei tamponi di sudore (raccapricciante, ma vero).
Quando i soggetti di questo gruppo di test hanno annusato il sudore di coloro che si erano lanciati da un aereo, si è attivato il loro centro di gestione della paura, cioè l’amigdala. Quando i soggetti hanno annusato i tamponi dal gruppo di “sportivi”, non si è attivata alcuna paura. Quindi, quando si parla dell’odore della paura, la cosa ha davvero un fondo di verità.
Ora che sappiamo che le altre persone possono percepire la nostra paura, pensiamo a quello che dobbiamo fare per prepararci ad approcciare un obiettivo. Ho due scelte:
- imparare a controllare le mie paure, in modo da manifestare la giusta emozione;
- se ciò non fosse possibile, costruire un pretesto che comprenda in sé la mia naturale emozione.
Capire questo può aiutarti ad avere un maggiore controllo sulle tue emozioni, a sapere che cosa mostrare, e a imparare a utilizzare, leggere e poi anche reagire adeguatamente alle emozioni e ai sottoprodotti non verbali di quelle emozioni.
Questo articolo richiama contenuti tratti dal capitolo 8 di Human Hacking.