Anche Amazon apre dunque il negozio musicale. L’arrivo della voce MP3 Music Downloads nella lunga lista di articoli e servizi offerti dal gigante dell’e-commerce conferma le attese. A partire dall’apertura totale di formato, niente Drm e file ascoltabili su tutti i player, come fanno solo pochi altri servizi (Audio LunchBox, eMusic, PayPlay Fm). A prezzi ancora più stracciati del diretto rivale iTunes: per lo più 89 cents a brano, contro 1,29 dollari senza Drm e 99 cents con Drm praticati dal negozio Apple. Occorre un apposito downloader, ma col vantaggio che i file vengono direttamente importati nella library di iTunes per future manipolazioni. Aggiungendo poi file e Cd vari, inclusi parecchi di etichette indipendenti o poco note, e che il negozio andrà sicuramente rimpinguandosi col tempo (circa un milione i brani Drm-free, al momento), la mossa punta chiaramente alla vetta del mercato musicale globale, dove per ora guidano BestBuy e Wal-Mart, seguiti da iTunes. E tutto tranquillamente raggiungibile sul web, al contrario dello stesso iTunes, contando sull’indiscussa esperienza di vendita e marketing online raggiunta ormai da Amazon.
Al di là delle questioni strettamente tecnico-operative, un’iniziativa a tutto tondo e decisamente aggressiva che va trovando vasta eco non solo tra gli addetti ai lavori ma anche sui media mainstream, a partire dagli Stati Uniti. Ieri la National Public Radio gli ha dedicato un apposito servizio, con pronti rilanci nei TG di prima serata sui vari network, e ovviamente un po’ su tutti i quotidiani. Tra le reazioni meno scontate, Don Reisinger, quotato giornalista hi-tech, in un editoriale su C-Net si chiede com’è che «Amazon ha potuto siglare simili contratti [con le grandi etichette] e Steve non ci è riuscito? Sono io che non capisco oppure è che l’industria musicale non apprezza Steve Jobs e Apple più di quanto avessimo immaginato?». Ampliando l’analisi e agganciandosi agli ambigui strascichi legati all’avvento di iPhone, Reisinger si chiede poi se Apple non sia destinata a «calcare le stesse orme di Microsoft—prima amata, poi assai apprezzata, infine visceralmente odiata?». L’arrivo di un rivale più che agguerrito, e dal capitale bancario assai robusto, rischia non solo di abbattere il dominio Apple nel mercato della musica online, ma ancor più di ribaltarne l’immagine pubblica e bloccare il successo di questi ultimi anni d’oro. Ben più di quanto sia riuscito a fare il player Zune di Microsoft, ad esempio.
Sulla svolta delle major verso il graduale abbandono, delle restrizioni imposte dalle tecnologie di Digital Rights Management, fino all’altro ieri considerate sacrosante e inoppugnabili, insiste un lungo intervento di David Kravets su Wired News in cui si spiega fra l’altro la necessità di «avere maggiore competizione» onde controbattere l’iPod come «device di default» e iTunes in quanto «modello di download», nelle citazioni di Edgar Bronfman, il responsabile di Warner Music Group che aveva giurato fedeltà eterna ai Drm. Ecco allora che i Big Four (insieme a Emi, Sony BMG e Universal) che controllano il 70 per cento del mercato mondiale della musica, non esitano a rescindere, pur se in maniera ancora poco esplicita, la soluzione imposta a Steve Jobs «nel creare un sistema capace di incapsulare ogni brano acquistato su iTunes in un software speciale e segreto», spiegano alla Apple. Un dietro-front alquanto repentino dietro-front teso a offrire maggiori scelte ai consumatori, manovra inevitabile nel continuo fluire del mercato online.
Vanno però notati due sottili limiti del catalogo Amazon: come per altri file digitali, i brani acquistati in realtà danno diritto alla “licenza non esclusiva e non trasferibile”, non alla completa proprietà come nel caso di un comune CD o libro; e quindi scatta il divieto a rivenderli o prestarli. Inoltre, un buon numero di MP3 sono comunque contrassegnati dai digital watermark, atti a identificare la fonte dei file onde poterlo tracciare nel caso dovesse spuntare fuori in qualche network illegale. Unica eccezione, la Emi offre file privi di Drm e di watermark su iTunes, Wal-Mart e Amazon, e afferma di non prevedere alcun mutamento a tale policy.
Al momento gli analisti finanziari non si sbilanciano, segnalando come quest’uscita di Amazon non sia abbastanza per modificare in maniera drammatica l’attuale market share. Né lo renderanno più potente, visti i margini sempre esigui delle vendite di musica online. E in ogni caso non è (né può essere) la panacea per risolvere le varie questioni sul tappeto, sia rispetto alle major che agli utenti. Ancor più, resta da vedere quali saranno le effettive scelte di questi ultimi in tempo medio-lunghi. Tenendo comunque conto che abbondano i servizi online che offrono musica senza Drm e legale, e che su Internet più che mai non è certo il caso di dormire sugli allori – Apple inclusa.