“[Il mio software] ha delle applicazioni legali, può essere usato per molte situazioni legali, per cose positive. Un’arma può essere usata per uccidere o per auto-protezione, ma negli Stati Uniti è legale possederne una.” Così Dmitry Sklyarov, programmatore russo assolto nei giorni scorsi in California dall’accusa di violazione alle norme del Digital Millennium Copyright Act (DMCA). Violazione estesa alla sua azienda, ElcomSoft, per aver realizzato e diffuso un software capace di superare le protezioni al copyright del formato e-Book creato da Adobe. Caso ormai storico, passato dai clamori dell’arresto pubblico di Sklyarov, durante il Defcon 2001 di Las Vegas, con annesse tre settimane di galera, fino al ritiro della denuncia delle stessa Adobe e allo sgonfiamento di una bolla gonfiata ad arte. Non a caso, chiuse le prime indagini in USA con una sorta di patteggiamento, Sklyarov e ElcomSoft avevano presto cantato vittoria, confermando poi la loro posizione nel corso del processo.
A 17 mesi da quell’arresto, il programmatore russo ha spiegato, con tutta calma e cognizione di causa, come quando aveva creato quel programma a Mosca non si fosse affatto curato del fatto che potesse o meno violare le leggi statunitensi, considerandone la piena legalità in Russia. E martedì scorso i giudici di San Josè gli hanno dato ragione, assolvendo lui e la ElcomSoft da ogni accusa, senza possibilità di ricorso. A conferma delle fallacità e inutilità di simili legislazioni nell’epoca del digitale. Non a caso nell’intervista pubblicata su CNet all’indomani della sentenza, Sklyarov sottolinea i timori di numerosi sviluppatori di programmi di sicurezza dopo il suo caso: “Impossibile dire cosa possa succederti. Può anche darsi che, dopo aver fatto il tuo lavoro, qualcuno venga ad arrestarti o qualcosa di simile soltanto perché il DMCA copre un ambito troppo ampio e ci molti elementi che possono essere collegati in qualche modo al DMCA.”
Per la Electronic Frontier Foundation la sentenza rappresenta una chiara sferzata a quanti vorrebbero “mandare in galera chi realizza certi software soltanto perché questo non piacciono a qualche azienda pro-copyright.” Mentre il deputato repubblicano Rick Boucher ha ribadito “l’urgente bisogno di riformare l’attuale testo del DMCA,” anche sulla base di sua modifiche già presentate al Congresso. Cauta soddisfazione per la sentenza arriva perfino dalla Business Software Alliance, perché il caso ha quantomeno raggiunto un’aula di tribunale. A scanso di equivoci: il superconsorzio di software-house è sostanzialmente il motore che ha portato sia a simili obbrobri legislativi sia a procedimenti come quello intentato contro Sklyarov. E nonostante lo smacco, c’è da scommettere che l’industria proseguirà analoghe battaglie “anti-pirateria”.
Lo confermano in questi giorni i grandi del settore cinematografico, i quali insistono con le campagne legali contro singole strutture o organizzazioni. Dopo i tentativi, finora infruttuosi, di bloccare la circolazione di modelli di videoregistratori che consentono tranquillamente di saltare gli spot e inviare film via email (TiVo e ReplayTV), ora si cerca di fermare due nuovi software per copiare DVD. Stavolta i programmi incriminati, DVD Copy Plus e DVD X Copy, sono regolarmente in commercio nei negozi e permettono la copia integrale di un DVD su un CD o su altro DVD vergine, superando così le protezioni presenti nel disco originale. Secondo 321 Studios, azienda produttrice con base in Chesterfield, Missouri, i due software non sarebbero affatto illegali. Al contrario, rientrerebbero tranquillamente nella copia del materiale sotto copyright consentiti a livello personale. Oltre alla classiche fotocopie di libri e pubblicazioni varie, il riferimento più vicino va fatto al caso di cui sopra. Come ha spiegato più volte Dmitry Sklyarov, anche il suo software “era progettato per consentire il backup di e-Book che l’utente già possedeva oppure di trasferirlo su un altro computer.”
Va altresì notato che, in contemporanea all’uscita di DVD Copy Plus, fu la stessa industria di Hollywood a disinteressarsi della formale richiesta di legalità avanzata da 321 Studios, sostenendo come non esistesse “alcun caso o controversia.” Ciò anche perché i film DVD potevano essere copiati su un CD solo in formato video compressato. Non così però dopo la fresca uscita del secondo programma, DVD X Copy, il quale consente di “burn” una copia identica dell’originale, senza perdita di qualità o necessità di compressione. Secondo Patricia Benson, avvocato delle società cinematografiche, quando “l’aggressiva promozione sul mercato del secondo pacchetto ha provocato un radicale cambiamento dello scenario.” In altri termini, il software offrirebbe agli utenti la potenzialità della “pirateria digitale”. Storia vecchia, in buona sostanza, in cui in assenza di flagranza di dolo si tentano di criminalizzare le intenzioni dei singoli. Fatto che sta che la schiera dei denuncianti hollywoodiani appare nutrita, con nomi quali Disney Enterprises, Metro-Goldwyn-Mayer, Time Warner, Universal City. Intanto, 321 Studios dichiara di aver già venduto un totale di circa 150.000 copie dei due programmi. E sembrano tirare ancor più forte col Natale alle porte…