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Free market, monopoli e futuro di Mozilla

05 Giugno 2003

Free market, monopoli e futuro di Mozilla

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Approvata in USA la nuova deregulation sulla proprietà delle testate, mentre AOL e Microsoft chiudono "amichevolmente" una vecchia causa legale...

Partita vinta per le grandi corporation dei media. La Federal Communication Commission (FCC) statunitense ha dato via libera alla manovra di deregulation sulla concentrazione della proprietà. Decisione tanto risicata (tre voti favorevoli contro due no) quanto abbondantemente prevista. A nulla è servita dunque la mobilitazione dell’ultima ora lanciata da entità nonprofit, testate indipendenti e comuni cittadini. Operazione voluta in primis dal chairman della FCC, Michael Powell, figlio del Segretario di Stato Colin Powell, convinto sostenitore della deregulation, al pari dei due membri repubblicani, pur se con l’opposizione degli altri due componenti democratici. All’indomani del voto, lo stesso Powell ha dichiarato di “aver tenuto conto delle montagne di e-mail ricevute, per il 97 contrarie alla manovra, introducendo una nota di prudenza nelle nuove norme.” Ma nulla di più.

A questo punto non resta altro da fare se non vegliare con attenzione sui temuti pericoli di una siffatta decisione, come parecchi paventano. Forse qualcosa di analogo al gran salto compiuto da Clear Channel dopo la precedente deregulation di fine anni ’80: da 40 stazioni-radio possedute nel 1990 alle oltre 1200 odierne sull’intero territorio nazionale. Con le tipiche conseguenze del corporation-style, tra cui l’appiattimento generale della programmazione e la drastica riduzione di spazi per news ed eventi locali. All’opposto, è presto detto punto di vista dei grandi network rispecchiato nelle convinzioni dei commissari repubblicani. Le restrizioni sulla proprietà delle testate andavano bene diversi decenni addietro, nell’era precedente l’avvento di internet, del via cavo e dei satelliti. Oggi il consolidamento dei media è meno problematico, poiché il pubblico avrà comunque accesso a una pluralità di fonti diverse. Secondo il commissario repubblicano Kathleen Abernathy, “la democrazia e il discorso civico… sicuramente non moriranno in questo secolo, quando nella gran parte dei mercati esistono almeno da quattro a sei produttori indipendenti, oltre a centinaia di canali via cavo e illimitate voci su internet”. Peccato che, com’è arcinoto, trattasi di pluralismo ben più apparente che reale, considerato che spesso numerosissime testate finiscono per ricadere sotto un’unica azienda-madre. Mentre la grande informazione cartacea e televisiva è, altrettanto notoriamente, largamente dominata da un pugno di mega-corporation (da News Corp. a General Electric a AOL Time Warner). Non a caso ciò è stato puntualizzato dai due commissari democratici, Michael Copps e Jonathan Adelstein, pur se invano. Il primo ha chiarito come “..le fonti d’informazione su internet sono dominate dagli stessi giganti che già controllano radio, TV, giornali e via cavo”; il secondo ha aggiunto come la riduzione nel limiti della proprietà rischi di trasformare la stessa FCC in una “tigre sena denti” nella difesa dell’interesse pubblico sulla gestione delle trasmissioni.

Nel frattempo, è dei giorni scorsi un’altra notizia a conferma del trend di consolidamento in atto tra i giganti statunitensi (meglio, globali). Microsoft e AOL Time Warner hanno diffuso un comunicato congiunto in cui dettagliano “l’accordo amichevole” raggiunto sul caso Netscape-Explorer. La prima verserà 750 milioni di dollari alla seconda per porre fine alla causa giudiziaria presentata oltre un anno fa da AOL in un tribunale federale di Washington, DC. Quest’ultima nel 1999 aveva acquistato la Netscape Corporation, e accusava Microsoft di pratiche anticoncorrenziali per aver imposto il suo browser Explorer a danno dell’allora ubiquo Netscape. Non si tratta proprio di pace fatta, perché i dirigenti spiegano che le due aziende rimangono comunque “accesi rivali come provider internet”, ma al contempo si annunciano collaborazioni per future tecnologie digitali e una migliore compatibilità tra i vari prodotti.

Ad esempio, il gruppo AOL Time Warner potrà utilizzare integralmente la piattaforma digitale “Windows Media 9 Series” di Microsoft, per proporre agli abbonati di AOL l’accesso a programmi multimediali. Per i prossimi sette anni questi ultimi si ritroveranno IE come browser nel pacchetto-software d’abbonamento. Con buona pace del 3-4 per cento di mercato tuttora ad appannaggio di Netscape, che rimane pur sempre un prodotto della scuderia AOL Time Warner. Insomma, l’atavica guerra dei browser stavolta sembra definitivamente chiusa — ma non con un “bang”, bensì con un semplice “accordo amichevole”. Lo sottolinea un articolo firmato su Salon.com dell’attento Andrew Leonard, il quale va ben oltre ponendosi una giustificata domanda: cosa resta di il figlio ribelle open-source di Netscape? Partito in lentezza, nell’ultimo anno il browser ‘aperto’ ha raggiunto un ottimo livello di qualità, in diretta competizione con IE — e tutto ciò grazie al continuo sostegno economico prima di Netscape e poi di AOL Time Warner. Ma visti i debiti che da tempo attagliano quest’ultima, molla principale alla base anche dell’accordo con Microsoft, si teme che la prossima vittima di inevitabili tagli sarà proprio l’amato Mozilla.

In altri termini, sia la decisione della FCC che quest’accordo Microsoft-AOL Time Warner rischiano seriamente di tagliare gli spazi (e i fondi) per le piccole entità indipendenti. E se nel primo caso lo scenario si delinea preoccupante, per il secondo vive la speranza. Mentre la comunità dei programmatori si preoccupa, appare infatti tranquillo Chris Blizzard, ex di Red Hat che oggi lavora a tempo pieno su Mozilla: “Oggi non dipendiamo da Netscape così tanto come una volta, e se decidono di staccare la spina, non è poi così vitale.” Almeno in quest’ambito, incrociamo le dita.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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