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Febbre dell’oro in Silicon Valley: un caso esemplare

20 Dicembre 1999

Febbre dell’oro in Silicon Valley: un caso esemplare

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Giovane apprendista in una start-up della Silicon Valley si ritrova milionario dall'oggi al domani grazie alla supervalutazione delle azioni con le quali era stato pagato: aveva fatto il garzone a tempo perso per un paio di estati.

Favola o realtà?

Potrebbe essere una favola dell’America del mito, quella dove il denaro scorre a fiumi, ma è soltanto un piccolo episodio, sintomatico della frenesia di questa nuova febbre dell’oro fatta di computer, idee e tecnologia. È un fenomeno col quale mi trovo spesso a contatto, qui nella terra del silicio e che interessa le cosiddette “start-up”.

Analisi della Start-up

La start-up è un’azienda dove i costi sono ridotti al minimo, sovvenzionata dal capitale di investitori privati o dagli stessi soci fondatori, che opera molto spesso a ritmi adrenalinici per arrivare nel più breve tempo possibile a scalare la montagna del successo.
Il fatto di avere la possibilità, in breve tempo, di operare un ricircolo degli investimenti e, soprattutto, di farli fruttare a volte in maniera esagerata, fa sì che tutto un substrato di investitori privati (non i Berlusconi locali, ma il semplice John Smith che ha messo da parte dei soldini dopo anni di lavoro) si offrono come soci di capitale in queste aziende che nascono da un’idea e tanta buona volontà.

In linea generale, tutti quelli che lavorano in una start-up e molto spesso pure i fornitori esterni, vengono pagati in partecipazioni dell’azienda o con una parte degli utili. Quando ci sono.
Quelli di voi che lavorano in proprio conoscono già la storia: se ci sono utili si prende lo stipendio, se no, niente. E per quanto riguarda quelli che richiedono il pagamento cash delle proprie prestazioni esterne, vale la regola antica: ci sono pochi soldi in cassa, se vuoi il cash ti accontenti di poco. In fase iniziale questo significa compensi da $ 8.00 l’ora per un ingegnere, o un tecnico specializzato.

La cosa interessante del meccanismo è che tutti vengono ad essere titolari di una parte di azienda, dal direttore generale fino all’ultima segretaria. Ovviamente, a livelli differenziati a seconda delle qualifiche e del rispettivo investimento in denaro/lavoro/competenza. Quindi a tutti interessa che l’azienda vada bene. Autogestione? Più o meno.

Risultato pratico: aziende che spuntano come funghi, con come struttura fatta da un paio di telefoni, alcuni computer e un capannone affittato in periferia. E per le apparecchiature tecniche, il minimo necessario. Il resto è lavoro puro e semplice.

L’idea è di sfondare, di fare successo in poco tempo, e quindi “Go Public”, vendere le proprie azioni al pubblico, vedere il prezzo delle stesse andare alle stelle e quanto prima essere comprati da qualche grande gruppo. Cosa normale in California. Io stesso ho una start-up come cliente (che fortunatamente sta andando molto bene e forse tra breve potrà essere acquisita da una multinazionale) e proprio l’altro giorno mi sono proposto per lavorare in un’altra, pagato prevalentemente a provvigioni.

Yahoo!, Excite e la stessa Apple di Steve Jobs non sono forse nate così, in un garage? La storia continua.

E nella vita di tutti i giorni?

Questo quadro testé descrittovi si può benissimo applicare alla Alteon Websystems, azienda di San José, 50 miglia a Sud di San Francisco, che un po’ di tempo fa ha messo in vendita le proprie azioni. E siccome il prodotto che proponevano è stato ritenuto vincente, i prezzi sono andati subito alle stelle.
A margine di questo evento, un ragazzino di Palo Alto, tal Hans Pang, 17 anni (mamma Tedesca e papà Cinese?) che per un paio di estati era andato a fare il commesso, l’aiutante tuttofare alla Alteon, e che invece di chiedere soldi cash come compenso aveva preferito essere pagato in quote dell’azienda, si è ritrovato, di punto in bianco, ad avere in banca un gruzzolo valutato in $100.000 in azioni della suddetta ditta. Il tutto per aver fatto il garzone di bottega un paio di estati.

Avete fatto i conti? Bravi. Certamente questi soldini saranno destinati a ridursi, una volta calata l’euforia del primo momento di proposta delle azioni, e quando finalmente potrà vendere e realizzare il cash (6 mesi) molto probabilmente il valore sarà sceso verso i $ 50.000 – $ 60.000. Comunque, sempre di un bel gruzzolo si tratta.

La morale della storia, a parer mio, è questa: la febbre dell’oro nella Silicon Valley è reale, e come ai tempi del Klondyke, c’è chi ride e chi piange e i contrasti sono macroscopici. Ma tutti si affannano alla ricerca della miniera, o delle miniere. La vena aurea sembra inesauribile.

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